Avvenire di martedì 27 dicembre 2005 pubblica una recensione di Alessandra De Luca del film di Steven Spielberg "Munich", che tratta della strage degli atleti israeliani a Monaco nel 1972 e della reazione decisa dal governo presieduto da Golda Meir. Fin dal titolo dell'articolo, "Munich urla di pace" ( a fianco l'immagine della pagina di Avvenire), ci viene proposta una visione degli eventi moralmente ambigua, incapace di distinguere tra i crimini del terrorismo e la necessaria risposta di una democrazia aggredita. Le critiche che molti hanno rivolto al film di Spielberg sarebbero senza dubbio appropriate per il testo della De Luca, che arriva ad attribuire all"intransigenza israeliana" (cioè al rifiuto di liberare terroristi responsabili di efferati crimini e presumibilmente decisi a commetterne altri: un' "intransigenza", quella di Israele, che risulta dunque più che giustificata) . Per la giornalista però a ricordare la differenza tra terrorismo e antiterrorismo possono essere solo gli "ebrei americani" più "fanatici". L'intera vicenda dell'accoglienza del film di Spielberg è infatti interpretata come il rivoltarsi, ideologico e intollerante, dell'ebraismo americano contro un grande regista ebreo che avrebbe osato guardare al conflitto israelo-palestinese con una visione "pacifista". Persino il ridotto numero delle sale nelle quali il film è uscito è attribuito, senza alcun fondamento, all'ostilità "ebraica" . L'idea che le critiche mosse al film possano riflettere convinzioni personali frutto di riflessione e basate su motivazioni serie non sfiora neanche la giornalista.
Ecco il testo :
Beffardo destino quello di Steven Spielberg, non ci sono dubbi. Il regista, da venerdì scorso nelle sale americane con la sua nuova pellicola, Münich, è attaccato dagli stessi leader ebrei che lo hanno osannato per Schindler's List. E viene bollato come un nemico di Israele (forse anche per questo motivo è uscito soltanto in 532 sale). Il pubblico, comunque, nel primo weekend (vinto in Usa da King Kong con 31,4 milioni di dollari incassati da venerdì a Natale, davanti a Le cronache di Narnia con 30,1) lo ha premiato facendogli incassare complessivi 5,7 milioni (oltre diecimila dollari per sala).
Candidato a un Golden Globe per la regia, Spielberg ricostruisce in Münich un sanguinoso fatto storico per sintonizzarsi sul presente, sfidando tensioni e contraddizioni dell'attuale situazione politica. Il film si apre con il primo attacco terroristico della moderna era televisiva: il 5 settembre 1972, durante le Olimpiadi di Monaco, che promettevano di essere quelle della pace, della gioia e del nuotatore Mark Spitz, otto feddayn del gruppo Settembre Nero, mascherati e armati, fecero irruzione negli appartamenti della squadra israeliana chiedendo il rilascio di circa 200 prigionieri politici palestinesi in cambio della vita degli atleti. Novecento milioni di spettatori assistettero in mondovisione alle drammatiche 24 ore successive all'attentato che, a causa dell'intransigenza del governo israeliano e dei gravi errori di valutazione commessi delle autorità tedesche, si concluse con la morte di tutti e undici gli ostaggi israeliani e di cinque dei terroristi.
Ma questa è solo la premessa. Il film infatti racconta, a partire dal controverso libro Vendetta di George Jonas, le reazioni che seguirono all'attentato e l'avvio di un'operazione promossa dall'allora primo ministro Golda Meir e denominata "ira di Dio", nata allo scopo di eliminare tutti i responsabili della tragedia di Monaco («Ogni civiltà scopre che è necessario scendere a patti con i propri valori»). Il team supersegreto, di cui il Mossad ha sempre negato l'esistenza, è costituito da Avner, giovane figlio di un eroe militare israeliano (Eric Bana, ex Hulk), e altri quattro "giustizieri" (tra cui Daniel Craig, prossimo 007) che nel corso di due anni, con la complicità di mercenari francesi, faranno piazza pulita dei presunti responsabili della strage tra Parigi, Atene, Roma e Beirut. Ma sangue chiama sangue, e le sicurezze di Avner si sgretolano quando all'incrocio tra i tanti segreti internazionali, i suoi uomini cominciano a morire, mentre sua moglie e sua figlia, nata da un anno, non aspettano altro che lui torni a casa.
Le prime accuse a Spielberg avevano definito il film "superficiale" e "presuntuoso", colpevole di aver dato fiducia a un libro pieno di menzogne e di aver stabilito una scorretta equazione morale tra il terrorismo palestinese e le attività dei servizi segreti israeliani. Ma poi l'indignazione, dapprima timida, è cresciuta con il passare dei giorni e ora le voci di protesta sono sempre più numerose. Il regista, che ha dichiarato di aver realizzato il film come una preghiera per la pace, è accusato di non avere a cuore gli ebrei e di aver messo sotto accusa le morti "collaterali" di tanti innocenti solo perché non conosce i problemi della sicurezza nazionale.
Tecnicamente superbo, "sbiancato" dalla fotografia di Janusz Kaminski, teso come un thriller di Hitchcock e come quelli politici degli anni Settanta sulla scia di Z - L'orgia del potere di Costa Gavras e de I tre giorni del condor di Sydney Pollack, Münich (che uscirà in Italia il 27 gennaio) è un film lucido, il più coraggioso mai realizzato da Spielberg, complesso e intrigante, in cui il regista riflette con amarezza sull'inutilità della violenza, sui costi delle rappresaglie, sull'umanità dei carnefici, e mette in primo piano la famiglia che, come sempre nel suo cinema, è ciò che bisogna a tutti i costi proteggere. Forse le crisi di coscienza di un uomo dubbioso sulla legalità di arbitrarie condanne a morte al posto di regolari processi, urteranno la suscettibilità degli ebrei più intransigenti, ma di certo la presenza sullo schermo di personaggi che riaffermano i principi di una cultura basata sulla pace e sul dialogo oggi è più che mai necessaria.
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