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La Stampa Rassegna Stampa
18.12.2005 Il totalitarismo assoluto nazista era una leggenda
lo sostiene lo storico Nicola Tranfaglia

Testata: La Stampa
Data: 18 dicembre 2005
Pagina: 26
Autore: Nicola Tranfaglia
Titolo: «Un ospedale ebreo nel cuofre del Reich»
Segnaliamo l'articolo di Nicola Tranfaglia uscito su LA STAMPA del 17-12-05. E' una recensione al libro "Ritorno all'inferno" di Daniel B.Singer pubblicato da Marsilio sulla vicenda del cosidetto ospedale ebreo di Berlino.
Ecco la recensione, alla quale segue il nostro commento:

CHI l'avrebbe immaginato che in un quartiere della Berlino dominata da Hitler e dal nazionalsocialismo un ospedale con medici e infermieri ebrei potesse sopravvivere fino alla caduta del terzo Reich alla fine di aprile del 1945? Forse nessuno eccetto quelli che fanno di mestiere gli storici e hanno trovato sulle riviste specializzate alcuni studi parziali della storiografia tedesca negli ultimi anni che ha ricostruito pezzi e frammenti di quella incredibile storia.
Ora uno studioso americano, l'avvocato Daniel B.Silver che è stato a lungo consulente dei servizi segreti americani ha pubblicato negli Stati Uniti l'incredibile storia dell'ospedale ebraico di Berlino che ora Marsilio traduce con il titolo Rifugio all'inferno (pagine 340,19 euro).
La vicenda merita la nostra attenzione perché da una parte smentisce la leggenda di un totalitarismo assoluto che non appartiene alla storia reale ma dall'altra rivela con precisione il prezzo altissimo che gli ebrei di Berlino pagarono nei dodici anni del dominio nazista nonostante la sopravvivenza almeno formale della loro antica istituzione. Come potette accadere che in quegli anni il potere nazista non distruggesse completamente l'ospedale e deportasse per ucciderli tutti quelli che vivevano in quell'ospedale?
Per rispondere a questo drammatico interrogativo val la pena seguire il racconto chiaro e documentato di Silver che ha consultato gli archivi nazisti e soprattutto ha raccolto molte importanti testimonianze dei protagonisti piccoli e grandi di quella terribile tragedia.
Il punto di partenza della deportazione degli ebrei ricoverati nell'ospedale è quello della funzione religiosa dello Yom Kippur nel 1941 quando restavano ancora sessanta-settantamila ebrei nella capitale tedesca malgrado l'espulsione degli ebrei di nazionalità polacca e gli assassini avvenuti nei campi di concentramento della Germania dopo la notte dei cristalli del novembre 1938.
Alla fine delle celebrazioni arrivò la polizia politica nazista, la Gestapo, e chiese al rabbino capo Leo Baeck le chiavi della Sinagoga che sarebbe stata trasformata da quel momento in un campo di raccolta degli ebrei in attesa di trasferimento nei territori dell'Est, cioè nei campi di concentramento e di sterminio posti in quella zona.
La Gestapo chiese la collaborazione della comunità ebraica per organizzare e attuare la deportazione e Baeck scrisse: «Quando ci chiedemmo se degli intendenti ebrei dovessero svolgere il compito di arrestare degli ebrei perché fossero deportati, io mi dichiarai favorevole perché loro, almeno, sarebbero stati più gentili e disponibili della Gestapo e avrebbero reso meno dure le traversie dei deportati. Che potere avevamo di opporci realmente agli ordini?». E così avvenne da quel momento in modo coerente alla politica svolta già dai nazisti in Polonia e in altri paesi occupati.
Non sono mancate critiche dopo la fine della guerra a questa decisione, del tutto forzata, della comunità ebrea di Berlino in cui Baeck poi deportato e morto nel lager ebbe di sicuro un ruolo importante. Basta ricordare quel che ha scritto Hannah Harendt sulla scelta drammatica di quell'anno: «Agli occhi di un ebreo il ruolo che svolsero i leader della comunità ebraica nella distruzione del loro stesso popolo costituisce indubbiamente il capitolo più oscuro di tutta questa storia tenebrosa».
Ma il personaggio centrale della storia narrata da Silver è un altro ebreo, Walter Lustig che assunse, dopo l'inizio delle deportazioni, un ruolo decisivo come direttore nello stesso tempo della Divisione sanitaria della capitale e leader della comunità ebraica di Berlino e che di fatto assunse la responsabilità della selezione degli ebrei che i nazisti di volta in volta deportavano incaricando per giunta medici e infermieri ebrei di seguire i convogli che presto partirono settimanalmente verso i campi di morte del Reich.
E' superfluo aggiungere che l'incarico equivaleva a una condanna a morte giacchè nessuno dei medici e degli infermieri che accompagnarono i convogli ritornò nell'ospedale berlinese.
Silvio racconta anche la fuga di gran parte dei medici migliori che lavoravano all'ospedale e anche di molte infermiere che riuscirono fino al 1942 a sfuggire alla deportazione andando in Europa, negli Stati Uniti o in altri paesi in grado di accoglierli. E descrive il successivo deteriorarsi della situazione negli anni successivi fino all'arrivo dei sovietici e al crollo nazista. Del perché i nazisti non chiusero mai l'ospedale divenuto lo strumento della selezione ebraica dà alla fine una spiegazione convincente.
«Da un lato - egli osserva - l'ospedale si ritrovò in prima linea nel marasma delle deportazioni assumendo un ruolo chiave nello svolgimento delle stesse, tanto che negli ultimi anni di guerra, il terreno su cui sorgeva ospitò il centro nevralgico della macchina organizzativa tedesca determinata a farla finita con gli ebrei passibili di deportazione rimasti ancora a Berlino. Dall'altro una delle ragioni per cui l'ospedale non venne chiuso in un periodo in cui il regime andava eliminando gli organismi e le istituzioni ebraiche è proprio legata al fatto che i nazisti ritenevano che esso avrebbe svolto un ruolo utile nelle deportazioni di massa. Il compito che ebbe nelle deportazioni fu quindi il fattore determinante per la sua sopravvivenza e permise di mantenere in vita molti ebrei che altrimenti sarebbero stati deportati e quasi certamente sarebbero morti».
Un certo mistero permane ancora sulla morte di Lustig che all'arrivo dei sovietici a Berlino chiese agli occupanti di dargli le stesse cariche ricoperte nel regime nazista e a quanto pare la risposta dei sovietici fu quello di prelevarlo dall'ospedale e di giustiziarlo.
Ma non esistono sulla probabile fine dell'ebreo che era stato indubbiamente un collaboratore dei nazisti, non per sete di denaro ma a quanto pare di potere e di status sociale a quanto riferiscono le testimonianze dei sopravvissuti, documenti o prove che ne dimostrino la morte nel 1945 o negli anni successivi.
Si era, d'altra parte, in tempi di disordine e incertezza e non si può escludere che Lustig che forse si sarebbe salvato se non si fosse fatto avanti per ottenere nuove cariche sia stato denunciato da qualcuno e quindi catturato e ucciso dagli occupanti. La vicenda, pur con queste spiegazioni, conserva ancora tratti di incredibilità in un regime totalitario governata da uno spietato e criminale razzismo.

Così inizia il terzo capoverso:
"La vicenda merita la nostra attenzione perchè da una parte smentisce la leggenda di un totalitarismo assoluto che non appartiene alla storia reale..."
Capito ? Il totalitarismo nazista non appartiene alla storia reale, era una leggenda !

E' importante che LA STAMPA riceva il maggior numero possibile di lettere di protesta. Nicola Tranfaglia è professore di storia contemporanea all'Università di Torino, storico, autore di numerosi libri.

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