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Libero Rassegna Stampa
02.12.2005 Persecuzioni anticristiane nel mondo islamico
tre condannati a morte in Indonesia

Testata: Libero
Data: 02 dicembre 2005
Pagina: 15
Autore: Andrea Morigi
Titolo: «Condannati a morte perché cristiani»
LIBERO di venerdì 2 dicembre 2005 pubblica a pagina 15 un articolo di Andrea Morigi che riportiamo:
C'è anche un braccio della morte indonesiano, dove tre cattolici stanno attendendo la loro ultima ora. Contrariamente a un luogo comune diffuso, la pena capitale non rimane in vigore soltanto negli Stati Uniti d'America, dove peraltro si pratica in casi estremi e discussi. Ad altre latitudini, soprattutto nei Paesi musulmani, si procede molto più spensieratamente. Anzi, in Indonesia ci sono ben due modi per sterminare i cristiani. Quello illegale, che si compie a tradimento, sgozzando i passanti per la strada, ma con l'effetto di suscitare la riprovazione generale. Quando invece si preferisce evitare scandali, si passa alla seconda variante, con formali sentenze di condanna a morte emesse da un tribunale regolare. E pochissimi, a quel punto, se la sentono di contestarne la legittimità. Pochi giorni fa l'Ufficio del procuratore generale di Giakarta ha annunciato che Fabianus Tibo, 60 anni, Dominggus da Silva, 42 anni e don Marinus Riwu, 48 anni, saranno giustiziati « presto » , senza precisare la data dell'appuntamento con il boia. Ai tre, accusati di essere responsabili degli scontri interreligiosi del 2000 a Poso, il presidente della Repubblica Susilo Bambang Yudhoyono ha comunque negato la grazia, forse perché la decisione è stata assunta per bilanciare la recente condanna a morte di tre terroristi islamici per le bombe a Bali del 2002. In soccorso dei cristiani prossimi al patibolo è sceso il vescovo di Poso, mons. Joseph Suwatan, che ritiene non si tratti di responsabili, ma di vittime del sanguinoso conflitto etnico, consumato tra il 1998 e il 2001 e costato la vita a circa 2mila persone. Per quegli eventi, finora non è stato processato nessun musulmano. Come capri espiatori, Tibo, Da Silva e Riwu sembrano sufficienti, anche perché incapaci di difendersi dalle accuse, che li vorrebbero responsabili di una serie di omicidi di musulmani che avrebbero scatenato gli scontri. I tre sono contadini analfabeti, emigrati dalla zona a maggioranza cattolica di Flores, dunque con un profilo perfetto: invasori cristiani e, di conseguenza, omicidi. Ma, sostengono i firmatari di una petizione rivolta all'Ambasciatore della Repubblica d'Indonesia ( da indirizzare in via Campania 53- 55 - 00187 Roma; fax: 06 488.02.80; e- mail: indorom@ uni. net), il processo è stato chiaramente inquinato da intimidazioni alla giuria da parte dei fondamentalisti islamici. Ma, in pratica, soltanto le agenzie missionarie come Asianews. it informano sugli avvenimenti. E, sommersi dall'ondata di violenza che sta colpendo la nazione islamica più popolosa del mondo, i casi di persecuzione giudiziaria sembrano così scomparire dalla scena mediatica. Anche in assenza di risonanza pubblica, permane un clima di terrore che tende a indurre i cristiani a fuggire dal Paese per evitare di essere presi di mira da bande di ultrafondamentalisti islamici. Chi rimane, rischia la pelle. È capitato il 19 novembre scorso a una coppia di fedeli, Pudji Laksono e sua moglie Novlin, che uscivano da una chiesa a Palu, nella provincia di Sulawesi centrale. Alcuni uomini armati a bordo di una motocicletta hanno sparato colpi di pistola contro i due, riducendoli in fin di vita. Il giorno prima, nella stessa località, una ragazza di 22 anni che si stava recando in centro con degli amici è stata ferita al collo con un machete ed è morta mentre l'amica, illesa, cercava di portarla in ospedale. Il maggior sospettato, arrestato dalle forze di sicurezza di Palu per l'omicidio, è un poliziotto. E proprio per questa circostanza si fa strada il timore che le indagini possano arenarsi. È già accaduto dopo la decapitazione di tre studentesse cristiane, avvenuta il 29 ottobre scorso a Poso, sempre nelle Sulawesi. Cinque detenuti, tra cui un ex poliziotto, sospettati di essere coinvolti nel triplice omicidio, sono stati scarcerati per insufficienza di prove. Solo il 18 novembre la polizia indonesiana ha confermato l'arresto di tre presunti responsabili del triplice omicido, rivelando però solo un nome: quello del 23enne Irfan Masuro, che lavora nella sicurezza dell'ospedale centrale di Poso. Intanto, dopo poco più di una settimana dall'assassinio, l' 8 novembre altri due uomini armati di pistola hanno sparato in faccia da breve distanza a due ragazze 17enni. La certezza dell'impunità suona quasi come un invito a proseguire il massacro.
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