Su Avvenire di oggi, 28/12/2005, una intervista con il prof.Sergio Della Pergola, docente di demografia e statistica all'Università ebraica di Gerusalemme. Sullo stesso argomento si veda Informazione Corretta del 25/11/2005 l'intervista di Della Pergola con Angelo Pezzana: Scambio di popolazioni ?
Ecco l'articolo:
Medio Oriente, demografia chiave del futuro
intervista
Il confronto con i palestinesi e il destino del popolo ebreo, ma anche la possibile nuova configurazione di Israele dopo il ritiro da Gaza: parla l’esperto Sergio Della Pergola
Di Paolo Sorbi
Sergio Della Pergola è nato a Trieste nel 1942, ha vissuto e studiato a Milano, dal 1966 vive in Israele ed è professore ordinario di Demografia all’Università di Gerusalemme. Oggi è uno dei leader del think-tank più accreditato presso l’attuale governo israeliano: il Jewish People Policy Planning Institute. Il dialogo che abbiamo con lui tende a fare chiarezza, oltre al problema del confronto con i palestinesi, sul destino del popolo israeliano.
Professor Della Pergola, perché c’è tanta attenzione da parte del governo Sharon per le dinamiche demografiche?
«Il primo ministro è approdato a questo lido con la sua pubblica riflessione al convegno di Herzlya nel dicembre 2002, appuntamento annuale della classe dirigente israeliana. C’è una sua mutazione di visione che considera semplicemente i fatti degli ultimi anni. Negli anni Novanta, Sharon aveva pensato ad un grande ritorno in Israele di oltre un milione di ebrei europei e americani, acculturati e moderni. Questo non è avvenuto. Sono arrivati, al contrario, gli ebrei dalla Russia. Lui ne ha preso atto e si è deciso per una soluzione positiva del conflitto palestinese, per la crescente ed insufficiente attrazione che Israele mostra verso le componenti più moderne dell’ebraismo nel mondo».
Lei da tempo ha elaborato la proposta dello scambio di "terra con altra terra". Ci puoi spiegare questa idea?
«Innanzitutto la questione va collegata al positivo sgombero avvenuto a Gaza. I soldati, fermamente, hanno proceduto al completo sgombero del territorio a stragrande maggioranza palestinese. Ma c’è anche un motivo storico. Il piano di spartizione delle Nazioni Unite nel 1947 prevedeva un certo confine, ma siccome la parte araba lo ricusò e alla fine della guerra del 1948 la parte israeliana, imprevedibilmente, aveva migliorato le sue posizioni, Israele tracciò unilateralmente una certa linea. Incorporando una serie di zone a prevalente maggioranza araba. Sono circa un milione e trecentomila persone. L’area è denominat a "il triangolo". E’ una zona che sta tra la città di Netanya e Tel Aviv, a ridosso del confine. Ebbene l’idea è di passare la sovranità del "triangolo" al futuro Stato palestinese. Senza assolutamente spostare né le persone, né i loro beni, semplicemente spostando i confini. Non esiste dunque più niente di intoccabile per l’attuale governo e per Sharon. L’intera Cisgiordania è l’equivalente della provincia di Torino. L’intero Stato di Israele è l’equivalente dell’Emilia-Romagna. Si tratta di prendere atto che le popolazioni arabe, in Israele, sono più coinvolte dal destino del futuro Stato palestinese, che si accetti il loro rifiuto del sionismo, della bandiera bianco-blu dello Stato ebraico, con tutta la sua identità e storia. E così, viceversa, è necessario integrare nello Stato di Israele alcuni insediamenti ebraici contigui a Gerusalemme come Ma’ale Adumim, Gush Etzion e alcuni altri. Invece altri insediamenti, più isolati, andranno lasciati. Bisogna ripiegare su un confine molto prossimo alla storica "linea verde" che separava la Giordania, nel 1967, da Israele. La mia proposta concerne circa mezzo milione di arabi che sono oltre il 35% di arabi con cittadinanza israeliana. Il che vuol dire alterare profondamente l’equazione demografica e renderla molto più compatibile con le dinamiche identitarie oggi decisive per il futuro dello Stato ebraico».
Nella sua ipotesi c’è anche una proposta su Gerusalemme…
«Il paradigma dell’indivisibilità di Gerusalemme va ben sviscerato. Nel 1967 Israele ha allargato l’area del municipio di Gerusalemme incorporando un territorio che è superiore a quello della città di Parigi. Fu necessario per motivi di sicurezza. Io stesso, studente universitario, fui testimone di bombardamenti all’Università Ebraica dalle colline adiacenti. Oggi però la proposta è di creare due municipi, uno israeliano e l’altro palestinese. Riuniti da un coordinamento della "grande Gerusalemme", come del resto tra Milano, Monza e Sesto San Giovanni. Nessu no, da voi, nota la separazione però, poi, si discute a livello di consorzi una serie di questioni anche di grande rilievo. Le soluzioni tecniche esistono, purché ci siano la volontà e la fiducia reciproca».
In questo contesto, che futuro prevede per lo Stato d’Israele e per l’ebraismo contemporaneo?
«Si tratta di tenere presente la realtà israeliana e del mondo della diaspora ebraico. In realtà il mandato del Jewish People Policy Planning, che è un istituto completamente autonomo, finanziato da fondi sia privati che pubblici, è impostato sull’interesse che è la somma competitiva Israele-diaspora a contare. Ci sarà una nuova fioritura ebraica o entriamo in un drammatico declino? Tutto è nelle nostre mani. Ci sono sia importanti presenze ebraiche in tutti i campi della modernità, ma anche una forte crisi demografica e ampli processi di assimilazione. Prevediamo la formazione di una sorta di Forum mondiale dell’ebraismo con il patronato sia del governo che della presidenza della Repubblica. Con personalità ebraiche, presenti nella realtà internazionale, di altissimo livello e che discutano pubblicamente con i politici israeliani sulle grandi tematiche della globalizzazione in connessione ai destini dell’ebraismo contemporaneo. Può Israele continuare, in eterno, questo conflitto con i suoi vicini? Può essere, Israele, attrattivo per numerosi gruppi ebraici, quasi il 90% di tutti gli ebrei sparsi nel mondo, che vivono in nazioni avanzate e democratiche? Oppure Israele sarà un’entità periferica con reddito basso e, spesso, la morte nelle strade per attacchi terroristici? Potremmo divenire un punto luminoso per tutto il collettivo ebraico e anche dare un contributo spirituale alle altre nazioni?».
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