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La Repubblica Rassegna Stampa
28.11.2005 Un discorso riassunto solo a metà, da un titolo scorretto
quello del ministro degli Esteri Fini a Barcellona

Testata: La Repubblica
Data: 28 novembre 2005
Pagina: 14
Autore: Alberto Stabile
Titolo: «Gerusalemme, Fini corregge il tiro»
LA REPUBBLICA di lunedì 28 novembre 2005 pubblica a pagina 14 un articolo di Alberto Stabile "Gerusalemme, Fini corregge il tiro "Difendere i diritti dei palestinesi".

Del discorso di Fini, che ha anche ricordato la necessità di disarmare i gruppi terroristici, il titolo seleziona aribitrariamente la parte che riguarda gli insediamenti israeliani.

Di seguito, pubblichiamo l'articolo:

«Andare avanti» sulla via tracciata dalla breccia di Rafah, dice Tony Blair. «Avanti», fino alla creazione di uno stato palestinese che viva fianco a fianco con lo Stato ebraico, in pace e sicurezza. La storia del Medio Oriente è lastricata di buone intenzioni, ma mai come in questo momento gli attori sulla scena sono parsi così decisi ad assumersi le proprie responsabilità.
L´invito di Blair riecheggia nelle parole del ministro degli Esteri, Fini: l´apertura del valico di Rafah dimostra che l´Europa può avere un ruolo nel rafforzare la fiducia tra le parti. Ma è importante, ed è la prima volta che il capo della diplomazia italiana mette il dito su una questione così bruciante, «preservare lo status di Gerusalemme».
Né l´audacia diplomatica di Zapatero, né l´ambizioso progetto chiamato Euromed avevano convinto i leader arabi a venire a Barcellona e apporre la loro firma sotto un «codice di condotta antiterrorismo» che a molti di loro appariva a dir poco imbarazzante. Se si guarda al parterre mediorientale, il vertice di Barcellona andrebbe archiviato come una grande occasione mancata di dialogo tra le due sponde del Mediterraneo.
Ma ecco il presidente dell´Autorità Palestinese, Mahamud Abbas, o Abu Mazen, che dir si voglia, pronunciare sotto gli occhi di Tony Blair e di Javier Solana, la sua condanna contro il terrorismo «in tutte le sue forme». E il vecchio Abbas viene subito premiato: un incontro fuori programma con il vicepremier israeliano, Ehud Olmert, forse il politico in questo momento più vicino ad Ariel Sharon, riaccende la fiammella del dialogo tra gli eterni duellanti e risolleva per un attimo le sorti del vertice.
Si sa però, che al governo israeliano non bastano le parole. Nessuno, a Gerusalemme e dintorni, dubita della lealtà delle intenzioni del vecchio presidente palestinese. Molti, invece, dubitano della sua capacità di convincere Hamas e le altre milizie ad abbandonare la lotta armata, la violenza mascherata da ritorsione, il terrore.
Il tema è scottante anche per l´Europa. Come dare fiducia ad Abu Mazen senza tradire le aspettative d´Israele alla sicurezza? Il dilemma impegna il vertice euromediterraneo in un negoziato notturno: ciò che per gli israeliani è terrorismo per molti palestinesi (e per molti regimi arabi che perciò si sono tenuti alla larga dal vertice) è «legittima resistenza all´occupazione». Occupazione di cui Israele non vuole sentir parlare. Non restare prigionieri degli schemi, è ciò che insegna la storia di certi conflitti «miracolosamente» risolti. Prosciugare l´acqua in cui cresce il terrorismo, negando pretesti alla radice, offrendo soluzioni. Eccolo il ruolo possibile dell´Unione Europea.
Il ritiro da Gaza, voluto da Sharon, è un´occasione d´oro anche per immaginare una politica diversa: «Dobbiamo concentrarci - dice Fini - sul rilancio economico e sociale di Gaza». Un´autorità palestinese che senta l´Europa concretamente più vicina sarà indotta a lottare contro il terrorismo con maggior determinazione. «Il terrorismo deve cessare. Il nostro obbiettivo rimane che Hamas rinunci alla violenza, riconosca il diritto all´esistenza dello Stato d´Isreale e disarmi», aggiunge Fini.
Ma perché una soluzione diventi praticabile, ognuno deve fare la sua parte. È questa la logica della Road Map, «alla quale non c´è alternativa», secondo il capo della nostra diplomazia. Se Abu Mazen è obbligato a lottare contro il terrore, Israele deve congelare gli insediamenti nei territori che domani potrebbero esser oggetto di negoziato.
Gerusalemme est, che Abu Mazen, ha anche ieri indicato come la capitale del futuro stato palestinese e, in questo momento il luogo della contraddizione israeliana. Il ritiro da Gaza da un lato, ma dall´altro, l´espansione di Maale Adumim, il grande quartiere tra la città Santa e il deserto della Giudea che, continuando a crescere a dismisura, impedirebbe la continuità tra Gerusalemme est e la West Bank. Ora dice Fini, con una sensibile correzione di rotta rispetto alle più recenti posizioni della diplomazia italiana, «non va pregiudicato lo status di Gerusalemme», che è quello di una città, almeno nella sua parte orientale, contesa. E, tanto per chiamare le cose con il proprio nome, Fini non nasconde la sua «preoccupazione per il tracciato della barriera difensiva», il muro che taglia in due intere borgate arabe e «per l´espansione degli insediamenti nella parte est» (Maale Adumin, per l´appunto).
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