Pubblichiamo i due servizi di Maurizio Molinari, corrispondente della STAMPA da New York, inviato a Gerusalemme. Due articoli che ben descrivono l'atmosfera nella quale vivono oggi gli israeliani
il primo dal titolo "Un salmo per Arik all'ombra del muro"
inviato a GERUSALEMME
I piccoli libri di preghiera con copertina bianca e scritte dorate passano di mano in mano poco dopo l’alba quando a centinaia arrivano di fronte al Kotel - il Muro Occidentale dell’antico Tempio di Gerusalemme - rispondendo all’appello del rabbino capo di Israele, Yona Metzger, di recitare i salmi per Ariel Sharon. I fedeli ripetono ognuno per conto proprio i versi dei salmi riferendosi ad «Ariel Sharon ben Vera», figlio di Vera. Studenti di scuole religiose e soldati, ortodossi e laici raffigurano sulla spianata del Kotel il timore per l’incombere della morte di «Arik», l’eroe di mezzo secolo di battaglie per Israele che a 77 anni rischia di perdere quella per la vita. Dentro di sè ogni fedele è convinto che il dialogo con l’Onnipotente può essere utile e recitando i salmi riesce a sentirsi parte - forse per l’ultima volta - del popolo di Sharon.
Allontanandosi i fedeli si mischiano all’eterogeneo flusso umano che conduce fin oltre la Porta di Damasco, nel cuore della zona araba, dove l’agonia di Sharon è circondata dal più gelido distacco. I piccoli televisori nei caffè mostrano vecchi film, sui giornali non vi sono foto del ricovero e sui carretti non vi sono radio accese per ascoltare i bollettini. Fare domande serve a poco: nessuno risponde. È come se Sharon, la sua agonia ed il dramma di milioni di israeliani fossero su un altro pianeta ovvero quello che inizia a Rehov Yafo, la strada maestra della Gerusalemme ebraica che porta a Mahanè Yehuda, il mercato più volte colpito dai kamikaze palestinesi dove batte il cuore dell’elettorato del Likud, il partito che Sharon ha creato, portato al trionfo, deluso con il ritiro da Gaza e infine abbandonato per il centrista «Kadima».
Attraversare Mahanè Yehuda significa tastare il polso alla democrazia israeliana. Qui tutti parlano di Sharon, del Likud, di Kadima, dei laburisti e di qualsiasi altro soggetto che abbia qualcosa a che vedere con la vita dello Stato. Fra venditori e clienti è un continuo discutere di tutto, spesso ad alta voce, con uso di termini coloriti per sottolineare i dissensi. Nissim non avrà neanche 35 anni, vende «le migliori banane di Gerusalemme» e se la prende con una cliente che gli dice «con Sharon o senza andremo avanti comunque». «Lei si sbaglia - ribatte - senza Arik nulla sarà più come prima». In un viottolo Eli Haddad, venditore di funghi, intrattiene alcuni manovali: «Vedrete, tornerà Bibi - dice riferendosi all’ex ministro dell’Economia Benjamin Nethanyahu - senza Sharon non c’è Kadima, tornerà lo scontro fra Likud e laburisti e vincerà Bibi». Si tratta di un’opinione diffusa. Anche chi si è sentito tradito dal ritiro da Gaza mostra rispetto per il guerriero in fin di vita ma non cela l’attesa per il fatto che la scomoda convivenza con Shimon Peres venga archiviata.
Quasi attaccato al mercato c’è il Bustan ha-Sefardì - il giardino sefardita - dove le tre panche colorate ospitano i pensionati che discutono giocando a scacchi o a carte. A fianco a loro siede un hassid che avrà più di 80 anni, ascolta tutto ma non dice una parola, preferendo mangiare spicchi di mandarino mentre infuria uno scontro verbale da fare invidia alla Knesset. Il tema è «Elohim movil olam» - il Signore muove il mondo - e dunque il fatto che in tutto ciò che avviene c’è un perché. Il punto è scoprire di cosa si tratta. «La novità è che Sharon può anche farcela a vivere - dice un ex autista - ma non riuscirà più a governare come prima». «Sebbene laico come Ben Gurion - aggiunge un georgiano - Sharon mi piaceva ma non l’avrei votato, Kadima è un partito di asini». «Ti sbagli - ribatte un altro - hanno già 40 seggi e se Sharon muore, ne guadagneranno ancora». Nethanyahu piace un po’ a tutti ma c’è chi sostiene che a guidare Kadima, e forse anche Israele, sarà presto il premier ad interim Ehud Olmert piuttosto che il generale Shaul Mofaz o Tzipi Livni, combattiva titolare della Giustizia, che «vorrebbe essere Golda Meir». La girandola di nomi e opzioni non convince il georgiano che chiude la conversazione con un «talui banu», dipenderà da noi.
Il dubbio sulla sorte di Kadima è lo specchio della suspence sulla vita di Sharon e il perno di ogni riflessione politica sulle elezioni e le conseguenze nei rapporti con i palestinesi e gli arabi in generale. Di questo ha discusso Nethanyahu con un team di fedelissimi all’hotel David Citadel. Porte chiuse e bocche cucite hanno protetto una seduta iniziata sulla scia della scelta di non chiedere più ai ministri del Likud di dimettersi: con Sharon in sella la tattica di Nethanyahu era lo scontro frontale mentre ora la scommessa è tentare di esserne l’erede, provando a riunificare il Likud lacerato da Gaza.
e il secondo "Il grande vuoto di Kadima":
La leadership del partito Kadima e le elezioni palestinesi del 25 gennaio prossimo sono le due incognite legate alla salute del premier Ariel Sharon dalle quali dipende l’evoluzione degli scenari mediorientali nelle prossime settimane.
Al fine di allontanare il sospetto che un’uscita di scena di Sharon comporterebbe il tramonto del progetto di Kadima i volti più in vista del nuovo partito - dal generale e ministro della Difesa Shaul Mofaz a Haim Ramon al ministro della Giustizia Tzipi Livni - si sono riuniti a Gerusalemme per confermare la fiducia al premier ad interim Ehud Olmert, con una formulazione tesa a far morire sul nascere le voci di una faida sulla successione. E ciò ha coinciso con un’offensiva di tranquillizzanti indiscrezioni trapelate dai collaboratori di Sharon secondo cui «nei giorni scorsi aveva previsto una ricaduta e lasciato detto cosa si sarebbe dovuto fare».
Resta da vedere tuttavia se la tregua siglata riuscirà a salvare Kadima ed i quasi 40 seggi che i sondaggi le assegnavano prima del ricovero di Sharon. «Oramai nulla è più sicuro - osserva Yossi Verter, analista del quotidiano Haaretz - perché anche se Kadima resterà intatto la sua credibilità senza Sharon è ora in balia dei sondaggi». Da qui l’opinione di Aluf Benn, uno dei politologi più accreditati, secondo cui «i grandi vincitori politici del deterioramento della salute di Sharon sono i due principali leader del Likud, Benjamin Nethanyahu e Silvan Shalom, perché il primo può tornare a sperare di guidare il governo mentre il secondo è l’artefice della decisione di non lasciare più l’attuale governo».
Se il Jerusalem Post dedica un editoriale al «ritorno al passato» - ovvero alla prospettiva che senza Sharon le nuove elezioni tornino ad essere una sfida fra Likud e laburisti - è perché riflette la tendenza ad archiviare la scommessa centrista di Kadima. Se ciò si realizzerà o meno dipenderà molto dalle partite che si apprestano a giocare i leader politici che hanno scelto di seguire Sharon: dal laburista Shimon Peres, combattuto fra il possibile ritorno con i laburisti ed affiancare Olmert, alla quarantasettenne Tzipi Livni, figlia di un eroe della guerra di indipendenza, ex funzionario del Mossad e voce di spicco dei moderati del Likud come ha dimostrato il fermo sostegno dato al piano del ritiro da Gaza a dispetto delle resistenze dell’ala destra del partito.
Dalla sua Tzipi Livni ha anche un precedente: nel febbraio 1969, quando morì il premier in carica Levi Eshkol, a guidare un esecutivo di unità nazionale fu proprio una donna, Golda Meir, allora poco conosciuta ma destinata a diventare uno dei premier più popolari di Israele. Forse non a caso sulle tv israeliane sono stati i volti di Olmert e Livni a campeggiare sin dalle prime indiscrezioni sulla ricaduta di Sharon mentre significativo è stato il basso profilo scelto da Shimon Peres.
L’amministrazione Bush segue ogni dettaglio del delicato passaggio politico perché in ballo ci sono le elezioni legislative palestinesi. Il presidente Abu Mazen minaccia di rinviarle se il governo israeliano non consentirà agli arabi di Gerusalemme Est di prendervi parte e la questione avrebbe dovuto essere discussa ieri pomeriggio da Sharon con due inviati Usa, Eliot Abrams e David Welch. Il ricovero del premier ha fatto rimandare l’arrivo della delegazione americana a mercoledì, quando sarà Olmert a riceverli trovandosi di fronte alla prima decisione dell’interim. Washington teme che le incertezze nel Kadima ed i sondaggi in arrivo possano produrre un corto circuito, e per scongiurarlo ha affidato al portavoce della Casa Bianca, Sean McCormack l’auspicio che «tale questione verrà risolta come già avvenuto altre volte in passato», aggiungendo l’esplicità richiesta ad Abu Mazen di «concentrarsi sull’organizzazione del voto», evitando la tentazione di trarre vantaggio dalle attuali incertezze politiche israeliane.
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