Dopo essersi liberato ieri di quasi tutte le sue ostilità verso Israele, Sandro Viola riversa oggi 8.1.2006 quelle rimaste su REPUBBLICA in un articolo dal titolo apparentemente neutro "Tutte le paure di Israele". E' questa l'immagine di Israele che Viola preferisce, sfuggendogli, lui distratto al bar dell'Hotel Kindg David, quel che realmente avviene in Terra d'Israele. Dal suo articolo, che invitiamo a leggere integralmente, riportiamo tre paragrafi, a supporto delle nostre valutazioni. Ai nostri lettori la scelta se utilizzarli per scrivere a REPUBBLICA.
"Perchè questo piccolo Israele, sei milioni di abitanti, una striscia di terra arida e pietrosa, è da mercoledì sera, da quando Ariel Sharon lotta contro la morte, al centro dell'attenzione mondiale ?"
Striscia di terra arida e pietrosa ? Sandro Viola esca dall'Hotel King David e guardi Israele, se ne avrà la capacità, cosa che dubitiamo fortemente. E non si chieda il perchè di questa enorme attenzione internazionale, forse c'è in misura esagerata la morbosa curiosità di vedere se questa volta gli arabi riescono a finire il lavoro lasciato incompiuto di Hitler. Non le sembra Mr Viola ?
" Da Ben Gurion a Eshkol, dalla Meir a Begin, da Rabin a Sharon. Non importa se utili o dannosi (come la Meir, per esempio)...."
Dannosa Golda Meir ? Ma lei la conosce la storia della sua vita ? Si informi Mr Viola, esca dal bar dell'hotel King David, entri in una buona libreria e si informi.
" (Sharon).... un uomo che aveva sulle spalle tanti errori e le conseguenze atroci della sua violenza...."
Certo Viola avrebbe preferito che Sharon, e tutti gli altri soldati che hanno difeso Israele, avessero lasciato di sè un' altra immagine, magari una bella bandiera bianca sventolante in segno di resa. Si consoli Mr Viola, la Storia, quella che lei si rifiuta di citare, ha disposto diversamente.
Ecco l'articolo:
Le facce che vediamo da quattro giorni, in apertura dei telegiornali di mezzo mondo, dare notizie sulla gravità delle condizioni di Sharon, appaiono stanche, infreddolite. Il primo mattino è rigido, sulle colline della Giudea. Giornalisti e cameramen sono assiepati dinanzi all´ingresso dell´ospedale Hadassah.
Molti di loro hanno trascorso qui anche la notte, e indossano giacconi imbottiti, grandi sciarpe, berretti di lana. Qualcuno prova a telecamera spenta il pezzo che pronuncerà nel suo prossimo telegiornale, altri hanno appena ricevuto un po´ di generi di conforto, e s´aggirano con un sandwich in una mano e nell´altra un bicchiere di carta colmo di caffè fumante. Contarli, sparsi come sono nella fungaia delle telecamere, non è facile.
Parecchie decine, in ogni caso, e comunque più di quanti ne avessi mai visti attorno ad uno stesso avvenimento prima d´ora. In quale altro paese, le condizioni critiche del primo ministro avrebbero attirato tanti giornalisti (più di mille, a quanto pare) e avuto per giorni i titoli d´apertura nei telegiornali? Perché questo piccolo Israele, sei milioni d´abitanti, una striscia di terra arida e pietrosa, è da mercoledì sera, da quando Ariel Sharon lotta contro la morte, al centro dell´attenzione mondiale? Sì, certo: la specificità politico-strategica, il conflitto irresolubile tra israeliani e palestinesi, e sul fondale il Medioriente con le sue enormi risorse energetiche, i regimi instabili come castelli di carte, l´ondata paurosa dell´integralismo islamico. Ma non si tratta soltanto di questo. C´è altro.
Israele è un crocevia d´emozioni. Oggetto, come nessun altro paese, di ostilità e trepidazioni, di solidarietà e critiche feroci. Nel suo immediato oriente, nel mondo islamico, grandi masse ne sognano la fine. Il presidente d´un grande paese come l´Iran, Mahmoud Ahmadinejad, ne invoca l´eliminazione dalla carta geografica. A poche decine di chilometri da Gerusalemme, nelle scuole organizzate da Hamas, i ragazzi imparano che il conflitto in Palestina potrà essere risolto soltanto quando non ci sarà più lo Stato degli ebrei.
L´intera galassia del terrorismo integralista, addita Israele come nemico numero uno. E non c´è intellettuale, anche politicamente moderato, nel mondo arabo, che non covi un risentimento implacabile verso la condotta dei governi israeliani. Perciò anche lì, sul versante dei nemici più acerrimi di Sharon, gli occhi sono fissi da giorni sui televisori.
A occidente, in Europa e in America, è diverso. Le sinistre, ma anche l´intellighenzia liberale, non hanno fatto sconti ad Israele quando dovevano criticarne - e a ragione, con mille ragioni - la miopia della politica verso i palestinesi, la tremenda durezza delle rappresaglie militari, gli aspetti immorali, inaccettabili, dei quasi quattro decenni d´occupazione dei Territori. Ma anche i suoi critici trepidano, in Europa e in America, quando Israele sembra sul punto di vacillare. Perché in quei momenti, su ogni dissenso prevale il peso del debito, del complesso di colpa, che l´Occidente ha verso gli ebrei. Prevale la solidarietà verso la patria degli ebrei, il timore che essa possa farsi vulnerabile.
E in effetti, con Ariel Sharon tre volte operato al cervello e in coma farmacologico, Israele appare oggi vulnerabile. Non è tanto questione del terrorismo palestinese. Il sistema difensivo (il Muro, le postazioni dell´esercito nei Territori, i fitti controlli di polizia) è solido anche con Sharon in camera di rianimazione. No, la debolezza che si coglie oggi in Israele è politica. Sta nel suo sistema politico. Le patologie del proporzionale, la congerie dei partiti laici e religiosi, quei passaggi di deputati da un partito all´altro con mercanteggiamenti da «suk», una commistione di danaro e politica forse anche più vergognosa che in Italia.
Quando questo sistema ha funzionato, quando ha potuto evitare di ricorrere a continue elezioni anticipate, è stato perché aveva al suo centro un personaggio di doti e temperamento al di sopra della media dei politici israeliani. Da Ben Gurion a Eshkol, dalla Meir a Begin, da Rabin a Sharon. Non importa se utili o dannosi (come la Meir, per esempio) al proprio paese, ma in ogni caso capaci di tenere abbastanza in riga uno dei Parlamenti più chiassosi, sbracati e inclini alla corruzione, che ci siano al mondo. Mentre oggi che Sharon non potrà più tenerne il timone, il sistema politico israeliano rischia di barcollare.
Il sistema politico ondeggia, e la società è disorientata, inquieta. Perché Sharon aveva convinto gli israeliani d´essere l´uomo della provvidenza, un´altra pasta di leader rispetto a tutti i suoi concorrenti, l´unico a sapere quando e che cosa decidere. E in un paese fortemente diviso, insieme causa e vittima di tante convulsioni, la sua presenza s´era fatta carismatica. Una garanzia di sicurezza. Il ministro della Difesa estromesso nell´83 dopo un´inchiesta parlamentare sul massacro di Sabra e Chatila, e costretto ad una lunga eclissi politica, era diventato un padre della patria. Il più popolare, forse, tra tutti i primi ministri d´Israele.
Davanti al Muro del pianto, nel primo pomeriggio di ieri, la massa dei religiosi era più vasta che negli altri sabato, e a sentire il rabbino capo d´Israele, tutti stavano pregando per la vita di Sharon. Mi chiedevo quanti, tra quelle centinaia di religiosi con i cappelli neri a staio e i paramenti della preghiera, fossero gli stessi che quest´estate, alla vigilia del ritiro da Gaza, scrivevano sui muri: «Preghiamo per la morte di Sharon».
Eppure anche i sionisti religiosi, adesso, sentono il vuoto che s´è aperto nella vita politica d´Israele. Così come l´avvertono quelli che furono per decenni, da sinistra, gli avversari di Sharon. Tutti d´accordo probabilmente con quel che ha scritto l´altro giorno Amos Oz, il grande scrittore: «L´ho sempre detestato, ma la sua uscita di scena è una tragedia».
Che viluppo di contraddizioni, attorno alla figura di Sharon, dopo la sua metamorfosi politica dell´ultimo anno. I coloni che lo chiamavano «re d´Israele» e adesso lo esecrano, le destre che gli stavano dietro compatte e poi gli si sono ribellate contro. Gli intellettuali pacifisti che ne avevano sempre criticato la discutibile integrità personale (Sharon è il più ricco dei politici israeliani) e la spinta continua all´«escalation» politica e militare, adesso preoccupati per il domani del paese. E questo non solo in Israele. Un uomo che aveva sulle spalle tanti errori e le conseguenze atroci della sua violenza, lotta oggi contro la morte attorniato da un compianto generale come un grande politico che non avesse mai messo mano a fatti di sangue, a prepotenze morali, a basse manovre della bassa politica. Quasi un paradosso. Ma anche l´ultima prova di quanto sia scottante e complessa, perennemente in vista della tragedia, la vicenda di questa piccola parte della terra.
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