Il Foglio di martedì 10 gennaio 2005 pubblica a pagina 3 un'interessante analisi sul conflitto politico interno in Iran. Ecco il testo::
Roma. Sotto gli occhi impotenti degli ispettori dell’Aiea, l’Iran toglie i sigilli e riparte con la ricerca sui combustibili nucleari. L’annuncio arriva a poche ore dal primo inconcludente round di negoziato tra russi e iraniani: i margini di successo sono esigui. Per Stati Uniti e Unione europea questo passo avvicina ancor più il dossier iraniano al tavolo del Consiglio di sicurezza dell’Onu e alle sanzioni (il segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, ha lasciato intendere che i voti che Teheran conta a suo favore non lo sono affatto). "Il mondo sta perdendo la pazienza con l’Iran" ha dichiarato, insolitamente critico, il direttore dell’Agenzia atomica Mohammed ElBaradei. Ieri tuttavia il regime iraniano è stato scosso dalla morte del generale Ahmad Kazemi, precipitato con un Falcon jet durante un volo da Teheran ad Ourumieh (nella regione dell’Azerbaigian). Molto apprezzato dall’ayatollah Khamenei e dal presidente Ahmadinejad, Kazemi era fresco di nomina al comando delle forze di terra delle guardie rivoluzionarie. Ma i corridoi del potere a Teheran sono percorsi da altre striscianti inquietudini. Dopo averne trasformato il volto, la fazione fondamentalista si appresta a sferrare un attacco all’ossatura stessa dello Stato. Al "partito dei martiri" per controllare il potere le epurazioni, per quanto capillari, non bastano: è l’architettura istituzionale del regime, con la sua dialettica non solo formale tra le forze del sistema, a frenare il dominio incontrastato dei puri di Ahmadinejad. Per fare il salto è necessario disfarsi del bagaglio in eccesso: liberare la teocrazia dall’impalcatura repubblicana e porre al centro del regime la sua anima rivoluzionaria. Dietro le grandi manovre c’è un antico progetto dell’ayatollah Mesbah Yazdi – "il coccodrillo", come viene soprannominato a Teheran – mai tanto potente come dall’avvento di Ahmadinejad. Dopo l’elezione del suo protetto, Yazdi ha commentato: "Questa sarà la prima amministrazione islamica nella storia della nazione". La frase sibillina ha destato scalpore. Qualcuno ha riconosciuto un antico disegno del "coccodrillo", che in passato lo ha opposto a vasti strati dell’establishment. L’impressione è stata confermata dalle dichiarazioni choc di Mohsen Gharavian, professore all’Istituto Imam Khomeini di Qom, vicino a Yazdi. Ha dato scandalo fornendo una glossa di autenticità a questo assetto revisionista: "La definizione di una Repubblica così come esiste in occidente, con la legittimità derivata dal voto popolare, non è mai stata nelle intenzioni dell’imam Khomeini". Secondo Gharavian, il giorno del referendum sulla Repubblica islamica Khomeini se ne infischiava che gli iraniani votassero o no: aveva già preso per tutti la più saggia delle decisioni e la sua era soltanto necessaria dissimulazione. dialettica non solo formale tra le forze del sistema, a frenare il dominio incontrastato dei puri di Ahmadinejad. Per fare il salto è necessario disfarsi del bagaglio in eccesso: liberare la teocrazia dall’impalcatura repubblicana e porre al centro del regime la sua anima rivoluzionaria. Dietro le grandi manovre c’è un antico progetto dell’ayatollah Mesbah Yazdi – "il coccodrillo", come viene soprannominato a Teheran – mai tanto potente come dall’avvento di Ahmadinejad. Dopo l’elezione del suo protetto, Yazdi ha commentato: "Questa sarà la prima amministrazione islamica nella storia della nazione". La frase sibillina ha destato scalpore. Qualcuno ha riconosciuto un antico disegno del "coccodrillo", che in passato lo ha opposto a vasti strati dell’establishment. L’impressione è stata confermata dalle dichiarazioni choc di Mohsen Gharavian, professore all’Istituto Imam Khomeini di Qom, vicino a Yazdi. Ha dato scandalo fornendo una glossa di autenticità a questo assetto revisionista: "La definizione di una Repubblica così come esiste in occidente, con la legittimità derivata dal voto popolare, non è mai stata nelle intenzioni dell’imam Khomeini". Secondo Gharavian, il giorno del referendum sulla Repubblica islamica Khomeini se ne infischiava che gli iraniani votassero o no: aveva già preso per tutti la più saggia delle decisioni e la sua era soltanto necessaria dissimulazione.
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