Il Manifesto di martedì 20 dicembre 2005 pubblica un articolo sulla dichiarazione del rappresentante dell'Unione europea per la politica estera Javier Solana, secondo cui i finanziamenti europei all'Anp cesserebbero in caso di vittoria di Hamas. L'interpretazione dell'evento data dal quotidiano comunista è sintetizzata dal titolo: "Palestina , il ricatto dell'Ue". Rifiutarsi di finanziare i terroristidi Hamas sarebbe dunque per Il Manifesto un ricatto, un'ingiustificata ingerenza negli affari interni palestinesi. L'articolo, di Michele Giorgio, riprende questa assurda tesi, aggiungendo che le dichiarazioni di Solana rafforzeranno sicuramente Hamas. Ma lo stesso enorme peso degli aiuti europei all'interno del bilancio dell'Anp e nell'economia palestinese, ricordato da Giorgio, rende credibile l'ipotesi opposta. Qualcuno, guardando anche propri interessi, potrebbe pensarci due volte prima di votare Hamas. E' facile capire, comunque, che in ostanza le dichiarazioni di Solana potranno spostare ben pochi voti. ciò che davvero è importante è che l'Unione europea si sia impegnata a non finanziare l'Anp qualora cadesse in mano ad Hamas. Ed'è questo, con evidenza, che risulta inaccettabile al Manifesto, filopalestinese ad oltranza.
Ecco il testo:
Nell'ansia di allinearsi ad una recente decisione del Congresso Usa, l'Alto rappresentante della politica estera dell'Ue Javier Solana ha sollevato un polverone nei Territori occupati annunciando il taglio dei fondi europei ai palestinesi in caso di una vittoria del movimento islamico Hamas alle elezioni del prossimo 25 gennaio. Le parole di Solana, come era prevedibile, hanno provocato un coro di proteste palestinesi, messo in cattiva luce l'Europa e, più di tutto, dato un aiuto considerevole alla campagna elettorale di Hamas reduce dal successo conseguito la scorsa settimana nella quarta fase delle municipali in Cisgiordania e Gaza. Ieri il leader politico di Hamas in esilio, Khaled Mashaal, ha giudicato un'«ingerenza flagrante» negli affari interni palestinesi la linea assunta da Solana nei confronti del movimento islamico. Secondo Mashaal, la posizione dell'Ue «rappresenta una minaccia per la linea europea più di quanto non lo sia per Hamas». È una linea, ha proseguito, che «riflette una politica di due pesi e due misure e gioca con i valori della democrazia e della libertà. Visto che è stata scelta la via della democrazia, dovrebbero rispettare i suoi risultati e non confiscare il diritto del popolo palestinese a scegliere i suoi leader», ha affermato Mashaal. I palestinesi ricevono 830 milioni di euro l'anno in aiuti internazionali (pari a circa la metà del bilancio dell'Anp) e l'assistenza dell'Ue dovrebbe raggiungere la cifra di 260 milioni di euro nel 2006. Aiuti importanti, ai quali i palestinesi non possono certo rinunciare. Le parole di Solana vengono perciò giudicate nei Territori occupati come un «ricatto politico» e un ulteriore «segnale» dell'appiattimento di Bruxelles sulle posizioni di Tel Aviv e Washington. «Non c'è dubbio che una vittoria di Hamas alle elezioni del 25 gennaio, peraltro assai improbabile, sarebbe motivo di forte preoccupazione anche per tanti palestinesi, soprattutto quelli laici e progressisti, ma la democrazia va rispettata e tutelata sempre, senza eccezioni. Hamas si è presentato alle legislative rispettando la legge elettorale votata dal Parlamento dell'Anp quindi, agli occhi dell'intera popolazione, ha il pieno diritto di presentare le sue liste come tutti gli altri partiti», ci ha detto l'analista Mouin Rabbani, dell'International crisis group. Anche Rabbani è convinto che prima il Congresso Usa e poi l'Unione europea abbiamo fatto il gioco di Hamas con le loro «tempestive» dichiarazioni in piena campagna elettorale palestinese, mettendo ancora di più in difficoltà l'Anp e il partito Al-Fatah, travagliato da una profonda crisi interna. Dichiarazioni che non hanno tenuto conto in alcun modo della linea del presidente Abu Mazen il quale più volte spiegato che il coinvolgimento di Hamas nel processo politico è finalizzato anche a mettere fine alla sua lotta armata contro Israele. Svanisce nel frattempo tra i palestinesi e nell'intero mondo arabo l'immagine dell'Europa equilibrata in politica estera, in particolare nel conflitto israelo-palestinese.
Continua peraltro a generare reazioni di condanna la marcia indietro di Bruxelles sul documento riservato che criticava la politica di Israele a Gerusalemme est, la parte araba della città occupata da Israele nel 1967. Il rapporto, secondo le indiscrezioni apparse sulla stampa britannica, accusava Israele di voler isolare la parte orientale della Città santa violando la Road Map ma è stato bloccato su insistenza proprio del ministro degli esteri italiano Gianfranco Fini. Il fatto più increscioso è che, come ha dichiarato lo stesso Fini, «i ministri europei sono consapevoli e preoccupati di quel che sta accadendo (a Gerusalemme est)» ma non intervengono perché, ha aggiunto, «lo status della zona araba della città va definito entro la Road Map e i confini dello Stato palestinese non possono essere precostituiti».
Sulla base della tesi di Fini, Israele può continuare a violare le risoluzioni internazionali, ad espandere le colonie intorno a Gerusalemme, a costruire il muro e ad annettersi crescenti porzioni di territorio palestinese sino a quando non verrà trovato un accordo tra le due parti all'interno della Road Map. Un giorno in cui, evidentemente, non ci sarà più nulla da negoziare.
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