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La Repubblica Rassegna Stampa
28.12.2005 La memoria di Nemer Hammad stravolge la Storia
Fabio Scuto, intervistandolo, tace e acconsente

Testata: La Repubblica
Data: 28 dicembre 2005
Pagina: 19
Autore: Fabio Scuto
Titolo: «I miei amici di Dc, Pci e Sismi 30 anni da palestinese in Italia»
 La Repubblica  di mercoledì 28 dicembre 2005 pubblica a pagina 19 un'intervista di Fabio Scuto a Nemer Hammad, per anni rappresentante in Italia prima dell'Olp poi dell'Anp. Hammad ricostruisce una storia di fantasia nella quale il terrorismo, anziché essere il principale strumento dell'Olp per raggiungere i suoi scopi politici, avrebbe costituito un attacco alla linea moderata di Arafat. sotto la cui guida l'organizzazione avrebbe scelto fin dal 1974 la linea del "dialogo" (senza però riconoscere Israele, né cessare di colpire i suoi civili). In realtà le stesse vicende  raccontate da Hammad sarebbero incomprensibili se non si sapesse che l'Olp era la principale centrale del terrorismo inetrnazionale negli anni 70 e 80. Proprio a tale centrale i politici della prima repubblica chiesero, in cambio di riconoscimenti politici e di vantaggi operativi, che il nostro paese fosse risparmiato dagli attacchi. Una strategia cinica, non completamente efficace neppure nell'immediato e soprattutto molto dannosa sul lungo periodo: accettare il ricatto del terrorismo si gnifica infatti incoraggiarlo: è anche grazie alla "furbizia" dei vari Moro, Craxi e Andreotti se oggi nel mondo gli allievi di Arafat si sono moltiplicati  e minacciano, come sappiamo, anche il nostro paese.

Nulla di tutto questo viene fatto presente al suo interlocutore da Fabio Scuto, intervistatore compiacente.

 Ecco il testo:   

ROMA - «Quando arrivai a Roma nel 1973, con un falso passaporto siriano e il finto incarico di corrispondente dell´agenzia di stampa siriana, avevo solo soltanto due recapiti: quello alla Lega Araba e quello del Sismi». È un fiume di ricordi Nemer Hammad, ambasciatore palestinese in Italia per quasi trent´anni. Sta per rientrare in Palestina: la bella casa romana dell´uomo che sarà consigliere del presidente palestinese Abu Mazen è ingombra di valigie e scatoloni. «Sono pieni di carte, fotografie, appunti. C´è tanta Italia lì dentro», confessa Hammad.
Con la sua partenza si chiude un´epoca che riporta alla memoria diplomazie d´altri tempi, canali paralleli, mezzi artigianali - eppure efficienti - con i quali portare a termine «operazioni delicate». In trent´anni molte cose sono cambiate nei palazzi romani, si è disciolto il Pci di Berlinguer, è saltata la Dc di Moro e Andreotti, è saito e crollato Bettino Craxi, tre diversi Papi si sono succeduti in Vaticano. Con la Seconda Repubblica sono cambiati molti degli interlocutori, eppure Hammad ha sempre saputo "pilotare" la questione palestinese nelle stanze giuste. Quando arrivò il clima era in un certo senso «caldo»: Monaco e Settembre nero erano ancora vive nella memoria di tutti, il terrorismo palestinese colpiva in Europa, Carlos stava per sequestrare i ministri del Petrolio dell´Opec a Vienna. Allora i rapporti fra la Farnesina e l´Olp non esistevano, «ma la Prima Repubblica», ricorda con un sorriso Hammad, «aveva a disposizione altri canali di comunicazione».
Contatti? «Allora nella mia agenda c´erano solo un paio di numeri di telefono di leader della sinistra extraparlamentare, gente simpatica, ma non era quello che cercavamo. Finalmente a un convegno nel 1974 mi fu presentato Giancarlo Pajetta del Pci». E da allora Hammad aprì per l´Olp relazioni con partiti e istituzioni, con il sindacato. Con Lelio Basso, con Riccardo Lombardi, la Dc di Emilio Colombo e Giulio Andreotti, il Pci di Berlinguer, il Psi di Bettino Craxi. Con Francesco Cossiga.
Si aprirono porte che non erano mai state varcate dai palestinesi, comprese quelle sante di San Pietro culminate con le udienze in Vaticano per Yasser Arafat. Rapporti importanti, improntati sulla fiducia. Nel 1978, dopo che i killer di Abu Nidal assassinarono suo fratello a Parigi, Hammad si dotò a Roma di una scorta di due guardie palestinesi. «Fui io allora a informare i servizi segreti italiani del fatto che le due guardie avevano dei passaporti giordani falsi, così come erano falsi i loro porto d´armi. I servizi ci autorizzarono a comprare le armi. Patti chiari, però ci disse il ministro degli Interni dell´epoca: solo pistole, niente armi lunghe, sennò tutti a casa. E noi stemmo ai patti».
«Ma uno dei momenti più toccanti, anche per me palestinese, fu quando venne rapito Aldo Moro», ricorda Hammad, «negli anni precedenti i rapporti fra la nostra rappresentanza e le istituzioni italiane erano migliorati e la collaborazione con i servizi segreti era molto buona. A chiedermi di far qualcosa per aiutare la liberazione del presidente Moro, non furono solo i leader democristiani, ma venni sollecitato anche dall´opposizione, da Craxi e Berlinguer».
«Avrei fatto qualcosa anche se non mi fosse stato chiesto nulla», racconta Hammad, «Moro era per noi un grande statista, un pragmatico, con una visione positiva anche della nostra causa. Il vostro servizio segreto era allora in contatto con i nostri a Beirut, allora guidati da Abu Iyhad (Salah Kalaf) che promise il suo impegno. Io ne parlai con Arafat e l´allora suo braccio destro Abu Jihad (Khalil al Wazir). Noi non eravamo in rapporti con le Br, ma Abu Jihad era convinto che a Berlino Est ci potesse essere qualcuno in grado di «agganciarli». Mandò due suoi uomini di fiducia in Germania.... ma fu un buco nell´acqua. Nacque così l´idea dell´appello di Arafat per salvare la vita di Moro» E con chi erano in contatto le Br? «Loro cercavano contatti con il movimento palestinese. Ci fu qualche approccio ma non con Al Fatah. Con il Fronte popolare di George Habbash, direi. Con Wadi Haddad (lo stratega dei dirottamenti aerei dell´Fplp, ndr)», che era il suo braccio destro e che aveva legami con la Raf tedesca».
«Negli anni Settanta e Ottanta mettemmo tutto il nostro impegno per evitare che l´Italia diventasse un campo di battaglia», ricorda Hammad, «l´attacco dei terroristi di Abu Nidal all´aeroporto di Fiumicino fu un colpo alle spalle, era un nostro nemico, un nemico della linea di dialogo scelta dall´Olp dopo il 1974». «Collaborammo con i servizi italiani dopo, l´anno successivo identificammo tre uomini di Abu Nidal che erano riusciti a entrare, preparavano un attentato... non voglio dire di più. La loro presenza fu segnalata ai servizi italiani, furono seguiti dai vostri 007, bloccati e rispediti in Libano. Erano anni davvero di una efficace collaborazione, di serio impegno da entrambe le parti». «Noi volevamo spezzare l´equazione palestinesi=terrorismo», spiega Hammad, «eravamo le prime vittime di Abu Nidal che in quegli anni uccise sei ambasciatori palestinesi in Europa. Era alla nostra linea di dialogo che mirava. I governi italiani, ma devo dire anche l´opposizione, tutti - da Andreotti a Berlinguer, da Craxi e De Mita - capirono in quale baratro venivamo spinti e chi si doveva aiutare».
Il cambio di passo con Seconda Repubblica non è stato semplice per Hammad, la conversione della politica italiana in Medio Oriente ha riguardato prima di tutto la questione palestinese. «Oggi è diverso, l´Italia si è dotata di una politica estera meno equidistante dal problema palestinese. Il filoamericanismo e il sostegno senza discussioni a Israele sono diventati pilastri della politica estera italiana, Non c´è nulla di male, ormai non siamo più negli anni 70: abbiamo un filo diretto anche noi con gli Usa e dialoghiamo con Israele, ma questo non significa non poter esercitare un diritto di critica quando necessario».

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