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Il Messaggero Rassegna Stampa
03.01.2006 Tenere i terroristi all’oscuro dei segreti militari è censura
secondo la logica di Anna Guaita

Testata: Il Messaggero
Data: 03 gennaio 2006
Pagina: 14
Autore: Anna Guaita
Titolo: «Iraq, le censure del Pentagono»

Anna Guaita continua la sua personale ed appassionata campagna di attacco contro l’intervento americano in Iraq e, di conseguenza, anche se non sta bene dirlo, la fine del regime terrorista e totalitario di Saddam. Lo fa selezionando con cura gli argomenti da riportare, anche se ciò significa dedicare metà della sezione esteri alla recensione di un film o al commento di un fatto storico, purchè ne emerga un retrogusto anti-yankee ed Israele ne ricavi un danno di immagine (vedi la recensione del recente film di Spielberg o le cronache sui vendicatori della Shoah, per le quali ci sarebbe da domandarsi se fosse stato opportuno parlarne adesso, in concomitanza con le esternazioni di Ahmadinejad). La Guaita oggi titola: "Iraq, le censure del Pentagono", salvo poi spiegarci nel testo che le censure hanno riguardato i web-blogs dei marines e che "a leggere cosa facevano le truppe non erano solo i concittadini, ma anche i terroristi". L’articolo prosegue poi con una carrellata di notizie accuratamente selezionate tra le centinaia disponibili per rendere il quadro il più fosco possibile e far apparire gli americani come un manipolo di gonzi. Ad esempio viene denunciata la sottrazione di risorse destinate alla ricostruzione per finanziare le operazioni militari e sostenere le spese dei penitenziari. La Guaita, che solo di sfuggita (3 righe sulle 115 totali dell’articolo!) nota che "l’insurrezione intanto continua ad uccidere" e che ieri sono morte 12 persone (e fra loro 2 bambini), evidentemente tende a considerare gli americani come gli unici attori sulla scena irachena, liberi di fare quel che credono. La realtà si discosta notevolmente da questo costrutto; le impellenti necessità del confronto con le varie milizie costringono a impiegare risorse nella difesa, che è presupposto indispensabile per la ricostruzione.

Ecco l'articolo:

NEW YORK La guerra del Vietnam fu la prima guerra raccontata con le immagini televisive. Oggi che viviamo nell’epoca di Internet, la guerra irachena è diventata la prima ad essere raccontata nei blog s dei soldati. Dal fronte, migliaia di giovani americani hanno aperto "diari personali" in Internet, e scritto sui loro computer pagine di vita militare, di coraggio e di paura, di patriottismo e di dubbi, pagine intense e vere che nessun giornalista ha potuto eguagliare. Ma il Pentagono non ha gradito: a leggere cosa facevano le truppe non erano solo i concittadini, ma anche i terroristi. E così ha cominciato a chiuderli, lasciando aperti solo quelli più innocui o patriottici.
La decisione del Pentagono non ha indignato i soldati, molti dei quali hanno riconosciuto ai propri ufficiali il diritto di controllare le informazioni sulle operazioni militari. Tuttavia la notizia dell’oscuramento dei blogs è arrivata nello stesso momento in cui si scopriva che il Pentagono aveva pagato una società di pubbliche relazioni perché pubblicasse sui giornali iracheni articoli di sostegno nei confronti delle truppe americane. Quella storia si è complicata quando ieri il New York Times ha aggiunto che la stessa società, la Lincoln Group, è stata incaricata di pagare alcuni leader religiosi iracheni affinché ideassero dei messaggi per convincere i sunniti a non appoggiare l’insurrezione e a partecipare alla vita politica del Paese. Si è avuta così la sensazione che il Pentagono con una mano censurasse le idee e la voce dei propri soldati e con l’altra spingesse perché la guerra venisse raccontata in modo "addomesticato".Il Pentagono, si sa, preferisce che le sue operazioni militari rimangano segrete. Per esempio, negli ultimi mesi, le missioni aeree contro gli insorti sono molto aumentate. Il trend è cominciato alla fine dell’estate, ma si è saputo solo in questi giorni: da 25 missioni in estate, siamo passati a circa 150 a dicembre. Gli esperti pensano che ciò sia la prova che Washington sta per staccare dall’Iraq qualche migliaio di soldati, e per far questo torna a affidarsi ai bombardieri per colpire i covi degli insorti, anche se c’è un rischio maggiore per la popolazione civile.
L’insurrezione intanto continua a uccidere. Ieri 12 persone hanno perso la vita, e fra queste c’erano due bambini. Notizie poco buone vengono anche dal fronte economico. Mentre gli Stati Uniti annunciano che non stanzieranno altri soldi per la ricostruzione dell’Iraq, l’esportazione del petrolio iracheno ha toccato il minimo da quando è cominciata la guerra. Il Paese si trova dunque se possibile in difficoltà peggiori del previsto. Buona parte dei 18 miliardi di dollari stanziati da Washintgon per la ricostruzione è andata invece per la creazione di un esercito, per la costruzione di penitenziari e la protezione dei giudici impegnati nel processo contro Saddam Hussein. Ma a questo punto dell’occupazione, Washington si aspettava che l’Iraq avrebbe esportato almeno 3 milioni di barili di petrolio al mese, pagando da sè la propria ricostruzione. Invece siamo a quota 1 milione e 100 mila barili. Cioè molto meno di quanto se ne esportava all’epoca di Saddam Hussein. Non è un caso che il ministro del petrolio, Ibrahim Al-Ulam, si sia dimesso. Al suo posto, Ahmed Chalabi, una figura a dir poco discussa: fu lui il primo a convincere gli americani che Saddam aveva le armi di distruzione di massa.

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