Libero di venerdì 13 gennaio 2005 pubblica un articolo di don Chino Pezzoli, lontano dalla linea editoriale non conformista tenuta da questo quotidiano sul conflitto mediorientale. Per don Pezzoli, infatti, la pace sembra essere un obiettivo raggiungibile senza confrontarsi con la realtà, che nel Medio Oriente è quella del rifiuto e della costante aggressione, negli ultimi anni soprattutto di natura terroristica, opposti a Israele. Invece di partire dalla constatazione della necessità per Israele di difendersi dai suoi nemici, che impone la sicurezza dello Stato degli ebrei come precondizione per il raggiungimento di una stabile pace, don Pezzoli si lascia convincere da luoghi comuni e stereotipi comuni nell'ambito di un certo pacifismo unilaterale. Ci tocca così leggere che "all'inizio del conflitto palestinese", vale a dire "quando venne invasa la spianata delle moschee Sharon ed altri pensavano di soggiogare i palestinesi, di costringerli alla sudditanza e resa". Da qui la "reazione inaspettata dei palestinesi" che "ha scatenato una carneficina".
Ricordiamo a don Pezzoli che il conflitto israelo-palestinese è iniziato molto prima della visita di Sharon alla Spianata delle Moschee-Monte del Tempio, che quest'ultima non è stata per nulla un'invasione, che all'origine della carneficina terroristica della cosiddetta seconda intifada vi fu la scelta di Yasser Arafat di rifiutare l'offerta di un accordo definitivo offertogli da Barak, non una volontà di sopraffazione da parte israeliana. E dunque si ebbe un'aggressione, non una reazione palestinese. Ricordiamogli anche che il "fanatismo religioso" che evoca in un'altra parte del suo articolo è oggi una forza numericamente considerevole, politicamente e militarmente forte nel mondo islamico, non invece in quello ebraico e in quello cristiano. Converrebbe, dunque, specificare, non nascondersi dietro espressioni generiche ed equivoche: : a minacciare la pace in Medio oriente è oggi il fanatismo religioso islamico
Ecco il testo:
Certo, l'augurio che la salute di Sharon migliori è un desiderio umano e, l'auspicio che ritorni ai suoi impegni politici, non può mancare. La diagnosi dei medici non nasconde però dubbi e perplessità sui danni cerebrali del paziente. Sharon probabilmente uscirà dalla scena politica. Non sono d'accordo con gli analisti di turno che prevedono riflessi negativi sul difficile processo di pace. « La tragedia del premier » , afferma lo scrittore ebreo Yehoshua, « è la stessa di una nazione. Ma gli uomini passano mentre le loro opere rimangono e vengono continuate da altri » . Sharon, il garante del processo di pace, sembra fuori gioco, non il suo progetto che ha cambiato, in questi ultimi anni, la mentalità di una buona parte d'Israele. Il popolo ebraico sta capendo che con la pace si può convivere, con la guerra no. Pure una parte dei palestinesi, con maggiore fatica, segue la politica di Habu Mazen, una politica che tende a ripristinare l'ordine, la sistemazione del territorio, la crescita economica. I dubbi non mancano sulla buona fede di quest'ultimo. Un processo di pace tuttavia è necessario ed esige la volontà politica delle parti interessate. Lo stesso papa Benedetto XVI ribadisce con forza il pensiero dei suoi predecessori, sostenendo che tutti siamo chiamati a costruire insieme la cultura della pace. Non basta a israeliani e palestinesi tracciare i loro confini geografici, tendere al benessere e all'evoluzione morale, sociale ed economica dei loro cittadini. Senza una pacifica convivenza niente è possibile. È indispensabile quindi trovare un'intesa, una collaborazione rispettosa, un qualcosa che unisce due popoli di cultura diversa. Questo qualcosa o valore è l'uomo, la sua vita, il suo futuro. Serve quindi un sussulto di fiducia nell'uomo. Q uesti due popoli in conflitto devono ritrovare la fiducia, la verità dell'uomo, fondamento degli stessi libri sacri la Bibbia e il Corano. Sono le ideologie, i sistemi politici, i fanatismi religiosi che spesso negano tale verità e buttano nelle menti odio e rivalità, vendetta e morte. Il proselitismo dei kamikaze n'è l'esempio. Il conflitto tra palestinesi e israeliani trova inoltre appoggi internazionali, complotti non privi d'interessi economici e di potere. Nonostante questo scenario di rivalità e vendetta, in Ariel Sharon, ci fu una metamorfosi. Basta ricordare la sua posizione all'inizio del conflitto palestinese quando venne invasa la spianata delle moschee. Sharon ed altri, allora, pensavano di soggiogare i palestinesi, di costringerli alla sudditanza e resa. La reazione inaspettata dei palestinesi ha scatenato una carneficina. Inneggiarono alla guerra santa e fecero di questa guerra un motivo d'unità del mondo arabo contro gli occidentali. O ra, di fronte alla minaccia del terrorismo islamico, diventa sempre più che mai urgente operare insieme per la pace. Già Paolo VI ribadiva, nell'enciclica gaudium et spes, che l'umanità non sarebbe riuscita a « costruire un mondo veramente più umano per tutti gli uomini e su tutta la terra, se gli uomini non si fossero rivolti tutti con animo rinnovato alla verità della pace » . La pace è il desiderio, l'aspirazione d'ogni persona. Non può venir meno dopo Sharon. Si comprometterebbero i labili equilibri raggiunti tra i due popoli. La volontà di continuare il progetto di pace venne espressa dal premier ad interim Olmert: « Se potessi parlare con Sharon adesso, sono sicuro che Arik mi direbbe; grazie per gli auguri. Ma ora lavorate per risolvere i problemi del Paese » . La pace è il primo problema.
Per scrivere alla redazione di Libero cliccare sul link sottostante