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Il Foglio Rassegna Stampa
22.12.2005 Pena di morte in Arabia Saudita, razzismo e antisemitismo in Iran
denunciati da quattro paesi africani

Testata: Il Foglio
Data: 22 dicembre 2005
Pagina: 3
Autore: la redazione
Titolo: «Il prezzo del sangue - Africana»

Un editoriale dal Foglio di giovedì 22 dicembre 2005

Due ragazzini sauditi di quattordici anni si sono azzuffati a scuola due anni fa, uno è rimasto ucciso nella rissa e ora l’altro, Fawaz, che ha 16 anni, sarà decapitato entro tre mesi se la sua famiglia non pagherà a quella della vittima una somma equivalente a 790 mila euro. Secondo la legge islamica vigente in Arabia saudita, in caso di assassinio si apre un doppio procedimento, quello dello Stato e quello della famiglia della vittima. La famiglia può perdonare il crimine in cambio di un indennizzo, e quando questo viene pagato lo Stato lascia libero il processato. La regola del “prezzo del sangue”, vigente nei tribunali islamici sauditi, è quella che ha consentito spesso ai rampolli delle ricchissime famiglie dell’aristocrazia di farla franca dopo aver commesso delitti anche gravissimi. In questo caso la famiglia dello sfortunato ragazzo è povera e non dispone della cifra richiesta. Ha lanciato un appello attraverso la stampa, e ha già ricevuto, da donatori anonimi, metà della somma richiesta.
In Arabia la pena di morte viene applicata in modo assai esteso, secondo Amnesty International solo quest’anno sono state eseguite almeno 81 condanne capitali. L’Arabia ha firmato nel 1996 la convenzione internazionale sui diritti del bambino, che esclude la condanna a morte dei minorenni, ma il caso di Fawaz, come altri documentati dalle organizzazioni umanitarie, dimostra che non la applica. L’antichissima legge del taglione, che forse aveva una giustificazione in società nelle quali lo Stato non era in grado di assicurare la giustizia e la lasciava quindi ai rapporti tra i clan e le famiglie, oggi è una pura e semplice forma di barbarie. Il meccanismo del prezzo del sangue, che di fatto consente l’impunità ai ricchi anche per i più efferati delitti, è, se possibile, un correttivo che la peggiora. Far risalire queste norme all’insegnamento del Profeta, come si fa in Arabia ma non in tante altre società musulmane, non è una prova di attaccamento alla religione, ma la conservazione di un regime odiosamente classista.

Da pagina 2 dell'inserto riportiamo un articolo sulle critiche di alcuni paesi africani all'antisemitismo e al razzismo dei paesi arabi e dell'Iran.Ecco il testo:

Roma. A leggere tra le righe, l’Africa ufficiale

 

 

 

rimane fredda davanti alle dichiarazioni

 

 

 

del presidente iraniano, Mahmoud

 

 

 

Ahmadinejad, su Israele e Olocausto,

 

 

 

ma la sua stampa ufficiosa è un coro

 

 

 

di critiche. Il primo africano a “condannare

 

 

 

senza mezzi termini” è stato il segretario

 

 

 

delle Nazioni Unite, Kofi Annan, che

 

 

 

si è detto in più occasioni “choccato” dai

 

 

 

propositi di Ahmadinejad e ha anche ricordato

 

 

 

che in settembre l’Assemblea generale,

 

 

 

malgrado l’opposizione dell’Iran,

 

 

 

ha passato una risoluzione che rigetta

 

 

 

“ogni diniego dell’Olocausto come evento

 

 

 

storico, sia parziale sia totale”. Ad Annan

 

 

 

ha fatto eco la stampa di molti paesi africani,

 

 

 

a iniziare da quella del Rwanda, che

 

 

 

ha conosciuto il genocidio. Particolarmente

 

 

 

veementi contro Ahmadinejad sono

 

 

 

i giornali ivoriani e centrafricani. A

 

 

 

inizio dicembre le delegazioni dei paesi

 

 

 

africani che fanno parte dell’Oci (Organizzazione

 

 

 

della conferenza islamica) come

 

 

 

il Camerun, il Ciad o il Gabon, presenti

 

 

 

al vertice della Mecca, hanno fatto

 

 

 

sapere ai loro colleghi arabi di “non condividere

 

 

 

assolutamente i propositi razzisti

 

 

 

e antisemiti” espressi in quell’occasione.

 

 

 

I rappresentanti africani sono ripartiti

 

 

 

“disgustati per i propositi scandalosi”, come

 

 

 

viene riportato dalle agenzie. Di solito

 

 

 

i leader africani – alcuni dei quali musulmani

 

 

 

– evitano di commentare le crisi

 

 

 

mediorientali sulle quali non hanno influenza,

 

 

 

ma questa volta hanno voluto far

 

 

 

conoscere il loro disappunto. Quando, in

 

 

 

settembre, il generale Vall, nuovo leader

 

 

 

golpista della Mauritania, si è sentito

 

 

 

chiedere di rompere i rapporti ufficiali

 

 

 

con Israele, ha reagito con un secco rifiuto.

 

 

 

Durante l’Assemblea dell’Onu di settembre,

 

 

 

gli iraniani avevano fatto di tutto

 

 

 

per tentare di coalizzare un fronte anti occidentale.

 

 

 

Secondo un ministro di un paese

 

 

 

arabo presente a New York, “Ahmadinejad

 

 

 

si muoveva con disinvoltura e aggressività

 

 

 

nei confronti delle delegazioni

 

 

 

africane, per tentare di convincerle a sostenerlo”.

 

 

 

La lobby iraniana fece molte

 

 

 

promesse in denaro, petrolio e investimenti:

 

 

 

“Forte disprezzo era apertamente

 

 

 

espresso dal leader iraniano nei confronti

 

 

 

dei paesi occidentali, con manifestazioni

 

 

 

mai viste prima all’Onu”.

 

 

 

Le reazioni africane sono state cortesi

 

 

 

ma distaccate. Come spesso succede

 

 

 

(Gheddafi ne sa qualcosa), gli africani ringraziano

 

 

 

per gli aiuti ma non s’impegnano.

 

 

 

Questa volta però, i titoli delle agenzie ufficiose

 

 

 

continentali, di solito sonnacchiose

 

 

 

e in ritardo, dimostrano che si è passato il

 

 

 

segno: “L’Africa deve rompere con il regime

 

 

 

di Teheran”; “ Razzismo: l’Africa non

 

 

 

ha bisogno dell’Iran”. Più che titoli d’agenzia

 

 

 

sembrano dichiarazioni politiche.

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