Importante articolo di Ibrahim Refat sulla Stampa di martedì 10 gennaio 2006. ci informa su alcuni articolo usciti sulla stampa araba nei quali viene analizzato criticamente il mito negativo creato dalla propaganda antisraeliana intorno a Sharon. operazioni di demistificazione molto utili, certo, per il mondo arabo, ma anche, ci sembra, degne di essere recepite da una parte consistente del giornalismo italiano che rimane ancorato a vecchi pregiudizi. E che continua a interessarsi alle vittime arabe soltanto quando "cadono per mano di Israele" mentre i crimini dei vari dittatori dell'area cadono immediatamente in prescrizione. Ecco il testo:
Anche nella disgrazia il premier israeliano segna dei punti a suo favore contro i suoi nemici arabi. A rendergli l’onore delle armi è niente meno che il quotidiano arabo «Asharq al-Awssat» che passerà alla storia come il primo giornale arabo ad aver cercato di distruggere un tabù, quello di Sharon «il cattivo». Il giornale filo-saudita, ritenuto l’organo di stampa più liberale nel mondo arabo, ha pubblicato ieri una serie di editoriali che non solo riabilitano la figura del premier israeliano ma anche coprono di biasimo i vari satrapi arabi.
Il primo a rompere il muro degli stereotipi sull’eterno nemico è stata l’editorialista Mona al-Tahawi. Con un editoriale del titolo «L’essenza della leadership di Sharon» la giornalista egiziana, trapiantata a New York, compie una sorta di psicoanalisi del rapporto conflittuale fra la società araba e il leader israeliano. «Nel mondo arabo molti odiano Sharon non perché è responsabile della morte di tanti vittime arabe bensì perché egli è essenzialmente il riflesso nello specchio di leader arabi che ci governano. Ma se questo odio per lui si basa solo sul numero delle vittime, è destinato a perdere di fronte a persone che furono responsabili di morte di molti durante il Settembre nero e a Hama», scrive la giornalista riferendosi alle due stragi più efferate perpetrate da leader arabi. Il Settembre nero è la carneficina provocata dall’intervento delle truppe del defunto re Hussein di Giordania, nel 1970, contro i guerriglieri palestinesi (30 mila morti). Una carneficina rimossa della memoria degli arabi così come quell’altra avvenuta a Hama (nord della Siria), nel 1982, quando l’aviazione del defunto presidente Hafez al-Assad rase al suolo la città dove ci fu una rivolta islamica, causando tra i 20-30 mila morti.
Al-Tahawi poi passa all’altra strage, quella dei due campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila a Beirut, nel 1982 (2 mila vittime), e ricorda che «mentre un’inchiesta israeliana accertò soltanto responsabilità indirette di Sharon, un’altra araba trovò responsabili le milizie libanesi che massacrarono donne e bambini». Poi conclude: «A noi arabi ci interessano le vittime arabe soltanto quando cadono per mano di Israele mentre i crimini perpetrati da noi contro noi stessi non suscitano alcune indignazione».
Un altro editorialista di «Asharq al-Awssat», Ayad Abu Shakra si rammenta delle parole pronunciate ad una tv da un palestinese che pure esprimendo il suo odio per Sharon auspica che gli arabi avessero un leader uno del suo calibro. L’autore poi a sua volta auspica che gli arabi si trovino nelle «stesse condizioni degli israeliani che non saranno mai orfani di Sharon mentre noi restiamo orfani del leader di turno»: «Da noi è impossibile distinguere la patria dal potere e il potere dal leader».
Un altro opinionista dello stesso giornale, Ahmed Al-Rubi, fa un parallelo fra la malattia di Sharon e quelle dei capi di Stato arabi circondate sempre da fitto mistero. Contro il «piagnisteo per Sharon» si scaglia invece il quotidiano «Al-Quds al-Arabi» edito a Londra, che elogia i bambini di Gaza giubilanti per la l’agonia del premier e chiede: «Cosa aspettiamo da gente che ha perso tutto a causa sua?».
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