domenica 24 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Repubblica Rassegna Stampa
03.01.2006 Norman Podhoretz, Bush, l'Occidente e la quarta guerra mondiale
il pensiero neocon riportato correttamente

Testata: La Repubblica
Data: 03 gennaio 2006
Pagina: 39
Autore: Roberto Festa
Titolo: «Ha vinto la quarta guerra mondiale»

REPUBBLICA intervista Norman Podhoretz, uno degli inventori della politica americana neocon. Non è un attacco mascherato da intervista, ma una corretta esposizione del pensiero dell'intervistato. Essendo stati abituati diversamente da REPUBBLICA, prendiamo atto con piacere augurandoci che diventi un'abitudine.

Ecco l'articolo:

«George Bush verrà ricordato come il presidente che ha posto le basi della vittoria nella Quarta guerra mondiale». In calo di popolarità, sempre più contestato dai democratici e da settori del suo stesso partito, George Bush continua ad avere in Norman Podhoretz un estimatore convinto e senza paura. Questa presidenza è d´altra parte ciò per cui Podhoretz e la sua rivista, Commentary, si sono per anni battuti. Nato a Brooklyn da una famiglia di immigrati ebrei, Podhoretz è negli anni Sessanta una delle menti più vivaci della sinistra intellettuale newyorkese. Da posizioni radical critica la guerra in Vietnam. La difesa dei "valori americani" lo spinge poi su posizioni sempre più conservatrici. Con Irving Kristol e altri intellettuali ex-democratici prepara molte delle idee che modelleranno la politica estera americana da Reagan in poi. Oggi, legato all´Hudson Institute e al Council on Foreign Relations, Podhoretz è definito il godfather, il padrino del movimento neocon americano.
Quindi, mister Podhoretz, quella di Bush è per lei una presidenza storica.
«Senza dubbio. Bush ha avuto un ruolo simile a quello di Harry Truman. Truman ha indicato come combattere e vincere la Terza guerra mondiale, quella combattuta contro l´Urss e le dittature comuniste. E´ stato criticato per aver inaugurato la Guerra Fredda, la storia gli ha dato ragione. George Bush è il presidente che ha iniziato a combattere la Quarta guerra mondiale, quella contro gli islamo-fascisti. Il futuro della democrazia dipende dalle sue scelte di oggi».
E cosa c´è di nuovo in queste scelte?
«La novità sta in una formula: la "dottrina Bush". Per sessant´anni la politica estera americana è stata dominata dal concetto dell´equilibrio. Per quieto vivere abbiamo tollerato i regimi più atroci. Ma la politica del contenimento ha fallito: i movimenti antidemocratici si sono moltiplicati e mettono a repentaglio le libertà di tutti. Con Bush le cose cambiano: lui e il suo gruppo dirigente non hanno avuto paura di confrontarsi direttamente con gli islamo-fascisti, e si sono assunti la responsabilità di gettare i semi della democrazia nel mondo. È stata una rivoluzione copernicana per la politica estera americana».
Veramente secondo molti - sempre di più anche in Occidente - questa "rivoluzione copernicana" ha accentuato la minaccia terroristica.
«Non è così. Il terrorismo islamo-fascista non è una risposta alla presenza di truppe americane in Afghanistan e Iraq. Inizia prima, con l´attentato alle ambasciate Usa in Kenya e Tanzania nel 1998, con quello all´incrociatore Cole nel 2000. E l´11 settembre non c´erano soldati americani in Afghanistan e Iraq».
Dal punto di vista della democrazia, non sembra però che quei paesi abbiano fatto molti passi avanti: tensioni etniche, attentati, latente instabilità.
«Anche su questo non sono d´accordo. La settimana scorsa gli iracheni hanno votato per la terza volta nel giro di qualche mese. È un risultato inaudito rispetto a qualche anno fa. Ci sono state elezioni anche in Afghanistan. La causa della democrazia guadagna consensi in tutto il mondo arabo. In Giordania, dopo l´attentato dello scorso novembre, la gente dimostrava in mezzo alla strada urlando contro Al Qaeda e al-Zarqawi. Il Libano si muove. Gheddafi è stato costretto a un radicale cambio di politica, e in senso moderato. Il Medio Oriente è oggi come l´Europa dell´Est all´inizio degli anni Novanta. Alcuni paesi hanno imboccato con decisione la strada delle riforme, altri sono più indietro. Il trend generale è verso la democrazia».
Torniamo a Bush. L´enfasi sulla politica estera gli ha fatto dimenticare gli affari interni...
«È quello che mi dicono alcuni amici conservatori, delusi per il fatto che Bush non sia intervenuto più radicalmente sulla società e sull´economia americane. Gli rispondo sempre: qualcuno si ricorda cosa ha fatto Harry Truman in politica interna? Non mi pare. In fondo all´interno Bush ha fatto quello che gli stava più a cuore, e cioè i tagli alle tasse, che hanno rilanciato l´economia americana».
Ma la riforma del social security è fallita.
«Quello è stato un errore di strategia. Bush lo ha compiuto all´inizio del secondo mandato. Ha cominciato a occuparsi di pensioni, ha trascurato l´Iraq e la guerra al terrorismo. Forse pensava che la causa dell´esportazione della democrazia fosse radicata nell´opinione pubblica americana. Non era così. Ma da due, tre mesi l´amministrazione ha corretto l´errore e riportato l´Iraq al centro della sua politica».
Nessun altro errore?
«Sì, uno soprattutto, e pesante. Katrina. Poi alcuni di minor rilievo, come la scelta di Harriet Miers per la Corte Suprema. Ma Bush si è reso immediatamente conto dello sbaglio. La nomina di Samuel Alito è stata un´ottima idea».
Eppure il Presidente appare in difficoltà. È passato l´emendamento McCain contro la tortura, sgradito a Bush. E alcuni repubblicani si sono ribellati al rinnovo del Patriot Act.
«Sono stati solo quattro i repubblicani che hanno creato problemi. E comunque la legge verrà rivotata presto. Quanto a McCain, ha bisogno di visibilità. Vuole candidarsi alle presidenziali del 2008. Ma sulle questioni importanti è con Bush. Sull´Iraq è persino più a destra del presidente. Vuole mandare più truppe».
Prevede qualche novità di rilievo nei prossimi tre anni di presidenza Bush?
«No. Cheney e Rumsfeld resteranno al loro posto, nonostante le voci di dimissioni. E Bush continuerà nella sua politica. Non cerca la rielezione, e la tenacia è una delle sue virtù. Nonostante sia il Presidente più attaccato della storia americana - più di Nixon o Reagan - andrà avanti nell´opera di rilancio della democrazia nel mondo».
Alcuni dicono che questa tenacia sarà la causa della sua fine politica. I democratici già pregustano la vittoria alle elezioni di midterm nel 2006.
«I democratici compiono un errore clamoroso. L´unica cosa che sanno dire è: "Dichiariamo la sconfitta e andiamocene". Ma agli americani non piace lasciare un lavoro incompiuto. La maggioranza non vuole un ritiro immediato dall´Iraq. Posso fare una previsione? Nel 2006 ci sarà un partito che vincerà, e non sarà quello democratico».

Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione de La Repubblica. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.


rubrica.lettere@repubblica.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT