Non credo esista altro paese al mondo, tranne Israele, cui venga contestato il diritto di esistere. Il nuovo fürher iraniano non ce l'ha con lo Stato ebraico per una questione politica o economica, non ne contesta i rapporti diplomatici ( che non ha), non ci sono liti sui confini. No, diretto e senza elucubrazioni, gli nega il diritto di esistere. « Quando avremo l'atomica la sganceremo sull'entità sionista e, anche se gli ebrei reagiranno, noi avremo solo qualche milione di morti, loro però spariranno dalla faccia della terra » , così si era espresso pubblicamente Ahmadinejad, dimostrando cosa intende lui per « uso civile del nucleare » . La storia di Israele ci ricorda come Davide riuscì a sconfiggere Golia con l'intelligenza e con l'astuzia, non disponendo di una forza paragonabile a quella del gigante. Oggi il rapporto non sta più in quei termini. Anche se Israele non ne parla apertamente, la forza di difesa dello Stato ebraico può fare affidamento sull'uso dell'arma nucleare, seppure solo in caso di necessità estrema: da vera democrazia, Israele non sarà mai il primo a minacciare nessuno Stato. Che fare dunque con il faraone iraniano? Intanto è da non sottovalutare la necessaria fornitura petrolifera iraniana, ma è altrettanto vero che senza i dollari occidentali l'Iran, del suo gas e del suo petrolio, non saprebbe cosa farsene. Il trattato di pace firmato tra Egitto e Israele nel 1979 ci ricorda che i regimi arabi/ musulmani, e particolarmente i loro leader, non capiscono altro linguaggio diverso da quello della forza. Sadat e Begin non erano certo colombe. Sadat era stato addirittura filonazista ( come la quasi totalità degli stati arabi alleati di Hitler) e aveva cercato con ogni mezzo di sconfiggere Israele in guerra. Non gli riuscì, riconobbe la superiorità militare dell'avversario e da sterminatore divenne sincero alleato, un gesto che gli costò la vita. Fu quindi la destra di Begin ad ottenere la pace, un risultato che nessuna sinistra in Israele era riuscita a raggiungere. Un comportamento peraltro in linea con i metodi di " dialogo" che contraddistinguono i sinistri- catto- pacifisti ancora oggi, che pensano di combattere le dittature ignorandone sistematicamente la minaccia. Il caso Saddam Hussein insegna. L' affare Ahmadinejad è ancora più grave, non c'è soltanto la minaccia, ma la certezza che la follia di questo populista, regolarmente eletto a grande maggioranza, prima o poi potrà tramutarsi in un comando mortale per l'Occidente intero. Non solo per Israele, dove la presenza di Hamas ricorda in modo impressionante la politica del faraone iraniano. Gli slogans sono gli stessi. Un forte richiamo contro la corruzione, una estesa attività di tipo assistenziale che guadagna consensi non solo elettorali e una decisa azione terroristica quali unica forma di attacco contro « eretici e crociati » di varie fedi. Non è per caso che dietro le strutture terroristiche mediorientali ( Hamas. Hezbollah, Jihad islamica) ci sia l'Iran. Che fare allora? L'offerta iraniana di ieri per un ritorno a trattare, senza cedere su nulla, è stata inutile. Per ora si guarda alla riunione AIEA del 2 febbraio e ci si prepara al deferimento dell'Iran davanti al Consiglio di Sicurezza Onu. Mentre l'ipotesi sanzioni è ancora lontana: il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov ieri ha affermato che le sanzioni « non sono nè il miglior metodo, nè l'unico » per costringere alla chiarezza l'Iran. Occorre contrapporre ad Ahmadinejad un fronte unito, deciso a sbarrare la strada verso l'atomica. In tal modo, ne trarrà vantaggio quella parte di Iran che finora non ha avuto ancora la forza di organizzarsi contro la dittatura dei Mullah. È ipocrita dire iraniani ribellatevi, quando si sa che sotto ogni dittatura è il terrore ad avere la meglio. L'Occidente faccia in modo risoluto la sua parte. Il popolo iraniano farà poi la sua. |