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Il Manifesto Rassegna Stampa
23.12.2005 Hamas, il "movimento religioso assistenziale" che si trasforma in "partito politico"
e il terrorismo? In effetti lo affianca un ' "organizzazione militare"

Testata: Il Manifesto
Data: 23 dicembre 2005
Pagina: 9
Autore: Fausto Della Porta
Titolo: «Hamas:»

Il Manifesto di venerdì 23 dicembre 2005 pubblica a pagina 9 un articolo sulle probabilmente rimandate elezioni palestinesi. Fausto Della Porta, autore dell'articolo, definisce i terroristi di Hamas "islamisti" e così descrive la loro organizzazione: "non più soltanto un movimento religioso-assistenzialistico a cui si affianca un'organizzazione armata (le brigate Ezzedine al Qassam), ma un vero e proprio partito politico". Le eliminazioni mirate di terroristi diventano un' "opera di sistematica decimazione dei militanti dell'intifada", i terroristi stessi, anche se mandanti di attentati suicidi, "vittime" e "assassinati", gli attentati "risposte". Inoltre, l'artiglieria israeliana spara "a casaccio", per realizzare un "fuoco di sbarramento" (due cose che evidentemente non si accordano) e il sistema di voto postale per i palestinesi residenti a Gerusalemme (la capitale di Israele, che ovviamente su di essa non accetta i simboli di una sovranità straniera) è una "umiliante parodia colonialistica". Conclude l'articolo la consueta menzione propagandistica sul "muro" che i "nonviolenti" palestinesi e internazionali vorrebbero far abbattere. Per permettere ai terroristi di entrare senza problemi in Israele?

Ecco il testo:


Gli islamisti di Hamas e altre 10 fazioni hanno invitato ieri il presidente dell'Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, a non cedere di fronte alla minaccia israeliana di non permettere ai palestinesi di votare a Gerusalemme est, la parte della Città santa occupata dallo Stato ebraico dopo la guerra del 1967. Ma la maggioranza del partito che attualmente detiene praticamente tutti i seggi alla camera continua a fare pressione sul successore di Arafat per ottenere l'ennesimo rinvio del voto. Il partito fondato da Abu Ammar teme, dopo i successi islamisti nelle recenti tornate amministrative, la definitiva affermazione di Hamas anche alle politiche previste per il 25 gennaio prossimo. E forse è proprio questa paura che ieri sera ha fatto raggiungere in extremis un accordo all'interno del movimento guida dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina. Non ci saranno due liste: le minacce della nuova generazione guidata da Marwan Barghuti sembrano rientrate e Fatah, se mai si andrà alle urne, dovrebbe presentarsi con una sola lista. I numerosi rinvii dell'appuntamento elettorale negli ultimi mesi però non hanno fatto altro che aumentare la popolarità di Hamas, nata con la prima intifada (1987) e che è ormai pronta a cambiare volto: non più soltanto un movimento religioso-assistenzialistico a cui si affianca un'organizzazione armata (le brigate Ezzedine al Qassam), ma un vero e proprio partito politico che si muove nel solco tracciato dalla Fratellanza musulmana egiziana. E proprio il regime del Cairo (anch'esso teme gli islamisti di casa propria) continua a premere per un rinvio. Così come fa il governo Sharon, annunciando il divieto di voto per i palestinesi di Gerusalemme est - in barba a quanto previsto dagli accordi di Oslo - e minacciando che questa volta non potrà mandare in scena nemmeno l' umiliante parodia colonialistica delle precedenti elezioni, con i palestinesi che infilavano le schede nelle buche per lettere degli uffici postali, come se si trattasse di residenti all'estero. Hamas in testa, ieri tutti i gruppi palestinesi l'hanno detto chiaramente: che si voti il 25 gennaio, anche se non sarà possibile farlo nella Città santa. La prima replica, negativa, è arrivata dal «ministro degli esteri» Nabil Shaat: «Non possiamo fare elezioni da nessuna parte senza il voto a Gerusalemme». Mentre il proto-governo dell'Autorità nazionale cerca di contenere in tutti i modi l'avanzata islamista, l'esecutivo Sharon continua nell'opera di sistematica decimazione dei militanti dell'intifada. Ieri a Nablus sono stati assassinati due membri del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp) e uno delle Brigate al Aqsa. L'esercito dava loro la caccia da tempo. Sono stati uccisi dai soldati mentre cercavano di scappare da un rifugio dove si erano nascosti. La vittima eccellente si chiamava Bashar Khalani, comandante del braccio armato del Fplp e considerato mandante di due attentati suicidi in Israele. «Lo vendicheremo colpendo Tel Aviv», hanno fatto sapere quelli del Fplp. E in risposta al lancio di razzi Qassam verso Israele (ieri sono stati feriti leggermente cinque soldati) l'artiglieria ha ripreso a bombardare Gaza. Ibrahim Naana, 21 anni, è stato ucciso da uno dei proiettili sparati a casaccio - come fuoco di sbarramento - dall'artiglieria israeliana appostata all'esterno della Striscia. Mentre sul terreno si registra questa ennesima escalation, s'intensifica anche la lotta popolare non violenta, la nuova forma di resistenza che alcuni settori della società palestinese stanno cercando di far decollare. L'esercito ha respinto con i lacrimogeni una parte delle centinaia di pacifisti che da due giorni stanno arrivando a Bilin (Ramallah) per dare man forte agli attivisti che hanno inventato «la colonia degli occupati»: dall'altra parte del muro, quella che ricade dalla parte israeliana e dove sorgono le loro terre che verrebbero «confiscate», i palestinesi di Bilin hanno eretto baracche e tende - come i coloni - e si dicono pronti a resistere allo sgombero. Per oggi, venerdì di preghiera per i musulmani, sono attesi i rinforzi.

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