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La Stampa Rassegna Stampa
26.11.2005 Un grande reportage di Fiamma Nirenstein
ma in prima pagina c'è un enorme strafalcione

Testata: La Stampa
Data: 26 novembre 2005
Pagina: 9
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Sotto le Katiushe degli Hezbollah»
LA STAMPA pubblica oggi 26-11-2005 un eccezionale reposrtage di Fiamma Nirenstein da Kiriat Shmona, colpita dai missili katiusha degli Hezbollah libanesi. In prima pagine c'è però un richiamo che contiene un grosso errore. Il testo sotto al titolo recita: "Viaggio tra i coloni minacciati dai libanesi". I cittadini di Kiriat Shmona "coloni" ? ma dove imparano la geografia i giornalisti della STAMPA ? oppure c'è un'altra spiegazione. Il loro subconscio è talmente dominato dalla ossessione "coloni" che li vedono dappertutto. Anche dove non ci sono.
Un po' di lettere dei nostri lettori farebbeno bene all'estensore del testo.

Ecco l'articolo di Fiamma Nirenstein:

inviata a KIRIAT SHMONA
Hezbollahland: quella terra oltre il confine vicino al kibbutz Manara non può essere chiamato Libano: quella distesa di pietre punteggiata da coraggiosi ulivi e cedri ombrosi è il tenebroso regno di Hassan Nasrallah, degli uomini armati con le loro bandiere gialle. Nessuno, tantomento l’esercito libanese, che non si vede nei dintorni, può fermare i loro attacchi a Israele, anche se fin dal 2000 lo stato ebraico si è ritirato entro i confini misurati centimetro per centimetro dall’Onu.
Dopo il fuoco dei giorni scorsi ci si aspetta altri attacchi e tentativi di incursione. Vibrano nell’aria chiara gli avamposti militari lungo il confine, sulle vette delle colline. Li osserviamo, loro vedono noi. Arriva una macchina di agricoltori sollevando nuvoloni di polvere, un contadino del kibbutz ci dice di andarcene. Spareranno ancora, dice sorridendo e molto in fretta, come hanno fatto fin da lunedì, dopo un pezzo che non si facevano vivi. E cercano di rapire qualcuno, insiste, spicciatevi, via di qui. Lungo la strada incontriamo un gruppo di soldati che verificano se il razzo katiusha infilzato nell’asfalto sia ancora attivo.
La grande organizzazione integralista sciita, specializzata in rapimenti, bombardamenti, smembramenti di corpi e richieste di scambi e riscatti, ha tentato parecchie carte a partire da lunedì, quando ha bombardato con missili katiusha tutta la zona, costringendo i cittadini a ripararsi nei rifugi, e ha tentato di rapire i soldati di guardia al villaggio di Raja. Raja è stata divisa in due parti a partire dal 2000 secondo la risoluzione 425 dell’Onu: una per il Libano, di fatto per gli hezbollah, l’altra per Israele. Lunedì, ci racconta Yossi, il giovane comandante del corpo di guardia di Raja, indicando la strada in salita che porta in paese, sono cominciate a piovere katiushe. Tutt’a un tratto sono spuntati da là, a dozzine, come in un film. Erano su moto, auto, piccoli trattori: abbiamo risposto al fuoco ma loro avanzavano, sparavano e urlavano nella nebbia. Hanno preso quella casa sulla sinistra: sparandoci dalle finestre coprivano quelli che si avvicinavano per tentare di rapirci. Abbiamo avuto fortuna, sorride, i ragazzi hanno combattuto bene e fatto tre morti mentre i nostri feriti, di cui uno molto grave, venivano evacuati. Li abbiamo messi in fuga, proclama contento Yossi.
Ma ieri mentre venivano restituiti i corpi degli uccisi a Raja, Nasrallah ha di nuovo minacciato da Beirut dove i suoi si erano raccolti per festeggiare l’anniversario dell’indipendenza del Libano: i bombardamenti e i tentativi di rapimenti continueranno, è nostro diritto, ha detto, incurante del fatto che Israele non deve niente al Libano. Per lui, deve semplicememente sparire. «Morte a Israele», ha risposto infatti più volte la folla.
Andiamo a trovare nel silenzio del confine, nelle baracche militari, il comandante dell’area del Nord, il colonnello Gal Hirsch: «Attaccano perché vogliono creare un casus belli che ci indichi come aggressori davanti all’opinione pubblica internazionale e distolga l’attenzione dai loro indispensabili sponsor, la Siria e l’Iran, che forniscono denaro, armi, basi operative in cui svolgono corsi di addestramento per terroristi destinati a alimentare la confusione in Iraq e in Palestina. Oggi la Siria e l’Iran sono sotto i riflettori del mondo intero. E chi soffre di più dell’attività di Nasrallah e i suoi è il Libano, che rifiuta di disarmarli, perché sono forti e ben sostenuti. Ma l’aprirsi di un raggio di pace in Medio Oriente li mette in difficoltà. Restano tuttavia pericolosi, con i loro dodicimila missili puntati e con una portata di tiro tale da colpire fino a Haifa e oltre. Hanno rapporti con al Qaeda e con Hamas. No, non riesco a capire l’esitazione dell’Europa nel dichiararli organizzazione terroristica, con il loro massiccio messaggio d’odio, e con la loro attiva presenza globalizzata».
Degli Hezbollah nessuno ne sa di più delle loro vittime. Ad esempio nella città di Kiriat Shmona, 20 mila abitanti sotto shock, case e mercati sul fianco della montagna della Galilea, ricca di cedri e pini, che cercano di sopravvivere fra uno scoppio e l’altro. Tutti hanno qualcuno fra i loro cari colpito in un bombardamento degli hezbollah. Masha Album è una magra, scattante psicologa infantile: «I bambini qui devono scendere per routine nei rifugi. Le loro famiglie li controllano ossessivamente, tutti i genitori vivono nella paura che l’allarme possa capitare quando sono soli per strada, tutti hanno qualche vicino il cui bambino ha corso nel panico da solo lungo la strada deserta dopo l’allarme gridando "mamma mamma". Così le attività sociali sono quasi sempre deserte, i ragazzi crescono in un clima ossessionato, anche se qui vive gente molto coraggiosa, solidale, in gamba. Il numero di bambini che soffrono di insonnia, brutti sogni, crisi di ansia e disordini vari è molto alto. Non sognano vendetta o punizione, non immaginano, di là della montagna, dei mostri.. Durante un test fatto di immagini, vari bambini li descrivono di spalle, mentre salutano e se vanno nel Nord del Libano e li lasciano in pace. Altri disegnano una grande cupola bellissima, che protegge Kiriat Shmona come un cielo blindato, o Spiderman che li porta via».
Facciamo la conta di quante famiglie colpite Masha conosce, ma sono troppe, lascia perdere, chiede se deve includere anche i feriti e le case distrutte... Fra i morti: due giovani mariti. Uno ucciso perchè era uscito dal rifugio a fumare una sigaretta, l’altro, padre di quattro figli, perché era salito a controllare che la porta fosse chiusa bene. «Uno ferito, la casa colpita: il maestro di una delle mie figlie. E tanti altri. E quelli che restano sono distrutti». In una scuola femminile le bambine di tredici anni scendono nel rifugio per un’esercitazione: sono eccitate, si raccontano dell’ultima volta, quando Elisheba piangeva tanto e Noga urlava nel telefonino «Mamma non ti preoccupare, tu sei protetta?» Paulette Azulai, una signora sulla sessantina, davanti alla sua bella casa con due leoni di gesso di guardia, ci fa vedere come l’antenna dell’elettricità cadde sulla sua abitazione, la distrusse e schiacciò la gamba destra della figlia, che aveva 16 anni. Scoppia in singhiozzi: «La casa l’abbiamo ricostruita ma mia figlia da allora ha una gamba distrutta. Non è più lei, anche se grazie al cielo cammina, non ama più la vita. E anch’io sono piena di paura. Io dico agli hezbollah: se volete combattere mostrate la faccia; ma che bel coraggio, bombardare delle famiglie innocenti, lungo tutta la Galilea, un paradiso dove tutti quanti dovremmo poter vivere in pace. Perché?»
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