Il terrorismo palestinese al servizio di Sharon la versione paranoica del pacifismo negli articoli di Zvi Shuldiner
Testata: Il Manifesto Data: 22 dicembre 2005 Pagina: 9 Autore: Zvi Shuldiner Titolo: «L'onda d'urto dell'ictus di Sharon»
Il Manifesto di giovedì 22 dicembre 2005 pubblica un articolo di Zvi Shuldiner dedicato all' "onda durto dell'ictus di Sharon". La tesi è quella spesso ribadita dal giornalista israeliano: Sharon colpisce i terroristi per provocarne le "reazioni" e dimostrare così alla comunità internazionale e all'elettorato israeliano che non esiste un interlocutore palestinese. Peccato che i terroristi colpiti da Israele (lo affermano i servizi di sicurezza israeliani, non l'ufficio elettorale di Sharon) fossero impegnati nella progettazione di attentati e che dunque colpirli servisse a combattere un terrorismo già in atto, non a provocarne uno "reattivo", e a salvare vite umane, non a sacrificarle a un disegno politico tanto cervellotico quanto irrealistico. Per Shuldiner, ovviamente, la dimostrazione dell'inesistenza di un interlocutore palestinese serve alla perpetuazione di una politica annessionista nei territori. Probabilmente non si è accorto del ritiro da Gaza, nè della risposta palestinese agli accordi di Oslo (il terrorismo e la riproposizione oltranzistica di richieste incompatibili con l'esistenza di Israele), né dell'anarchia che attualmente regna nei territori dell'Anp.
Ecco il testo:
Dopo un ictus che ha tenuto con il fiato sospeso la nazione intera, è uscito l'altroieri dall'ospedale il premier Ariel Sharon, nelle stesse ore in cui l'ex premier Benyamin Netanyahu vinceva le primarie di un Likud in preda a grandi convulsioni. Nei territori occupati la crisi politica si fa sempre più profonda con l'avvicinarsi delle elezioni palestinesi e il suo futuro dipende dall'attitudine del governo israeliano. Il Likud soffre di una severa emorragia politica che, iniziata con la decisione di Sharon di lasciare i partito e di fondare «Kadima» (Avanti), lo ha enormemente debilitato. Ma la notizia dell'ictus di Sharon ha scosso il sistema politico, tanto più che si è scoperto subito un'ovvietà: Kadima è fatta a immagine e somiglianza del gran capo. Che ne resta se Sharon scompare dalla scena politica? In generale si è sempre parlato di Kadima come di un partito temporaneo, la cui forza dipende dal carisma di Sharon. Il numero di ministri, deputati e membri del Likud che Sharon ha trascinato con sé erano suoi fedelissimi e per questo non avevano nessuna possibilità di successo nel Likud. Il nuovo partito ha tutte le caratteristiche di un partito autoritario. O meglio, di un non partito: le decisioni si adottano sempre in base alla volontà del gran leader Sharon.
Al di là del carattere autoritario del partito, Kadima è stato anche un enorme incentivo per la corruzione del sistema democratico. Il ministro della difesa Shaul Mofaz, che prima parlava di Sharon come di un manipolatore, di un pericolo per la sicurezza nazionale e il sabato si candidava alla leadership del Likud - con scarse possibilità di successo - a mezzogiorno di domenica annunciava il suo passaggio a Kadima in base ad alcune promesse sulla sua candidatura futura. La stessa cosa è accaduta con il presidente del comitato centrale del Likud - Hanegbi - e con altri. Sharon ha raggiunto il suo obiettivo: la debilitazione e disintegrazione del Likud.
Ma quando Sharon si ammala, anche se di un malore passeggero, tutti si domandano: che ne sarà del partito non-partito? Chi gli succederà? Chi voterà per i fedeli ma grigi servitori del gran leader?
Netanyahu è rimasto nel Likud come fedele alfiere dei vecchi ideali e, nonostante la sua intenzione di non abbandonare i votanti centristi, è stato percepito come un uomo di estrema destra. Il leader dei coloni oltranzisti Moshe Feiglin ha ottenuto il 15% dei voti, arrivando terzo dopo Netanyahu e il ministro degli esteri Sylvan Shalom. A Gerusalemme, le capacità organizzative di Feiglin e il basso numero dei votanti hanno fatto sì che quest'ultimo ottenesse un vero e proprio trionfo, sia pure su base locale. La sua immagine oltranzista di ultra-destra sarà solo uno dei problemi che deve affrontare il debilitato Likud. L'immagine del Likud è oggi quella di un partito guidato da un personaggio - Netanyahu - che come ministro delle finanze ha accresciuto le disuguaglianze e la miseria in Israele; un partito sempre più estremista e di destra.
L'immagine di Sharon dentro e fuori di Israele è un mito pericoloso. Grazie al Jihad islamico e ad Hamas è probabile che Sharon ha ottenuto ulteriori consensi alla sua idea principale: la convinzione che tra i palestinesi non ci siano interlocutori credibili. Un'analisi dettagliata della situazione seguita al ritiro da Gaza mostra una cosa chiara: il problema non è che non ci sono interlocutori tra i palestinesi, ma che Sharon non ha voluto interloquire con l'Autorità nazionale palestinese (Anp) presieduta da Abu Mazen. Indebolendo Abu Mazen, con la sua politica di repressione, Sharon ha rafforzato le forze fondamentaliste di opposizione.
Dal ritiro non è passato un giorno senza che le forze israeliane continuassero a portare avanti la loro brutale repressione dei palestinesi, che ha spinto le forze fondamentaliste a sferrare attacchi criminali. Se Sharon e l'impotenza di Abu Mazen rendono impossibile il dialogo, la popolarità della politica avventurista del fondamentalismo islamico è in crescita. La lotta contro il fondamentalismo islamico dipende in gran parte dalla politica del governo Sharon, il quale sa bene che il modo migliore per evitare il negoziato è continuare con la linea della repressione. Intanto, in Israele, solo alcuni sostenitori dell'accordo di Ginevra hanno cominciato ad attaccare la presente politica.
Mostrando all'opinione pubblica dentro e fuori Israele che tra i palestinesi non ci sono interlocutori, Sharon può continuare ad atteggiarsi da moderato, quasi da pacifista.
La malattia non è di Sharon. Il sistema politico, la democrazia in Israele, sono malati. La «democrazia» israeliana si basa su un'occupazione che nega i diritti umani e politici più elementari a tre milioni di palestinesi. La grande democrazia del Medioriente continua a portare avanti un gioco politico destinato a perpetuare l'annessione dei territori occupati, negando i diritti nazionali ai palestinesi. Il che può solo produrre altre morti, terrore e sangue.
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