Sempre preciso e accurato Graziano Motta sul quotidiano cattolico. Come i lettori potranno verificare leggendo il suo articolo che di seguito riproduciamo. Lo stesso dicasi dell'editoriale di Luigi Geninazzi, a pag.2, che non sempre apprezziamo per il suoi servizi su FAMIGLIA CRISTIANA.Questa volta è inappuntabile. Comico il titolo a pag.4 dell'articolo di Barbara Uglietti: "E nella striscia adesso si teme l'anarchia". Ma come, si teme adesso l'anarchia a Gaza ? e finora, da quando è indipendente sotto il governo dell'ANP, che diavolo è successo ? anche l'articolo ripete la solita aria fritta, i palestinesi temono una "nuova fase repressiva" e così di seguito. Se i redattori di AVVENIRE leggessero i pezzi di Graziano Motta quando li mettono in pagina forse farebbero più attenzione prima di pubblicare certe sciocchezze
Ecco l'articolo di Graziano Motta:
Il momento della svolta nella vita di Ariel Sharon, quello che ha segnato la revisione di una strategia a lungo e tenacemente perseguita nella battaglia, prima militare poi politica, per la sopravvivenza dello Stato d'Israele, è avvenuto a sorpresa tre anni fa, in occasione di quella riunione settembrina che vede a confronto sulla costa mediterranea, a Herzliya (o Cesarea), i personaggi eminenti del Paese, nel governo, nell'arena dei partiti, nelle stanze dell'economia. Il primo ministro, ben noto per il suo atteggiamento deciso, intransigente, nella preservazione dell'Eretz (la Terra promessa nell'accezione biblica e nella visione sionista) attraverso la colonizzazione della Giudea e della Samaria, oltreché della striscia di Gaza, ridimensionava le linee portanti del suo operato, fino ad allora coerente con l'impegno ideologico della destra nazionalista e confessionale, e in particolare del partito Likud, di cui è stato fondatore con Menahem Begin. Era giunto alla conclusione che per preservare il carattere giudaico dello Stato non era più realistico continuare a sperare in un'immigrazione massiccia della diaspora la quale, nonostante gli sforzi compiuti dall'Agenzia ebraica, sostenuti da sostanziosi incentivi finanziari e legislativi, non era avvenuta, né era più possibile attendersi nelle proporzioni auspicate; soprattutto dai Paesi dell'Occidente, mentre quella proveniente negli anni Novanta da Oriente, specificamente dai Paesi dell'ex Unione Sovietica, si era esaurita. E poi il fortissimo tasso di natalità delle famiglie arabe nei Territori palestinesi occupati di Cisgiordania e di Gaza rendeva sempre più problematici non già lo sviluppo ma anche la semplice salvaguardia degli insediamenti di coloni istituiti con grande dispendio di mezzi, ma in una crescente ostilità del mondo islamico locale e internazionale, e nella persistente diffidenza di quello occidentale. Considerazioni di carattere demografico, basate su cifre, proiezioni e studi, insieme con una att enta valutazione degli uomini, dei mezzi e dei costi richiesti per la sicurezza degli insediamenti, facevano ridisegnare a Sharon un nuovo approccio alla realtà territoriale della regione, quindi anche verso le aspettative di pace con i palestinesi; sollecitate queste, in maniera pressante, dal Paese amico e alleato per eccellenza, gli Stati Uniti, pilastro essenziale della sua politica di difesa. Nascevano così il progetto del muro di separazione tra Israele e la Cisgiordania e quello del disimpegno unilaterale, non accompagnato da contropartite negoziate con l'Autorità nazionale palestinese, dalla Striscia di Gaza e da alcuni insediamenti isolati della Cisgiordania. Attuato la scorsa estate nello scontro con i coloni e con le forze politiche e confessionali che li sostengono, ha provocato uno sconquasso nel suo stesso partito Likud, la scissione da cui, sorprendendo tutti, ha fatto nascere il Kadima, movimento in cui sono confluiti personaggi di centro, destra e sinistra, con l'intento di garantire sicurezza allo Stato ebraico e di negoziare la nascita dello Stato indipendente palestinese, salvaguardando sia i maggiori centri urbani ebraici di Giudea e di Samaria sia l'integrità territoriale della capitale Gerusalemme. Un disegno che adesso viene, se non rimesso in discussione, certo compromesso; come avviene nella storia degli uomini a causa di eventi repentini e devastanti quali quelli che si sprigionano nel sistema cerebrale o cardiocircolatorio. Nel caso di Sharon decisamente imprevedibili perché esclusi dalla dimostrazione dell'uomo forte, tetragono dinanzi a ogni avversità, dal suo temperamento di leader carismatico, dalla consuetudine del suo rapporto vigoroso con l'opinione pubblica, con gli uomini delle istituzioni, con gli apparati di potere e le cancellerie internazionali. Le tappe della sua vita hanno concorso alla formazione di un'immagine che nemmeno le recenti inchieste giudiziarie su presunti illeciti nei finanziamenti delle campagne elettorali ha nno potuto scalfire. Si era forgiato nel clima dell'entusiasmo nazionale: un anno prima della sua nascita (avvenuta il 27 febbraio 1928 a Kfar Malal, piccolo centro della Palestina sotto mandato britannico) era entrata in attività l'Agenzia ebraica per la colonizzazione delle terre acquistate dal Fondo nazionale; e un anno dopo a Hebron, la città dei Patriarchi, sulla spinta di agitatori arabi inviati da Amin el-Husseini (che conduceva la lotta alla colonizzazione sionista ), quattromila musulmani si sollevavano contro la minoranza ebraica uccidendo 59 persone e ferendone 42. Fatti che avrebbero segnato per sempre le scelte ideologiche e pratiche del giovane Ariel, a 14 anni membro dell'Haganah, l'organizzazione di difesa ebraica, braccio militare del sionismo politico, e quattro anni dopo di fatto soldato nella prima guerra che gli arabi muoveranno contro l'appena costituito Stato d'Israele. Passerà venticinque anni nelle file dello Tsahal, l'esercito nazionale, come ufficiale nelle guerre del Sinai e dei Sei giorni nel 1967 e come generale in quella del Kippur del 1973, quando disubbidendo agli ordini dei suoi superiori, circonderà le truppe egiziane ribaltando le sorti del conflitto. Un successo che gli dischiuderà l'ingresso nella Knesset, il Parlamento. La sua carriera politica sarà contrassegnata da due grandi eventi: nel 1982, da ministro della Difesa, organizzerà l'occupazione del Libano per allontanare da Beirut Yasser Arafat e l'apparato dell'Olp (una macchia offuscherà l'impresa militare per il mancato impedimento alle milizie cristiane locali di penetrare e di far strage nei campi profughi palestinesi di Sabra e di Chatila; in seguito fu "assolto" da una commissione d'inchiesta, che lo ritenne «indirettamente responsabile»). E negli anni Novanta, come ministro dell'Edilizia, darà grande sviluppo alla colonizzazione dei Territori palestinesi occupati. Diverrà leader del Likud dopo la sconfitta di Benjamin Netanyahu, e vincerà le legislative nel 2001, un anno dopo la famosa sua "passeggiata" sulla spianata delle Moschee di Gerusalemme che fu il pretesto per l'inizio della seconda Intifada. Con quel gesto, più che provocare i palestinesi, Sharon intese contestare il diniego islamico di qualsivoglia diritto ebraico sul Monte ove prima delle moschee sorgeva il Tempio costruito da re Davide e riedificato da re Erode. Seguirono le tensioni con Yasser Arafat, relegato nella Muqata di Ramallah, ma nello stesso tempo maturavano le considerazioni che dovevano portarlo alla politica del "disimpegno" unilaterale dai palestinesi; e, sulla spinta americana ed europea, ad accordare fiducia al successore di Arafat, ad Abu Mazen, per avviare un dialogo verso la pace. Restando tuttavia fermo nel rifiuto dei gruppi fondamentalisti islamici, Hamas e Jihad in particolare, protagonisti ancora oggi di imprese di guerriglia e terroristiche, in quanto propugnano la cancellazione di Israele dalla realtà mediorientale
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