Riportiamo dalla Stampa di giovedì 29 dicembre 2005:
Due notizie in una: l’Iran, qualificato per la fase finale dei Mondiali di calcio, non trova avversari con i quali misurarsi a livello amichevole; alla base dei rifiuti (ultimo, quello della Nazionale romena), ci sarebbe una sorta di «embargo» contro il suo presidente, Muhammad Ahmadinejad, e il di lui farneticante anti-semitismo. Nessun dubbio che la seconda stritoli la prima. A Zurigo, quartier generale della Fifa, non confermano e non smentiscono. Gli uffici sono chiusi per ferie, e il massimo che si riesce a strappare è la solita filastrocca: «In materia di partite amichevoli, ogni Federazione è sovrana. E comunque a noi non risulta nulla».
L’agenzia di stato Isna nega che le difficoltà siano di genere politico; e, nel dettaglio, di quel «genere» lì. Al di là delle veline, di regime o no, la situazione non è chiara. «Non c’è fretta» ha dichiarato il presidente della Federcalcio iraniana, Mohammad Dadkan, «ogni contatto è rinviato a dopo il 4 gennaio, giorno del sorteggio della Coppa d’Asia». Sarà. Nel frattempo, le voci si rincorrono. La politica è un fiammifero che spesso brucia fra le mani dello sport. Ad Ahmadinejad, ultraconservatore ex sindaco di Teheran, piacciono slogan tipo «C’è arte più bella, più divina, più eterna dell’arte del martirio?». Con Israele, inoltre, ha un conto aperto: ha negato l’Olocausto, smania dalla voglia di bombardarlo, ha più volte invitato gli Stati Uniti e l’Europa a «ospitarlo sulle proprie terre». Nel calcio, per la cronaca, avviene già: Israele è affiliato all’Uefa, partecipa regolarmente alle coppe continentali e, nel quadro delle eliminatorie mondiali, era stato inserito nel gruppo di Cipro, Eire, Francia, Isole Far Oer e Svizzera.
Da sempre, per calcolo, la Fifa si manifesta più sensibile alle ingerenze dei governi in ambito tecnico o amministrativo che non alle prese di posizione di questo o quel leader. Pechino ha avuto le Olimpiadi del 2008 nonostante Tienanmen e un rapporto con i diritti umani che continua a sollevare ondate di legittimo orrore. «Pecunia non olet»: difficile uscire da una spirale così perversa. Ogni tanto, il pallone ci aiuta a sentirci più buoni. Proprio alla guerra fra Iran e Usa i Mondiali del 1998 offrirono gli stracci per una bella ripulita. La partita «della pace» ebbe luogo a Lione, e gli iraniani s’imposero per 2-1. A Teheran scoppiò il finimondo: e non solo lì.
In Germania, gli iraniani affronteranno il Messico, il Portogallo e l’Angola. A proposito: l’Angola era una colonia portoghese, e l’amichevole che avrebbe dovuto mettere una pietra sopra alle sozzure del passato è finita in rissa. Ahmadinejad non rappresenta certo un biglietto da visita di cui andare fieri. Joseph «Sepp» Blatter, presidente della Fifa, si aggrappa ai valori trascendenti dello sport, valori che i sudditi piegano, golosi, ai profitti di bottega. L’importante è giocare: meglio se con l’avversario, ma va bene anche col fuoco. Purché non bruci la cassaforte.
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