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Il Foglio Rassegna Stampa
17.01.2006 Benedetto XVI condanna l'antisemitismo: parole chiare di cui si sentiva il bisogno
il pregiudizio antiebraico infatti si diffonde nel mondo

Testata: Il Foglio
Data: 17 gennaio 2006
Pagina: 4
Autore: la redazione - Felix Stanevskiy
Titolo: «Ratzinger dice a Di Segni che la Chiesa ama gli ebrei - Antisemitismo / 1 - In Russia gli attacchi sono semplici “atti vandalici” -Antisemitismo / 2 - In Venezuela un appello contro l’urlo di Chávez - Antisionismo / 3 - A Oslo una ministra boicotta le ara»

Il Foglio di martedì 27 gennaio 2006 pubblica a pagina 4 dell'inserto un articolo sulla forte presa di posizione contro l'antisemitismo da parte di Papa Benedetto XVI. Ecco il testo:

Roma. Benedetto XVI è tornato a condannare con forza l’antisemitismo e a riaffermare il proprio dolore e la propria preoccupazione per le sue rinnovate manifestazioni che si registrano alla nostra epoca. Lo ha fatto ieri nel suo discorso letto in occasione dell’udienza concessa a Riccardo Di Segni, Rabbino capo di Roma. L’incontro si è svolto in “un clima cordiale e positivo”, ha detto il leader spirituale della comunità ebraica, e ha avuto una impronta prevalentemente religiosa. A cominciare dal discorso di Papa Ratzinger, il quale ha ricordato che “il popolo di Israele è stato liberato varie volte dalle mani dei nemici, e nei secoli dell’antisemitismo, nei momenti drammatici della Shoah, la mano dell’Onnipotente lo ha sorretto e guidato”. “Di questa amorevole attenzione divina – ha aggiunto – può rendere testimonianza anche nella città di Roma da oltre duemila anni”. Dopo questo riconoscimento ha detto: “A voi è vicina la Chiesa cattolica e vi è amica. Sì, noi vi amiamo e non possiamo non amarvi, a causa dei Padri: per essi voi siete a noi carissimi e prediletti fratelli. Dopo il Concilio è andata crescendo questa stima e reciproca fiducia. Si sono sviluppati contatti sempre più fraterni e cordiali, intensificatisi lungo il pontificato del mio predecessore Giovanni Paolo II”. Da notare come il Papa abbia evitato di usare la locuzione “fratelli maggiori”, suscettibile di interpretazioni malevole. Il pontefice ha quindi ricordato come “in Cristo” la Chiesa cattolica partecipa “della vostra stessa eredità dei Padri, per servire l’Onnipotente ‘sotto uno stesso giogo’, innestati sull’unico tronco santo del popolo di Dio”. A questo punto si è inserita la riflessione voli che, insieme con voi, abbiamo la responsabilità di cooperare al bene di tutti i popoli, nella giustizia e nella pace, nella verità e nella libertà, nella santità e nell’amore. Alla luce di questa comune missione non possiamo non denunciare e combattere con decisione l’odio e le incomprensioni, le ingiustizie e le violenze che continuano a seminare preoccupazioni nell’animo degli uomini e delle donne di buona volontà. In tale contesto, come non essere addolorati e preoccupati per le rinnovate manifestazioni di antisemitismo che talora si registrano?”. Parole analoghe Papa Ratzinger le aveva pronunciate lo scorso agosto durante la Giornata mondiale della gioventù, quando, incontrando nella Sinagoga di Colonia si era rammaricato di come “oggi purtroppo emergono nuovamente segni di antisemitismo”.po, il Papa ha sollecitato una collaborazione tra Chiesa cattolica e Comunità ebraica per intraprendere, a Roma e nel mondo, “concrete iniziative di solidarietà, di tzedek (giustizia) e di tzedekah (carità)”, e per “trasmettere la fiaccola del Decalogo e della speranza alle giovani generazioni”. Nel suo discorso Di Segni, che all’udienza era accompagnato dal presidente della Comunità romana Leone Paserman, ha ricordato la storica visita di Giovanni Paolo II alla Sinagoga di Roma, “un evento unico… ma nulla impedisce che sia ripetuto dal nuovo Papa, che è sempre il benvenuto”. Alla fine della visita Di Segni ha riferito che “il Papa ha accolto cordialmente l’invito a visitare la Sinagoga. L’evento del 1986 è stato di assoluta unicità. Bisognerà studiare il modo perché la visita di Benedetto XVI non sia una copia di quella di Papa Wojtyla. L’importante è che ci sia la disponibilità reciproca”.

Nella stessa pagina un'articolo sulla diffusione di atti di antisemitismo in Russia:

Mosca. Alexandr Kopzev, un giovane russo di vent’anni, è diventato famoso. I canali televisivi gli hanno dedicato lunghi servizi. Di quello che ha fatto l’11 gennaio si è parlato non soltanto in Russia, ma anche in Israele, al Consiglio d’Europa, al dipartimento di stato a Washington. Kopzev è un giovanotto divenuto celebre perché ha preso il coltello ed è andato alla sinagoga con lo scopo di uccidere ebrei: ne ha feriti nove “perché loro vivono meglio”, ha detto al commissariato. Questo episodio dà l’idea di quanto e come si sia diffuso l’antisemitismo negli ultimi anni in Russia. Ai tempi dell’Unione Sovietica l’antisemitismo era di fatto una mal celata politica ufficiale. L’accesso degli ebrei alle istituzioni dello stato era praticamente vietato, anche se, per dimostrare al mondo la purezza del suo “internazionalismo proletario”, il regime comunista esibiva qualche persona di origine ebraica nelle cariche più elevate del paese. Le università limitavano al massimo il numero degli studenti con la scritta “ebreo” nel celeberrimo “punto cinque” del passaporto. I russi con cognomi “sospetti” non avevano possibilità di far carriera. In Russia oggi, a livello statale, non si pratica la politica dell’antisemitismo. Eppure è più che mai viva. Perché? Quando un anno fa il Consiglio della Federazione, il Senato russo, discuteva questo problema, il capo della procura federale, Vladimir Ustinov, disse chiaramente il suo punto di vista: “L’antisemitismo è come la merda, non bisogna toccarla. Più ne discutiamo, più puzza”. In altre parole, spiegò il senatore Ramasan Abdulatipov, aspettiamo che sparisca da sé, ma ricordiamoci che “la discriminazione razziale sta aumentando”. Gli eventi hanno dato ragione al senatore. Un sondaggio dell’anno scorso del Pew Research Center indicava la Russia come il paese più antisemita tra quelli a maggioranza cristiana: oltre il 51 per cento degli intervistati si è dichiarato contrario agli ebrei. Gli antisemiti hanno sfidato anche il presidente, Vladimir Putin. Mentre era in visita ad Auschwitz, venti deputati della Duma hanno inoltrato alla Procura generale la richiesta di dichiarare fuorilegge “tutte le organizzazioni ebraiche”. A prima vista può sembrare che la reazione all’uscita antisemita dei firmatari – comunisti e nazionalisti – sia stata adeguata: Putin ha detto di provare vergogna per tali rigurgiti. La Duma e la Chiesa ortodossa hanno condannato “la lettera dei venti”. La Procura è intervenuta con un ammonimento contro il quotidiano Russia ortodossa. Ma le parole non sono poi state accompagnate dalle misure previste dalla legge. Il risultato si è potuto osservare qualche settimana dopo nel corso di uno scontro sul canale Ntv tra il cosmonauta Alexey Leonov e il generale Albert Makasciov. Quest’ultimo, deputato comunista, non a caso si autodefiniva “generale sovietico retto come una baionetta”, rivelando nella loro forma più pura i fondamenti dell’antisemitismo russo. Gli ebrei – secondo le sue elucubrazioni – hanno colpa in tutto e per tutto: “Manca l’acqua? Ne sono responsabili certamente gli ebrei”, ha detto il generale, non avendo alcuna remora nel citare un proverbio antisemita. “Hanno rubato tutto quel che fu dato alla Russia da Dio” e, ovviamente, “hanno crocifisso Cristo”. In più, avrebbero derubato il paese attraverso la privatizzazione, poiché “erano attorno a Gorbaciov e a Eltsin”: “L’oligarca non è una carica, è una nazionalità”. Le fonti principali dell’antisemitismo, sentenzia un altro nazionalista, Vladimir Miloserdov, “sono l’ideologia e l’economia liberali, inculcate dall’occidente nella nostra realtà”, sempre attraverso gli ebrei. Come ha detto l’anchorman Solovjov,gli ebrei sono colpevoli anche dell’antisemitismo.Dopo l’ultimo attacco contro gli ebrei alla sinagoga di Mosca, la Duma ha chiesto di rafforzare la legislazione contro la xenofobia. Non ce n’è bisogno, ha replicato il rabbino capo in Russia, Berl Lasar: “Basterebbe applicare le leggi che già esistono”. Nella stragrande maggioranza dei casi le forze dell’ordine – nonché la giustizia russa – non riconoscono il carattere razziale degli attacchi contro gli ebrei, ma li qualificano come “atti vandalici”. I poliziotti – mal pagati e arruolati spesso tra i giovani con poca istruzione – simpatizzano con skinheads e proseliti di numerosi gruppi ultranazionalisti che, con lo slogan “La Russia per i russi”, hanno confuso parte della popolazione. La Chiesa ortodossa, collaborando con i leader delle organizzazioni ebraiche, non riesce a controllare le proprie strutture a volte influenzate da ultranazionalisti. Nelle librerie presso le parrocchie – e nelle edicole della Duma – si possono trovare libri e riviste di contenuto antisemita. E’ quest’atmosfera che genera l’odio razziale, fenomeno particolarmente pericoloso in un paese multinazionale e multiconfessionale come la Russia. Il Cremlino ha cominciato a preoccuparsi. Il ministro dell’Interno, Rashid Nurgaliev, ha incontrato Berl Lasar per discutere il da farsi. Il partito nazionalista Rodina (Patria), che ha pubblicato un filmato propagandista razzista, non è stato ammesso alle elezioni nella Duma di Mosca. I canali televisivi hanno assunto una posizione univoca di condanna dell’antisemitismo. Si vedrà col tempo se si tratta di una campagna contingente o di un’azione a lungo termine.

E uno sull'antisemitismo del regime di Chàvez in Venezuela:

Caracas. Il Venezuela è a rischio d’antisemitismo. Lo denuncia un “comunicato degli scrittori e artisti, professori e investigatori, intellettuali venezuelani” che accusa la sempre più intensa amicizia tra Chávez e il regime di Teheran. La prima avvisaglia la si ebbe il 29 novembre 2004, quando alle 6 e mezza del mattino una ventina di poliziotti fece irruzione nel Club Hebraica di Caracas, terrorizzando i 1.500 studenti che stavano frequentando le lezioni della scuola locale. Poi ci fu, lo scorso 19 settembre, il conduttore Albert Nolia che, alla stazione radio di stato Yvke, definì i dirigenti della Confederazione delle associazioni israelitiche del Venezuela (Caiv) “banditi, criminali e assassini” e spiegò che “la tortura oggi in Israele è molto peggio di quello che fu la tortura nella Germania nazista”. Dopo ci furono le bordate del governo contro il film “Secuestro Express”, che ritraeva la violenza politica in Venezuela e che è stato definito “una cospirazione di miliardari sionisti per estromettere Chávez dal potere”: il regista, Jonathan Jakubowicz, è ebreo. “Abbiamo visto con stupore e costernazione – c’è scritto nel comunicato – l’apparire di alcune allusioni antisemite nemmeno tanto nascoste nel discorso del presidente della Repubblica, così come lo ha appena denunciato il sempre vigilante Centro Simon Wiesental che, dalla fine della Seconda guerra mondiale, ha perseguitato i criminali di guerra nazisti che sono riusciti a fuggire dalla giustizia di Norimberga; così come denunciando le manifestazioni di un razzismo mai del tutto scomparso. Le parole pronunciate dal presidente il 24 dicembre del 2005, nel Centro di Sviluppo Endogeno ‘La sorgente dei sogni’, contiene due vecchi cliché antisemiti: quello della crocifissione di Cristo e quello dell’accumulazione della ricchezza a discapito, si suppone, dei gentili. Che a solo mezzo secolo dall’Olocausto ci sia un governante nell’emisfero occidentale capace di ripetere questi luoghi comuni che sarebbero ridicoli se non fossero macchiati del sangue di milioni di esseri umani di ogni età e condizione, sarebbe già allarmante. Per disgrazia non si tratta di una dichiarazione isolata del presidente, come facilmente si può constatare in altre affermazioni del discorso ideologico del regime. E’ noto che, durante un certo periodo, l’attuale presidente è stato consigliato dall’avventuriero Norberto Ceresole (esperto argentino di geopolitica di area peronista, ndr), che si vantava di non essere antisemita né di opporsi alla politica dello stato d’Israele, bensì di essere ‘antiebreo’ ossia, nemico ‘di un popolo la cui vocazione traditrice risale alla sua fuga dall’Egitto’. Per la prima volta in cinquecento anni di storia, qualcuno osa fare propaganda antisemita in Venezuela”. Il manifesto ha 32 firme, prima tra le quali quella di Carlos A. Moros Gershi, professore di Medicina ed ex rettore dell’Universidad Central de Venezuela. Non risultano risposte ufficiali del governo venezuelano che per altro -per bocca del vicepresidente Rangel – ha detto di non condividere l’idea dell’attuale governo di Teheran che Israele vada distrutto. Ma, a livello non ufficiale, il veleno continua a scorrere. Il sito Aporrea. org ha scritto: “Noi chavistas disprezziamo gli ebrei e non riconosciamo lo stato d’Israele così come non riconosciamo nessuna organizzazione ebrea nazionale e internazionale. Non possiamo tollerare che una parte importante del racconto canonico della deportazione e morte degli ebrei sotto il sistema nazista sia stata trasformata in mito da quegli ‘ebrei animali apatridi’ e che oggi si usi il sionismo per preservare l’esistenza di un’azienda coloniale dotata di una ideologia religiosa (monoteista e mistico-satanica) con l’obiettivo di ottenere che l’Israele Demoniaco s’impossessi della Santa Palestina Araba”. Nel centro di Caracas sono comparsi striscioni rossi che recavano la scritta: “No ai commando israeliani in Venezuela”. La firma era del Partito comunista venezuelano, parte della coalizione chavista.

Infine, un articolo su una proposta di boicottaggio antisraeliano avanzata da un ministro socialista norvegese: 

Oslo. Se non di antisemitismo, un sospetto di antisionismo s’aggira anche nel nord Europa dove sporadici focolai rimasti finora nell’ombra stanno trovando importanti sponsor. E’ il caso della Norvegia, dove il ministro delle Finanze, Kristin Halvorsen, ha pubblicamente dichiarato che a partire da febbraio boicotterà i prodotti israeliani in vendita nel suo paese. Si tratta soprattutto di arance, una vera e propria battaglia con la quale si vuole dimostrare solidarietà al popolo palestinese. Foto con agrumi campeggiano sui giornali e sulle radio locali rimbalzano dubbi e domande. Ma quali arance bisogna comprare? Le cubane o le israeliane? Halvorsen ha infatti rivolto un appello ai consumatori della sua nazione, cercando di convincere il popolo delle casalinghe, ma non solo, attraverso il teorema dello “stato oppressore”. Il successo dell’export israeliano, secondo l’esponente socialista, rappresenterebbe un'ulteriore legettimazione della politica del paese. Quella che cerca di proteggere i propri territori, anche con la forza, da eventuali azioni eversive palestinesi. Ma non tutti la pensano alla stessa maniera, anzi. A smorzare sul nascere i toni adoperati dalla componente socialista del Partito della sinistra socialista è il ministro degli Esteri, Jonas Gahr Stoere, che, intervenendo alla NRK Radio, si è trovato a dover spiegare la “politica ufficiale” del paese. E cioè che la Norvegia non ha nessuna intenzione di bloccare lo scambio di merci o l’acquisto di prodotti “made in Israel”, ma che si è sempre adoperata per la soluzione del conflitto fra i due popoli, ha ribadito nelle comunicazioni ufficiali con l’ambasciata israeliana. La presa di posizione di Halvorsen, però, non è isolata poiché fa eco alle recenti delibere del Parlamento regionale del Soer- Trondelag, che ha intrapreso già nel dicembre scorso la linea del boicottaggio nei confronti delle merci esportate da Israele. Secondo i suoi componenti sarebbero continue le violazioni di alcuni diritti umani nei confronti dei palestinesi,come la  costruzione del muro che impedisce loro di avere libero accesso ai territori degli israeliani. Dura la reazione venuta dalla Anti-Defamation League (Adl): “Questa decisione non favorisce il processo di pace fra israeliani e palestinesi, ma anzi lo acuisce”. Per questo motivo Abraham Foxman, presidente dell’Adl, ha chiesto formalmente al governo norvegese di condannare la decisione del Parlamento regionale: “Bisogna contribuire al processo di pace – ha spiegato in una lettera all’ambasciatore norvegese, Knut Vollebaek – e tener conto del programma di ritiro graduale nei territori palestinesi avviato da Israele. Questo provvedimento può solo generare odio e gettare confusione fra due popoli che hanno sempre cooperato”. L’entità della proposta dei socialisti ha dunque messo in imbarazzo l’intero governo che si è visto piovere addosso anche le reazioni degli Stati Uniti. Secondo numerosi quotidiani, all’ambasciata norvegese a Washington la reazione è arrivata dai livelli più alti del dipartimento di stato: “Nel caso  proposte della Halvorsen rappresentassero ufficialmente la politica estera della nuova alleanza rosso-verde del Labour, della sinistra socialista e dei partiti di centro – si legge nelle note riservate – il clima tra gli Stati Uniti e la Norvegia si farebbe molto più aspro”. Secondo un noto analista norvegese, Sverre Lodgaard, il boicottaggio promosso dal partito della Halvorsen ora limiterà la libertà di criticare Israele qualora fosse necessario: “Il governo ha spazi molto più limitati per i negoziati”, ha dichiarato. L’opinione pubblica è divisa e non ha compreso il motivo di tale campagna. Ma come fa notare la gran parte della stampa le decisioni del piccolo Parlamento e le posizioni dei socialisti sono vicine a quelle di alcuni governi “contro” Israele, come la Siria, l’Iran o la Libia. Questa sottolineatura ha suscitato non poche riflessioni tra chi comincia a chiedersi se il boicottaggio sia un provvedimento degno di un paese democratico come la Norvegia, che vanta una lunga tradizione democratica e diplomatica.

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