Ariel Sharon è stato uno dei grandi architetti dello stato d’Israele – un padre della patria – ed uno dei suoi leaders più controversi. Ha combattuto in tutte le guerre d’Israele; nel 1973 ha vinto con una decisione geniale la guerra del Kippur; nel 1982 ha sradicato la violenza con cui l’OLP tormantava la popolazione del Libano; ha costretto Arafat a mostrarsi al mondo per quel che egli era – un despota sanguinario e corrotto – riducendolo all’impotenza; ha sconfitto un terrorismo feroce come può esserlo solamente quello nutrito di odio e di fanatismo religioso; ed ora, infine, ha ideato un audace progetto di pace che ha trovato consenso in tutto il mondo, iniziandone la realizzazione contro la volontà espressa dal suo stesso partito.
Eppure cosa ricordano di lui coloro che sanno solo pensare attraverso etichette preconfezionate da altri? Lo ricordano come il criminale di Sabra e Chatila, quel massacro di palestinesi compiuto da milizie cristiane libanesi, che Sharon ebbe il torto di non impedire. Questa colpa per molti anni gli troncò la carriera politica come conseguenza della sentenza di un tribunale israeliano. Ne sono la prova quanto hanno scritto alcuni squallidi imbecilli di fede comunista, carichi di odio e vuoti di intelligenza.
L’eredità che egli lascia ai suoi successori è quella di un paese che si trova esposto ad una triplice minaccia di annientamento: uno stato, l’Iran, che fra pochissimi anni avrà i mezzi per realizzare la bomba atomica, un movimento terroristico, Hamas, che probabilmente vincerà le imminenti elezioni nei territori palestinesi, ed una perversa organizzazione che si chiama Al Qaeda stanno saldando le loro forze contro Israele.
L’ultima geniale scommessa di Sharon è stata quella di arricchire il panorama politico israeliano con la creazione di un partito di centro. Questo partito fa appello all’ elettorato moderato, che è da sempre pacifista e pragmatico, e che non si riconosce più nei due principali partiti tradizionali – i laboristi ed il Likud – a causa della scelta di rendere più radicali le loro posizioni. La migliore risposta politica a tutte le minacce esterne è dunque, per Sharon, quella di una solida pace con i vicini.
Questo partito avrebbe dovuto avere in Sharon il suo fulcro, la forza trainante per vincere le elezioni con un enorme margine di vantaggio sugli altri. Dei due successori di Sharon Ehud Olmert, ottimo ex sindaco di Gerusalemme, non ha tuttavia il carisma e l’ esperienza di Sharon, e Shimon Peres, padre nobile dei pacifisti per almeno trent’ anni, non ha un consenso elettorale sufficientemente ampio. Sharon ha tuttavia trasferito la sua lungimirante visione in un progetto politico che vuole costruire i futuri equilibri regionali insieme ai palestinesi e non contro di loro, e questo progetto gli potrà sopravvivere.
Israele è sempre stato governato da coalizioni di molti partiti, ed anche i suoi più grandi statisti, da Ben Gurion a Rabin allo stesso Sharon, hanno dovuto fare i conti con alleati che li hanno costretti a compiere delle scelte di compromesso. La forza di Israele è nella fermezza e nel coraggio della sua popolazione, non nella figura dominante di un capo. Gli israeliani non hanno bisogno di un leader carismatico: hanno bisogno di un leader saggio e forte, che li guidi verso una pace stabile e che garantisca loro la possibilità di vivere in sicurezza.
Il vero problema sulla via della pace non è la drammatica uscita di scena di Sharon in un momento cruciale della politica mediorientale: è piuttosto l’incapacità del governo palestinese di fermare la violenza degli estremisti.
L’Unione Europea, gli Stati Uniti e la Russia hanno già stabilito che nessun partito che pratichi la violenza e pretenda la distruzione di Israele dovrà far parte del governo palestinese che scaturirà dalle elezioni che si dovrebbero svolgere a fine gennaio: ma Hamas, che secondo tutte le previsioni vincerà queste elezioni, è nell’elenco delle organizzazioni terroristiche e nel suo atto costitutivo chiede l’annientamento di Israele.
Ai primi tre posti nella lista il partito del presidente Abu Mazen, Al Fatah, candida per le prossime elezioni due noti terroristi e la madre di tre terroristi di Hamas, che si dice pronta ad offrire ad Allah anche gli altri suoi figli.
Un’ intervista a questa madre, Umm Nidal, trasmessa lo scorso 21 dicembre da Dream2 e riportata da MEMRI, merita di essere tradotta almeno in parte. “Non esistono civili israeliani, ed Allah non vieta di ucciderli...ho insegnato ai miei figli il sacro dovere della Jihad e ne sono felice... la loro morte per Allah è una benedizione...Alcune persone potrebbero considerare il loro martirio una tragedia, ma per Allah è una benedizione”. Raccontando l’azione di uno dei suoi figli,Muhammad, che era penetrato di notte in un accampamento militare per scaricare sui soldati addormentati il suo mitra, la madre dice: “Sia lodato Allah, ci sono stati molti morti...l’operazione è stata un grande successo...”. L’intervistatore le domanda: “I nemici morti sono per lei più importanti della morte di suo figlio – e non intendo dare un significato negativo a questa domanda” e lei risponde: “Ma certo, io speravo che potesse diventare un martire...Io considero la morte di mio figlio una benedizione, non una tragedia”. Spinta a pronunciarsi sull’uccisione di civili innocenti, questa madre afferma: “Noi musulmani conosciamo bene il versetto del Corano “Chi ti attacca deve essere attaccato allo stesso modo” , ed uccidere civili è una necessità della guerra...Tanto per cominciare sono tutti occupanti, chiunque venga da un altro posto e viva in terra di Palestina è considerato un occupante...Questa è la legge religiosa dell’Islam...”.
Giorno dopo giorno gruppi armati appartenenti alle Brigate dei Martiri di Al Aqsa, che fa capo ad Al Fatah, assaltano posti di polizia ed uffici municipali palestinesi, uccidono poliziotti palestinesi, abbattono il confine con l’Egitto controllato dall’Autorità Palestinese ed uccidono guardie egiziane, minacciano di morte politici palestinesi.
Negli ultimi mesi la televisione ufficiale palestinese ha mandato in onda due volte un programma che nega ogni collegamento con la storia ebraica di molte delle principali città d’Israele ed incita all’odio con queste parole tratte da scritti del poeta arabo-israeliano Mahmoud Darwish: “E’ tempo che voi israeliani ve ne andiate. Vivete dove volete, ma non vivete fra noi. Morite dove volete, ma non morite in mezzo a noi. Noi qui abbiamo il passato, il presente ed il futuro. Andatevene dalla nostra terra, lasciateci il nostro mare, il nostro grano, il nostro sale, le nostre ferite” (Palestinian Media Watch). Questo è anche, da anni, il ritornello di programmi radiofonici e televisivi, libri scolastici, eventi sportivi che i dirigenti palestinesi trasformano in strumenti di odio contro gli israeliani.
Ricordiamocene: per fare la pace bisogna essere in due a volerla, ma per fare la guerra basta che la voglia uno solo.