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La Stampa Rassegna Stampa
16.12.2005 Per Dieudonné la memoria della Shoah fa "crescere il razzismo"
e naturalmente é "orchestrata dagli interessi sionisti"

Testata: La Stampa
Data: 16 dicembre 2005
Pagina: 11
Autore: Domenico Quirico
Titolo: «Ero schiavo, non ditemi razzista»
Domenico Quirico, sulla STAMPA di vnerdì 16 dicembre 2005, intervista il comico francese Dieudonné, che allinea dichiarazioni sconcertanti sulla "gestione industriale" della sofferenza degli ebrei, naturalmente "orchestrata dagli interessi sionisti", sul "crescere del razzismo dovuto all'ossessione memoriale intorno alla Shoah" e sulla "completa liberalizzazione dei discorsi per cui il razzismo può esprimersi liberamente", manifestata a suo dire dal fatto che Alain Finkilekraut ha osato definire "islamiche" le rivolte nelle banlieus francesi.

Titolo di questo catalogo di veleni: "Ero schiavo, non ditemi razzista".

E se facesse qualche sforzo anche Dieudonné, per non indurre nessuno in tentazione?
Per quale motivo la battaglia per la memoria dei crimini dello schiavismo e del colonialismo deve condurre a un attacco alla memoria della Shoah, (prima ridotta a macchinazione, a complotto "sionista", nonostante Dieudonné neghi la propria adesione a una "tesi di dominazione occulta", poi addirittura accusata di fomentare il razzismo), all'odio per Israele, alla cecità di fronte all'intolleranza del fondamentalismo islamico?

Purtroppo l'intervista di Domenico Quirico appare generalmente acritica e piuttosto fiacca quando accena a una replica "Non pensa che oggi questi siano discorsi pericolosi?" chiede l'intervistatore, senza entrare nel merito di tali discorsi, che sono, oltre che, certo, pericolosi, farneticanti.
Ecco l'articolo:

Dieudonné, una volta, era un comico. Oggi continua a riempire i teatri. Ma ha mutato ruolo: è diventato un provocatore, per taluni insopportabile e pericoloso, per altri profetico. È una voce che l’altra Francia, quella dei neri, degli antillani, quella delle banlieue, ascolta e approva. Lo hanno portato 17 volte il tribunale per diffamazione razziale e antisemitismo, perfino un primo ministro, Raffarin, è sceso dal piedistallo per accusarlo pubblicamente. Forse si prepara a diventare anche un leader politico, poiché sessanta organizzazioni di neri si sono federate per mettere in piedi una replica dell’americano «Black Power». In un Paese delle periferie in rivolta, turbato e confuso, dove la destra di Le Pen (che lo difende) guadagna consensi, lui rifiuta di essere catalogato come un Ahmadinejad di banlieue. Il suo nemico, dice, è proprio «il communitarismo», il ripiegarsi sulla identità tribale, vero cancro della Francia.
Una volta ad Algeri ha parlato della «rievocazione della Shoah come pornografia della memoria». Cosa risponde a chi lo accusa di antisemitismo?
«Che cosa è un antisemita? Guardi che io non parlo di grandi complotti, non aderisco a nessuna tesi di dominazione occulta etc, etc. Non ho odi, non ho animosità, non considero l’altro in funzione delle sue credenze religiose, se in privato usa il Corano o la Torah. Il problema di cui parlo è la gestione della sofferenza degli ebrei, un crimine terribile e inammissibile ma allo stesso modo degli altri».
Com’è stata trattata questa memoria in Francia?
«C’è stata una gestione industriale di questa tragedia. La guerra della memoria che è esplosa in Francia è collegata alla unicità della sofferenza fissata dalla legge Gayssot nel 1990 che considera un delitto la negazione dei crimini contro l’umanità. C’è una sola sofferenza riconosciuta , è quella del popolo ebreo durante la seconda guerra mondiale. È una sofferenza assoluta e incontestabile, ma non è una sofferenza più importante della nostra, di noi neri. Io penso che c’è stata una gestione della sofferenza orchestrata dagli interessi sionisti, di questo dramma terribile, incontestabile assoluto che è il dramma dell’Olocausto»
Vuol dire che si sono stabilite delle differenze?
«Certo, da quel momento hanno gerarchizzato la sofferenza, le hanno dato l’etichetta di sofferenza più grande e lo spirito della Repubblica si è incrinato, la cittadinanza si è incrinata, libertà-fraternità-uguaglianza non esistono più. Ho sollevato questo problema, mi sono scontrato parlando di queste cose contro un muro. La sofferenza degli ebrei è terribile, lo ripeto, e non è meno importante delle altre sofferenze. Nel mio discorso non c’è niente di antisemita. Il vero problema oggi è il crescere del razzismo che è dovuto all’ossessione memoriale intorno alla Shoah. Nel mio libro di storia a scuola non avevo nessuna pagina sulla tratta dei neri ma alcune pagine sulla Shoah, questo non vuol dire che bisogna togliere le une per mettere le altre, non bisogna dare a una comunità il monopolio della sofferenza, provoca gravi conflitti. Quello che succede oggi nelle banlieues è che le popolazioni che più soffrono, che sono le più esposte al razzismo, all’ingiustizia e alla discriminazione sono le popolazioni di origine africana».
Non pensa che oggi questi siano discorsi pericolosi?
«Io sono un meticcio, un discendente di schiavi e ho sentito parlare più della sofferenza degli ebrei che della mia. Il paese che ha inventato i diritti umani, che si vuole terra di riconciliazione, è un paese colonialista, che nasconde la sua storia. Bisogna chiarire il passato schiavista, imperialista e colonialista della Francia. Qui si ascoltano le dichiarazioni di Finkielkraut sulla "rivolta islamica" nelle banlieues. C’è una totale liberalizzazione dei discorsi per cui il razzismo può esprimersi liberamente. Quello che è successo nelle banlieues ne è la prova, da un lato una espressione di sofferenza e di dolore, dall’altro la riaffermazione del carattere positivo della colonizzazione. È sconcertante. Non ho riparazioni da chiedere, voglio solo la verità».
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