Un bel ritratto di Arik Sharon su LIBERO di oggi 6.1.2006 a firma di Maurizio Stefanini.
“Kadima”: in ebraico significa “avanti!”, o “seguitemi!”, e prima di
diventare il nome del partito con cui Ariel Sharon si presenta alle
prossime elezioni, era stato il tradizionale grido di guerra degli
ufficiali israeliani. Non c’è però plagio: era stato sempre Sharon nel
1948 a lanciarlo per primo, all’epoca in cui Israele combatteva la sua
prima, cruciale guerra per la sopravvivenza, e lui era un ventenne
comandante di plotone. Curioso, certo, che uno slogan di guerra sia
stato poi usato dal falco Sharon quando si è trasformato in colomba per
lanciare un messaggio di pace, Ma, precedenti di De Gaulle con l’
Algeria o di Begin con il Sinai a parte, va pure ricordato che Sharon
viene da una famiglia di sinistra: nasce infatti il 27 febbraio 1928
nel moshav di Kfar Malal, cioè in un villaggio agricolo collettivista.
Dunque, tra i suoi doveva aver riecheggiato quel logo tipico del
socialismo ottocentesco, e che si ritrova infatti in molte testate
storiche della socialdemocrazia europea, dalla tedesca Vorwärts! all’
italiana Avanti!.
In origine, comunque, il suo cognome è Scheinermann.
Ma come molti ebrei immigrati in Israele anche i suoi genitori, di
origine lituana il padre e russa la madre, preferiscono poi adottare un
nuovo nome in ebraico. Sharon, una parola biblica dal significato
letterale di “Foresta”, è la denominazione di quella fertile pianura
costiera proprio al centro della quale Kfar Malal stava. Membro di un
battaglione paramilitare a 14 anni, gravemente ferito a 20 anni come
tenente nella Prima Guerra Arabo-Israeliana, Sharon è capitano a 21
anni e ufficiale dell’intelligence a 23. Ma si stufa della divisa che
lascia per l’Università, di cui poi si stanca per tornare alla divisa.
Maggiore, è comandante di una speciale Unità 101 inventata apposta per
reagire con rappresaglie agli attacchi terroristici contro il
territorio israeliano. Ma in una di queste azioni nel 1953 muoiono 60
civili palestinesi, e l’unità è sciolta. Come verrà chiarito anni dopo,
però, Sharon ha fatto da capro espiatorio, e in effetti in capo a pochi
mesi la 101 è ricostruita come Brigata Paracadutisti 202. Generale all’
età napoleonica di 28 anni, combatte alla testa dell’esercito la Guerra
del ’56, ma qui combina un nuovo pasticcio, impegnando oltre gli ordini
la battaglia di Mitla, e provocando la morte di 40 soldati. Congelato
nella carriera per 6 anni, ne approfitta per laurearsi in Legge. Nuova
resurezione nel 1962, quando diventa capo di Stato maggiore il futuro
Nobel per la Pace Rabin, che lo stima. Comandante della Scuola di
Fanteria, Responsabile dell’Addestramento, è comandante di una
divisione corazzata durante la Guerra dei Sei Giorni, e comandante del
Comando Sud nel 1969. Ma nel ’72 il ministro della Difesa Moshe Dayan,
che lo ha in antipatia, blocca la sua nomina a Capo di Stato Maggiore.
Lascia di nuovo l’esercito sbattendo la porta, e si imbarca a questo
punto in politica. Ormai col Likud, in opposizione al laburista Dayan.
Ma scoppia la Guerra del Kippur, ed è richiamato in servizio al comando
di una divisione corazzata della riserva. Non solo il generale Elazar,
che Dayan gli ha preferito come capo di Stato maggiore, si fa prendere
di sorpresa: è poi proprio Sharon a risollevare la situazione,
aggirando le truppe egiziani sbarcate sul canale con un ardito
controsbarco sulla costa africana, e iniziando addirittura una marcia
sul Cairo, fermata dalla tregua quando è già arrivato al Km 101, numero
evidentemente fatidico.
Furibondo, lascia la divisa definitivamente,
tuonando contro il governo che ha preferito il negoziato alla vittoria
sul campo. Di quell’epoca, famosa è una foto con la testa fasciata, per
una caduta dalla jeep. “Ma perché non usi l’elmetto?”, gli chiede la
seconda moglie Lily, sorella di quella prima moglie Margalith morta in
un incidente stradale nel 1962. “Contro gli arabi non mi serve. Lo
metterò quando sarò tornato a Tel Aviv”, è la risposta. Deputato del
Likud nel ’73, anche lì si stufa dopo un anno e dà le dimissioni, per
fare tra ’75 e ’76 il consigliere dell’amico Rabin, nel frattempo
divenuto premier laburista. Tornato deputato nel ’77 con una sua lista
personale, rientra poco dopo nel Likud, per diventare prima ministro
dell’Agricoltura, poi della Difesa, conducendo la guerra in Libano del
1982. Costretto alle dimissioni dopo la strage di Sabra e Shatila,
resta però ministro senza Portafoglio nel 1983-84, per poi andare al
Commercio e Industria tra 1984 e 1990 e all’Edilizia tra 1990 e 1992.
Di nuovo ministro delle Infrastrutture tra 1996 e 1998 e degli Esteri
tra 1998 e 1999 con Netanyahu, dopo la sua sconfitta è divenuto il
nuovo leader del Likud. Accusato di aver provocato la Seconda Intifada
del 2000 con una provocatoria passeggiata presso il complesso delle
moschee di Al-Aqsa apposta per poter vincere le elezioni del 2001 su
una piattaforma di critica agli accordi di Oslo, a sorpresa una volta
al potere è diventato l’uomo del ritiro da Gaza, dopo aver comunque
ridotto al minimo gli attentati suicidi con la costruzione di un muro
di protezione. Contestato nel Likud, ha fondato Kadima, in cui è
confluito anche il Nobel per la Pace Shimon Peres. Era in testa ai
sondaggi, ma bisogna ora vedere che succederà con questo ictus che, se
pure sopravviverà, minaccia comunque di compromettere definitivamente
le sue capacità di leadership.
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione di Libero. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.