Si avvicina il 25 gennaio, il giorno nel quale i palestinesi saranno chiamati alle urne per decidere da quali forze politiche dovranno essere governati. Come hanno dimostrato precedenti elezioni municipali, e come confermanoi sondaggi, la vittoria diHamas non è più solo prevista ma confermata. Al Fatah, il movimento politico, poi partito, fondato dallo scomparso Arafat, sembra non avere più la maggioranza. Da quando i palestinesi possono esprimere con il voto la loro volontà ( cosa molto difficile sotto il tallone del corrotto rais) sembra che non ne vogliano più sapere di una classe dirigente che non ha saputo fare altro che portare lutti e miseria. Non è un caso che Abu Mazen abbia dichiarato che se Hamas dovesse vincere le elezioni sarebbe pronto a rassegnare le dimissioni. Cosa peraltro ovvia per qualsiasi leader sconfitto. Che i palestinesi siano maturi per buttarsi fra le braccia dei terroristi di Hamas non è altro che il risultato dell'incapacità dell'ANP di governare. La corruzione continua come ai tempi di Arafat, ed equivale a zero la volontà di arrivare ad un accordo di pace con Israele, che, in mancanza di un partner credibile, si è ormai avviata a scelte unilaterali. Se è vero che la barriera di sicurezza serve a salvare vite umane, è anche vero che in qualche modo rappresenta una linea di divisione tra Israele e i territori palestinesi, una linea che domani potrà assumere, pur con qualche modifica, la funzione di un confine. A questo punto alcuni analisti in Israele si pongono la domanda se il moderato Abu Mazen con il suo inefficiente governo debba ancora essere visto come l'unica controparte possibile. E si fa strada l'ipotesi, molto azzardata ma non da respingere a priori, che forse da un vittoria di Hamas alle elezioni, non possa uscirne un governo con gli attributi che mancano a quello attuale, soprattutto con la capacità di dare ordini e farli rispettare. D opo aver constatato che comunque agli arabi della pace con Israele non gliene importa nulla, si fa strada l'idea che l'Hamas terrorista, quello delle stragi, quello che lancia i missili da Gaza contro le città di frontiera, una volta che si ritrovi con la responsabilità di governo che oggi gli manca, possa trovarsi nella condizione di dover gestire e guidare una popolazione che reclamerà non solo guerra, ma anche una vita civile diversa da quella che ha conosciuto finora. E se questo non dovesse accadere, se la nuova Autorità palestinese nata sotto il segno di Hamas, dovesse riconfermarsi per quello che è stata finora, un movimento terrorista che ha come scopo la guerra continua contro lo Stato ebraico, allora sarà chiaro per tutti, Unione europea compresa, quale sarà il nemico che la democrazia israeliana dovrà combattere e distruggere. Non ci saranno più scuse, nessuno più crederà a un Abu Mazen che, convinto di perdere le elezioni e non sapendo come fare a rinviarle, ne addossa la responsabilità a Israele. Non che ci sia da essere ottimisti, ma il fatto che Hamas non abbia alzato il tiro durante la malattia di Sharon, e le occasioni non sarebbero mancate in un Israele con il fiato sospeso intorno al suo leader, forse qualcosa può significare. Non è detto che questa sarà la politica israeliana dopo le elezioni del 28 marzo, ma il fatto che se parli è già indicativo di una strada possibile che sino a pochi mesi sarebbe apparsa a tutti improponibile.