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La Stampa Rassegna Stampa
08.01.2006 Analisi,commento e cronaca da Gerusalemme
di Fiamma Nirenstein,Maurizio Molinari,Aldo Baquis

Testata: La Stampa
Data: 08 gennaio 2006
Pagina: 5
Autore: Fiamma Nirenstein-Maurizio Molinari-Aldo Baquis
Titolo: «Sharon lotta per la vita, può farcela- Yiè beseder-Lo shabbat»

Una buona pagina, quella della STAMPA di oggi 8.1.2006. Una analisi di Fiamma Nirenstein, un commento di Maurizio Molinari e la cronaca di Aldo Baquis. Li riportiamo tutti e tre:

Fiamma Nirenstein: "Yiè beseder", quant'è pericoloso l'ottimismo".

YIÈ beseder»: andrà bene, andrà tutto bene. Devi affrontare una battaglia in cui rischi la vita? «Yiè beseder». Senti male in qualche parte del corpo, ti sei ferito? C'è sempre qualcuno in giro per dirti che yiè beseder. Hanno diagnosticato una malattia o scoperto un grave scompenso economico a qualcuno che ti è vicino nel cuore? Dopo qualche minuto in cui ti viene dedicata una virile simpatia, arriva non richiesto il solito «yiè beseder». Questa formula è l'essenza stessa della filosofia quotidiana della vita in Israele, ed è proprio questa filosofia che forse è stata una concausa delle attuale condizioni di salute di Ariel Sharon.
In queste ore, da quando, mercoledì notte, il Primo Ministro giace al settimo piano dell'Ospedale Hadassa Ein Karem in fin di vita per una devastante emorragia celebrale, tutti i giornalisti e tutti gli israeliani si sono trasformati in chirurghi, in neurologhi, in gerontologi, in dietologi. Ogni anamnesi diventa adesso motivo non solo di dirette televisive, ma di dispute quasi talmudiche tra medici.
Non è stato così nei giorni scorsi: la filosofia dell'andrà tutto bene prese il sopravvento con la negazione della gravità del primo evento, ovvero il colpo del 18 dicembre. Essa ha causato una serie di comportamenti che hanno contribuito ad affaticare e a mettere a repentaglio Arik fino al crollo, anche se certo la grande emorragia non era prevedibile. Di fatto, un uomo di 78 anni, molto soprappeso e provatissimo è stato dimesso dall'Ospedale persino senza che gli venisse imposto il lungo riposo, cui qualsiasi altra persona nelle sue condizioni avrebbe dovuto sottoporsi. E' vero che contrapporsi a Sharon, il generale abituato a vincere nelle situazioni più perigliose, non era facile. Ma è pazzesco che sia subito tornato, senza schermo protettivo, nell'arena della lotta politica. Sharon ha voluto riapparire forte e sano per confermare la forza del nuovo Kadima e per la maledetta necessità moderna di mostrarci in gamba, sani, persino giovani a 78 anni. Persino se era già deciso che subisse un'operazione di cateterizzazione del cuore giovedì.
Yie beseder. Tre volte ha salvato il Paese, due volte ha subito ferite gravissime, Sharon ha creduto che la forza d'animo e la determinazione l'avrebbero di nuovo salvato. E così i suoi cari e i suoi alleati politici. Anche adesso molti in Israele ripetono «E' forte, andrà bene». Lui, il leone, non può morire, nè poteva succedergli niente. Sharon uscì dopo due giorni dal primo colpo battagliero e battutiero, disse ridendo ai giornalisti asserragliati sulla porta dell'Ospedale «vedo che sentite la mia mancanza». Gli veniva prescritta (si dice in dosi massicce) una medicina, il Claxon, per rendere il sangue più fluido: essa ha certo favorito, dicono molti medici, l'avvento dell'emorragia celebrare; non si è riposato; è tornato alla sua lontana fattoria del Negev invece di restare vicino, a Gerusalemme; non aveva sempre con sé il medico personale, che infatti è arrivato da lui mercoledì quando la crisi era già molto avanzata; quando si è sentito male ha seguitato a ripetere che all'ospedale non ci voleva andare, e si è esitato; è stato deciso di trasportarlo all'Hadassa di Gerusalemme, distante due ore, invece che al Soroka di Beersheba, vicino alla sua casa; non è stato chiamato un elicottero... Che altro? Tanti altri errori di valutazioni, gli stessi per cui Rabin non indossava un corpetto antiproiettile quando è stato assassinato. Yiè beseder, diceva spesso anche lui. Si capisce, è una metafora del coraggio che ha sempre salvato Israele. Come si può farne a meno da queste parti? Una donna ieri di fronte all'ospedale ci ha detto: «Lui ha tante volte salvato la mia vita; adesso io sono qui a chiedere a Dio che salvi la sua. Forse mi sta a sentire. Io lo credo, Yiè beseder, Arik è forte».

Maurizio Molinari: " Lo shabbat e la parola del rabbino":

Refuà shlemà le Ariel Sharon ben Vera», piena guarigione per Ariel Sharon figlio di Vera. Terminata la lettura settimanale della Torà e prima di iniziare la preghiera di Musaf il rabbino con accento americano scandisce parola per parola la benedizione per il primo ministro israeliano in un Heical Shlomò - la sinagoga nella sede del rabbinato centrale - riempito in ogni ordine di posti.
Un impercettibile brivido attraversa il pubblico quando la benedizione per Sharon viene pronunciata collettivamente subito dopo quelle per lo Stato, per i militari e per i feriti degli attentati terroristici.
Hassidim vestiti di nero, giovani con variopinte kippot sul capo, turisti e abituali frequentatori ripetono «refuà shlemà» al pari di quanto avviene nelle altre sinagoghe d’Israele come suggerito 24 ore prima da Yona Metzger, rabbino capo ashkenazita, che da radio e tv aveva detto: «Non ci resta che pregare, recitando il testo per auspicare la guarigione dei malati». Lo stesso Metzger aveva preannunciato che in coincidenza con il riposo sabbatico non vi sarebbero stati bollettini da parte dell’ospedale Hadassah ma sarebbero stati i rabbini dentro le singole sinagoghe ad aggiornare il pubblico.
E questo avviene anche all’Heical Shlomò dove il rabbino, prima della fine della funzione, si rivolge ai presenti facendogli sapere che «mentre venivo al Tempio questa mattina ho saputo che il nuovo esame della Tac a cui è stato sottoposto il primo ministro ha confermato che le condizioni sono stabili, senza peggioramenti».
In una città con interi quartieri oramai wireless ed in una nazione ad alto sviluppo tecnologico questo linguaggio ribadisce come lo «shabbat» conservi una particolare dimensione del tempo, dando più forza emotiva alla piccola notizia positiva portata dal rabbino. Ciò basta per rafforzare la convinzione - condivisa dai religiosi e laici nelle sinagoghe da Haifa e Beer Sheba - che unirsi può aiutare il popolo ebraico a superare le difficoltà come già avvenuto spesso in passato.
All’uscita sul piazzale in marmo bianco sono in molti a fermarsi, nessuno pronuncia il nome di Sharon ma tutti vi fanno riferimento, tradendo la speranza in un apparentemente impossibile miracolo che gli consenta di riprendersi. E dire miracolo significa non solo credere ma anche aver fiducia nel team dei medici dell’Hadassa.

Aldo Baquis: Saron lotta per la vita "Può farcela":

Nell'atmosfera rarefetta del dipartimento di neurochirurgia dell'ospedale Hadassah Ein Karem di Gerusalemme è proseguita anche ieri la drammatica lotta per tenere in vita il premier israeliano Ariel Sharon. In serata il direttore dell'ospedale, Shlomo Mor Yosef, ha precisato che le sue condizioni restano «gravi, ma stabili» e che ancora non si può dire che sia fuori pericolo. «La nostra equipe medica e la famiglia del premier lottano per la sua vita», ha precisato. Nel frattempo Sharon resta in coma farmacologico: il suo eventuale risveglio, in maniera graduale, sarà deciso solo oggi dopo una nuova consultazione medica.
Ieri intanto si è fatto strada un barlume di speranza. Ghilad Sharon, uno dei figli del premier, si è detto sicuro che suo padre «riuscirà a farcela». L'obiettivo della famiglia Sharon - ha sottolineato uno dei rari ospiti ammessi al capezzale - è quello di vedere il premier restituito (anche semiparalizzato dall’emorragia cerebrale) all'affetto dei suoi cari, nell’intimità della sua fattoria del Neghev.
Nella mattinata di venerdì - trovandosi in presenza di una nuova emorragia e di un aumento della pressione cranica - i medici dell'ospedale Hadassah se l'erano vista brutta. Sharon era stato condotto con urgenza in sala operatoria, dove era restato per oltre quattro ore. La giornata di ieri è stato più rilassata. In mattinata il premier è stato sottoposto a una Tac che ha confermato ai medici una sostanziale stabilità, con qualche lieve elemento di miglioramento.
Analizzando i dati più recenti, i medici hanno spiegato ai figli di Sharon che è ancora presto per dire con certezza quali delle sue funzioni mentali siano state colpite nel corso della emorragia cerebrale e dei tre successivi interventi chirurgici. Sembrerebbe che l'emisfero sinistro non sia stato colpito in maniera grave, mentre peggiore sembrano le condizioni dell'emisfero destro. La speranza di tenere in vita Ariel Sharon, esiste. Anche se i medici che analizzano la situazione del premier per conto delle televisioni israeliane sono più scettici sulle sue facoltà mentali, una volta superata la grave crisi. Sarebbe in grado di leggere un giornale? Probabilmente no. Un suo eventuale ritorno all’attività politica «avrebbe del miracoloso».
Sono notizie che destano angoscia non solo in Israele, ma in diverse capitali del mondo. Ieri il presidente egiziano Hosni Mubarak e re Abdallah di Giordania hanno sentito la necessità di ricevere informazioni di prima mano dal vice premier Ehud Olmert (che ha assunto ad interim le funzioni di capo del governo). Entrambi hanno elogiato il ruolo di Sharon nel migliorare le relazioni bilaterali e hanno manifestato la volontà di mantenere rapporti di cooperazione anche con il futuro premier di Israele.
In precedenza anche il segretario di Stato Usa Condoleezza Rice aveva telefonato ad Olmert: è stata una novità, perché finora l'interlocutore fisso di Rice in Israele (oltre allo stesso Sharon) era il suo consigliere politico Dov Weisglass. A quanto pare, Rice ha cercato di comprendere con chi dovrà tenere i contatti in situazioni di emergenza. Washington cerca fin d'ora di impostare i nuovi canali di comunicazione del «dopo-Sharon». Il premier israeliano aveva sempre avuto cura di aggirare l'ambasciatore Usa a Tel Aviv (prima Dan Kurtzer, e negli ultimi mesi Richard Jones): per Olmert questo approccio sarà più difficile.
Intanto Olmert è impegnato a dimostrare ai connazionali (e anche ai vicini arabi) che in Israele c'è una sostanziale stabilità politica: oggi presiderà la consueta riunione del consiglio dei ministri. Anche le elezioni politiche sono alle porte e Kadima - il partito centrista fondato da Sharon poche settimane fa - deve scegliere adesso un nuovo leader, nonché stabilire la sua lista elettorale. Con buona probabilità, sarà appunto Olmert a guidare il partito che negli ultimi sondaggi continua a ricevere un terzo dei seggi alla Knesset.
Ma l’improvvisa uscita di scena crea problemi imprevisti. Innanzitutto resta ancora incerto il comportamento di Shimon Peres che aveva sostenuto Kadima «per la grande fiducia personale» che riponeva in Sharon. Peres dice adesso di essere costretto a riesaminare la situazione. Il nuovo leader laburista Amir Peretz spera ancora che sia possibile convincerlo a tornare al suo partito di origine. Venerdì Peres ha avuto un colloquio privato con Olmert, e prevede di averne altri ancora in futuro. Poi farà sapere.

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