Il "giovane resistente" Marwan, nuovo mito del giornalismo che non ama i fatti e dimentica la sua carriera di terrorista
Testata: La Repubblica Data: 16 dicembre 2005 Pagina: 24 Autore: Allberto Stabile Titolo: «I giovani lasciano il partito di Arafat»
LA REPUBBLICA di venerdì 26 docembre 2005 legge in chiave generazionale il conflitto apertosi in Al Fatah tra Abu Mazen e Marwan Barghouti. Fin dal titolo: "I giovani lasciano il partito di Arafat" In realtà a lasciare Al Fatah è innanzitutto un capo terrorista, Barghouti, deciso a continuare a percorere la doppia via del negoziato e delle "pressioni" violente. Non stupisce però che questo aspetto sia trascurato dal titolo, dato che anche nell'articolo di Alberto Stabile non vi sono cenni al terrorismo. Barghouti è anzi definito "uomo simbolo della resistenza contro l´occupazione israeliana". I motivi della sua condanna a cinque ergastoli (cinque attentati terroristici) non vengono specificati, di lui, e della cosidetta "giovane generazione" di dirigenti palestinesi viene fornito un ritratto romantico ed eroico: "sono cresciuti", scrive Stabile, "nelle asprezze dell´occupazione, non hanno conosciuto l´esilio e traggono la loro legittimazione direttamente da quella popolazione che hanno guidato in mezzo al fuoco dell´Intifada, prima e seconda".
Ecco l'articolo:
GERUSALEMME - Ma che ci fa Marwan Barghuti, l´uomo simbolo della resistenza contro l´occupazione israeliana attualmente richiuso in un carcere di massima sicurezza dove sconta una condanna a cinque ergastoli, alla testa di due liste contrapposte destinate a contendersi le spoglie di Al Fatah alle elezioni generali palestinesi del 25 gennaio (se mai si faranno)? La risposta è semplice: come una vecchia nave destinata ad affondare, Al Fatah, il movimento creato da Yasser Arafat per guidare i palestinesi alla realizzazione delle loro aspirazioni nazionali, s´è spaccata in due tronconi per effetto di una lotta di potere da anni in incubazione ed esplosa in forme anche violente al momento della formazione delle liste. Da un lato la "giovane generazione", in verità ormai non più così giovane, dei dirigenti tra i quaranta e i cinquant´anni, guidati da Barghuti. I quali, come Barghuti, sono cresciuti nelle asprezze dell´occupazione, non hanno conosciuto l´esilio e traggono la loro legittimazione direttamente da quella popolazione che hanno guidato in mezzo al fuoco dell´Intifada, prima e seconda. Dall´altro, gli uomini della "vecchia guardia", tornati in Palestina assieme a Arafat dall´esilio ventennale di Tunisi e per questo, con una punta d´irrisione, chiamati "i tunisini". Una burocrazia tronfia che, appena messo piede nei Territori, dopo gli accordi di Oslo del 1993, s´è attaccata ai gangli vitali della nascente Autorità palestinese, divorandone le risorse e alimentando un vento di corruzione che ha finito con il danneggiare la stessa causa palestinese. Anche quando regnava Arafat, i "quarantenni" si sentivano sottostimati negli organismi dirigenti del movimento e nelle istituzioni rappresentative dell´Autonomia. Con Abu Mazen insediato alla Muqata, nulla è cambiato. Il movimento è andato sempre più assomigliando a un partito unico di stampo sovietico. La vecchia nomeklatura è rimasta abbarbicata alle sue poltrone. Lo scontro era, dunque, inevitabile. Dice il deputato uscente Kadura Fares, uno dei fedelissimi di Barghuti: «Per selezionare i candidati abbiamo suggerito due metodi: le primarie e i sondaggi. La vecchia guardia li ha accettati, ma quando hanno visto d´essere stati sconfitti hanno ignorato i risultati e si sono piazzati ai primi posti della lista». Alla riunione del Comitato centrale di martedì scorso viene formalmente annunciato che a guidare la lista di Al Fatah sarà l´inossidabile capo del governo, Ahmed Qorei (Abu Ala) 73 anni, che ieri ha presentato le sue dimissioni per candidarsi. I quarantenni si vedono ancora una volta emarginati. Attraverso i suoi rappresentanti, Barghuti minaccia di uscire da Al Fatah e creare un suo partito, ma a Ramallah non credono che oserà rompere il tabù dell´ "unità nazionale". Mercoledì sera, invece, il dirigente palestinese che qualcuno in Israele vede come il vero "interlocutore" in un ipotetico negoziato finale affida alla moglie, Fadwa, la delega per presentare la sua lista, "Al Mustakbal", il Futuro. Lo scisma è consumato. Alla formazione di Barguti aderiscono alcuni uomini-chiave di ogni futura trattativa. Come Mohammed Dahalan, numero 2 della lista, l´ambizioso ex ministro degli Affari civili fortemente radicato a Gaza e ben visto a Washington e in Israele. E come Jibril Rajub, il Consigliere per la sicurezza di Abu Mazen, che ha nei Territori un vasto seguito. Stretto fra le pressioni dei "tunisini", alla cui generazione egli stesso appartiene e dei quarantenni che, da quando è stato eletto non fanno che chiedergli riforme, il vecchio Abu Mazen gioca la carta a sorpresa. Mercoledì notte chiama Marwan Barghuti in carcere e, in un colloquio di 20 minuti, il primo da quando è stato eletto presidente dell´Anp, gli offre il posto numero 1 nella lista di Al Fatah, relegando Abu Ala al quarto. E´ il tentativo della vecchia guardia di mantenere un contatto con la realtà spendendo l´immagine indubbiamente popolare del Grande recluso. Ma non funziona. Ora si tenta una mediazione in extremis. Altrimenti al Fatah rischia di scomparire. Se si guarda agli ultimi sondaggi si capisce perché: il partito di Abu Mazen veniva accreditato di un 50 per cento dei voti, contro il 30 per cento attribuito agli integralisti di Hamas. Con al Fatah in pezzi, per Hamas sarebbe un trionfo. Come a Nablus, dove, ieri, il movimento islamico ha ricevuto il 68 per cento dei consensi alle comunali. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione de La Repubblica. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.