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La Stampa Rassegna Stampa
09.01.2006 L'assestamento della politica israeliana
mentre i medici tentano il risveglio di Sharon dal coma farmacologico

Testata: La Stampa
Data: 09 gennaio 2006
Pagina: 11
Autore: Fiamma Nirenstein - Aldo Baquis
Titolo: «L'amico-nemico tentato dal potere - Sharon, è arrivato il giorno della verità»

La Stampa di lunedì 6 gennaio 2006 pubblica a pagina 11 un'analisi di Fiamma Nirenstein sul ruolo politico di Shimon Peres nella crisi politica aperta in Israele dalle gravi condizioni di salute di Ariel Sharon. Ecco il testo: 

Era stato, fra di loro, di più che un incontro politico: fra Peres e Sharon era stato come un incontro atteso da tanti anni, erano stati sorrisi e battute di affetto fra i decani della storia israeliana, l’uno statista-intellettuale di rango, l’altro generale- contadino salvatore del Paese, ambedue, da lidi lontani, convenuti sulla strada della pace. Peres, che non ha mai preso la tessera di Kadima, era venuto perché credeva in Sharon e perché Amir Peretz proprio non gli piace. Da un uomo della sua esperienza e dei suoi sentimenti Israele si aspettava la migliore messa in scena del dolore collettivo per le condizioni di Sharon. E invece non è andata così. Si può forse immaginare che alle volte la vitalità sia oltre che un dono una spinta un po’ inconsulta; o che l’ispirazione politica a cercare la pace sia una molla invincibile e un uomo di 82 ormai anni non possa fare a meno di rincorrere il suo compito storico quando se ne presenta l’occasione. Eppure, Shimon Peres, Premio Nobel per la pace, il grande personaggio che anche i bambini dei più sperduti Paesi conoscono, avrebbe potuto darsi una tregua politica circa il suo ruolo nelle ore in cui l’amico di una vita e il suo compagno di strada dell’ultima ora giace su un letto di profonda tragedia e di dolore.
Ma non l’ha fatto: invece di offrire al Primo Ministro ad interim Ehud Olmert tutta la sua collaborazione, come invece, sinceri o meno, hanno promesso in questa situazione tutti quanti, compreso chi è nemico giurato del nuovo partito Kadima come Bibi Netanyahu o Amir Peretz, Peres ha traccheggiato, ha risposto bofonchiando ai giornalisti israeliani e stranieri che lo interrogavano sulle sue intenzioni. Sostegno a Olmert sì, ma solo come Primo ministro ad interim. Niente per Kadima o per il futuro politico del Paese. Un silenzio sospetto. Sono cominciate a correre le voci che Peres cercasse, data la malattia di Sharon, la strada del ritorno verso i laburisti, naturalmente con una trattativa che ne facesse di nuovo il personaggio di punto della sinistra pacifista. Si è ripetuto d’altra parte con insistenza che Peres trattava con Olmert, una volta stabilito che non avrebbe potuto sostituire Sharon in testa alla lista del Kadima e quindi come prossimo primo ministro, per il secondo posto in lista e anche per il ruolo di ministro degli esteri. Sharon aveva detto: «Se Peres viene avrà da me tutto quello che vorrà»; un alto piedistallo da cui, a fronte di un sessantenne come Olmert, Peres non può scendere. E Olmert non si sarebbe pronunciato, è incerto fra l’attribuzione di quel ruolo fra lui e la giovane ministra della giustizia Tzipi Livni.
Mentre si sono succeduti, dunque, i bollettini medici drammatici delle operazioni e delle TAC del primo ministro morente, Israele ha mandato ieri e l’altro ieri in onda le interviste a tutte le reti straniere, dalla BBC alla CNN alle europee,in cui Peres veniva interrogato sul suo futuro politico. La verità è che i primi sondaggi in cui Kadima risultava ancora vigorosamente alla testa dell’agone politico israeliano, mostravano anche una preferenza della popolazione per un partito guidato da Peres, ancora un grande vecchio, un nonno rassicurante per un paese sempre in pericolo, e adesso orfano più che mai.
Peres si è dunque trincerato per tre giorni dietro l’assunzione più volte ripetuta che non è il caso di parlare di politica mentre una situazione di emergenza come quella creatasi è in atto, e ha trattato, si dice, su due fronti: quello di Kadima, di cui non è formalmente membro e cui può portate otto seggi certi che controlla oggi presso i laburisti, il suo rapporto con i vecchi laburisti che lo seguirebbero e il rapporto con gli immigrati russi che di Olmert non sanno proprio niente. E quella del suo vecchio Partito Laburista, che sembra aver bisogno di un leader politico che aiuti Amir Peretz, il nuovo segretario-capolista, a una vittoria che invece gli attuali sondaggi mostrano davvero lontana. Questa doppia manovra, peraltro male accolta da ambedue le parti, gli è costato, almeno momentaneamente, una reazione sprezzante da parte dell’opinione pubblica. Così ieri Peres pallido in volto e irato ha passato la giornata a ripetere ai giornalisti che i sospetti lanciati in giro di sue manovre politiche legate alla crisi corrente, sono sporche insinuazioni, pettegolezzi cui l’unica risposta sensata è che si deve piantarla di fare scenari politici seppellendo Sharon quando ancora giace malato.
Una presa di posizione legittima specie per un leader di 82 anni, ma che non allontana i sospetti di manovre da Peres, che oltre a un grande leader e un uomo di idee rivoluzionarie, è sempre stato anche un politico instancabile nella sua guerra per il potere. Alla fine, quello che si sembra intendere è che a Peres non convenga affatto tornare all’ovile socialista, visto il gelo con cui Peretz ha accolto le voci di un eventuale rientro del grande padre del processo di pace («Noi non impediamo a nessuno di avvicinarsi al partito, non chiudiamo certo le nostre porte, ma ci si deve decidere: o di qua o di là»); nè Olmert, per ora inaccessibile, sembra avere intenzione di offrirgli qualche grande opportunità. Fino a ieri sera dunque Peres non stava né da una parte né dall’altra, con l’unica prospettiva di restare il solito grande uomo, e tuttavia richiamato alla realtà della sua età dall’errore di uno slancio giovanile verso il potere che non si confà alla sua anagrafe e al suo ruolo storico.

Corretta e informata la cronaca di Aldo Baquis, "Sharon, è arrivato il giorno della verità". Ecco il testo:

Il graduale risveglio di Ariel Sharon, 78 anni, ricoverato in seguito a una grave emorragia cerebrale, sarà tentato oggi dai medici dell'ospedale «Hadassah Ein Karem» di Gerusalemme, mentre gli israeliani trattengono il fiato e seguono alla televisione, alla radio o via Internet ogni minimo sviluppo nelle condizioni del premier più amato negli ultimi dieci anni.
«Sarà il momento della verità» ha anticipato ieri la stampa. Perché finora i medici hanno tenuto Sharon in coma farmacologico. Di conseguenza non è stato possibile verificare ancora né l’entità dei danni provocati alle sue facoltà mentali dalle emorragie che si sono susseguite nei primi giorni di degenza, né se sia ancora in possesso di riflessi.
Ieri Sharon è stato sottoposto a una nuova Tac ritenuta positiva. L’immagine del cranio ha relativamente soddisfatto i medici dell'ospedale che hanno dunque elaborato un nuovo «piano di intervento». Oggi sarà gradualmente ridotta la dose di anestetici che gli viene somministrata. Nelle ore e nei giorni successivi si cercherà di verificare se il primo ministro reagisca agli stimoli, se sia in grado di sentire voci, di manifestare un livello di comprensione. Sharon non potrà parlare, perché ha un tubo innestato nella gola.
«Le condizioni del premier restano gravi, ma stabili» ha aggiornato ieri il professore Shlomo Mor-Yossef, direttore dell'ospedale. Ma i due figli di Sharon, Omri e Ghilad, sono certi che il padre si salverà, e che tornerà con loro a casa. «Non hanno mai perso la fiducia, nemmeno per un momento» ha detto ieri Geula Cohen, un’ex dirigente del Likud, dopo un breve incontro in ospedale con Omri Sharon.
«Nelle condizioni di Sharon resta un barlume di speranza» ha confermato da parte sua il primo ministro ad interim Ehud Olmert che ha presieduto con mano ferma la consueta riunione domenicale del consiglio dei ministri, nel tentativo di tranquillizzare la opinione pubblica interna e quella internazionale. Olmert ha augurato a Sharon che superi la crisi, che si rafforzi e che infine recuperi il posto di comando. Nel frattempo la sua poltrona è rimasta vuota.
Al tempo stesso, ha detto Olmert ai ministri, «Arik si aspetta che noi torniamo ai nostri posti di lavoro. C'è uno Stato da mandare avanti». Poi, rivolto idealmente al mondo esterno, Olmert ha assicurato: «La democrazia israeliana è forte, le sue strutture funzionano».
Sul piano ideologico Olmert - un ex «falco» del Likud divenuto pragmatico in anni recenti - è la prosecuzione perfetta della linea di Sharon. Ma la domanda che sta a cuore alle diplomazie estere (e che ovviamente ancora non trova risposta) è se al momento opportuno saprebbe mostrare la medesima tenacia nella realizzazione dei suoi progetti. Ieri, nella sua prima dichiarazione di politica interna, Olmert ha puntato il dito contro coloni sospettati di vandalismo. I servizi di sicurezza gli hanno riferito che sono 2400 gli alberi di agricoltori palestinesi troncati in Cisgiordania da ignoti, presumibilmente ultras israeliani. «Che costoro siano identificati e puniti» ha ordinato Olmert.
Sul piano economico Olmert, che funge anche da ministro delle Finanze, ha tenuto ieri una conferenza stampa all'insegna dell'ottimismo, rilevando che il 2005 è stato un anno di crescita prepotente del mercato israeliano. Ha anche previsto che il 2006 andrà altrettanto bene. Ma alla borsa di Tel Aviv il repentino ricovero di Sharon e la mancata approvazione parlamentare per la finanziaria del 2006 (a causa della crisi innescata con la scissione del Likud) destano allarme: in particolare si attende di conoscere oggi la reazione degli investitori stranieri alle rassicurazioni di Olmelrt.
Nella seduta di governo, Olmert ha sentito anche l'aggiornamento del ministro degli Esteri Silvan Shalom secondo cui è ormai urgente che Israele decida se assecondare lo svolgimento delle elezioni palestinesi (il 25 gennaio) anche a Gerusalemme Est, oppure assumersi il rischio di essere accusati (anche dagli Stati Uniti) di averle silurate. Olmert - ex sindaco di Gerusalemme - non ha ancora deciso in merito.
Nel frattempo può felicitarsi di aver ricevuto in poche ore la cooperazione delle principali forze politiche ed economiche del Paese. Anche Shimon Peres ha fatto appello agli israeliani a votarlo alle prossime elezioni: venerdì, dopo un incontro a quattr'occhi, non si era affatto sbilanciato. Ieri, dopo essere stato crocifisso dalla stampa locale per le troppe ambiguità, Peres finalmente ha sostenuto in pubblico Olmert. Si esprimeva in inglese, alla Cnn: ma per il primo ministro ad interim andava bene egualmente.

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