I siti dilloadalice e alicenonlosa pubblicano un intervento del consigliere regionale emiliano dei DS Lorenzo Lasagna, sulla trasformazione in atto del modo in cui la sinistra italiana guarda a Israele.
Ecco il testo:
Sembra passato un secolo dall'estate del 2004, quando il sottoscritto seminava scandalo a sinistra per aver criticato su Reggio nel Web l'atteggiamento dell'Europa nei confronti di Ariel Sharon e della controversa "Barriera di protezione", ma anche per aver sollecitato maggiori aperture di credito verso la politica del premier israeliano. Ci fu addirittura chi stampò quell'articolo e lo fece circolare come prova a carico della mia unfitness.
Oggi sorrido, a pensarci. Perché su Sharon e su Israele in tanti (naturalmente senza mai ammetterlo con franchezza) hanno fatto marcia indietro, al punto che l'improvvisa malattia del premier li induce a paventare un pericoloso vuoto di potere, e magari l'interruzione del processo riformatore avviato nei mesi scorsi.
Non che la situazione sia cambiata, se la analizziamo nel suo complesso.
L'atteggiamento che la diplomazia italiana (la meno filo-araba tra quelle dei paesi Ue) ha tenuto nei confronti delle recenti provocazioni lanciate dall'Iran di Ahmadinejad, ad esempio, è timoroso e poco autorevole: condizionato più dalla potenza del ricatto energetico che da una scelta filo-araba di largo respiro (à la Andreotti) o da considerazioni di stretta Realpolitik.
I cittadini dell'Unione Europea, in percentuali a due cifre, sono convinti che le più gravi minacce alla pace nel mondo arrivino da Israele. Senza necessariamente scivolare su questa posizione grottesca, una parte dell'opinione pubblica resta comunque pregiudizialmente schierata contro Israele e contro gli Usa, salvo magari esprimendosi in sostegno delle più improbabili satrapie islamiche.
Sono atteggiamenti irrazionali sui quali è problematico far breccia, soprattutto perché molti paesi europei hanno enormi interessi (geopolitici ma anche economici) nel mantenere aperto un canale preferenziale col mondo arabo. Fingendo se occorre che il loro atteggiamento derivi da vocazione pacifista o da insopprimibili motivazioni di coscienza.
Se tuttavia gettiamo uno sguardo nel cortile di casa nostra, cioè tra le forze della Sinistra italiana, misuriamo per una volta chiari segnali di un'incoraggiante evoluzione culturale. Alla situazione israelo-palestinese, si guarda finalmente con equidistanza e raziocinio diplomatico. Va detto che un ruolo decisivo, in questo processo, l'ha sicuramente svolto Piero Fassino (non per nulla l'unico, tra i segretari di partito dell'Unione, a poter vantare adeguate competenze di politica internazionale).
Con una fermezza che gli è mancata in altri ambiti, Fassino è riuscito a spostare il baricentro filo-palestinese dei Ds, ponendo le basi per un cambio di rotta nella politica estera di tutto il Centro-sinistra.
Il rilancio in ambito nazionale dell'associazione "Sinistra per Israele" (presieduta purtroppo da un personaggio di recentissima e precipitosa conversione alla causa, e cioè Furio Colombo), sembra sancire nei Ds l'abbandono del quarantennale maternage politico nei confronti della Palestina: un atteggiamento partigiano e sostanzialmente acritico, che ha per lungo tempo inibito ogni analisi critica del conflitto mediorientale (lo dice uno che a diciott'anni sedeva sui banchi di scuola con la kefiah e i distintivi quadricolori dell'Olp in bella mostra, accompagnati dall'immancabile pugno chiuso con kalashnikov).
Contestualmente, tra i riformisti della sinistra si fa largo un certo disincanto verso la classe politica palestinese cresciuta nella penombra della leadership di Yasser Arafat; e si manifesta invece un serio apprezzamento per lo sforzo compiuto da Sharon e dal suo governo.
La strada della piena maturazione è ancora lunga. La stampa di sinistra mantiene un profilo di cattiva informazione su Israele, e per avere notizie attendibili su quanto accade in Medioriente anche un elettore dell'Unione è costretto a procurarsi copia del Foglio o del Corriere.
Ma fateci caso: da qualche settimana la Sinistra italiana (almeno quella riformista: è un inizio) discute di Israele come di un'entità geopolitica a sé.
Sino a pochi anni fa, prima nel Pci e poi ancora nel Pds, era considerato molto chic proclamarsi 'anti-sionisti'. Oggi un'esponente di primo piano della Quercia spiega invece che 'sionismo' è una bella parola (bella quanto può esserlo per noi 'Risorgimento'), e che il patriottismo israeliano non è una variabile dipendente della politica estera americana, ma un fenomeno storico con piena dignità.
Consolidare questa percezione, mentre si gettano le fondamenta di un ipotetico governo dell'Unione, è condizione imprescindibile per la ricostruzione di una politica estera italiana degna di tal nome.
Lorenzo Lasagna
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