Su Falluja una fretta molto sospetta di trarre conclusioni una riflessione di Toni Capuozzo
Testata: Il Foglio Data: 18 novembre 2005 Pagina: 1 Autore: Toni Capuozzo Titolo: «News al fosforo»
IL FOGLIO di venerdì 18 novembre 2005 pubblica a pagina 2 un articolo di Toni Capuozzo sull'inchiesta di Rainews 24 sull'uso del fosforo a Falluja e sul suo uso politico.
Ecco il testo: E’curioso come la questione del fosforo bianco utilizzato a Fallujah campeggi sui giornali italiani e non invece sulla stampa internazionale. Che in queste stesse ore, invece, si sta occupando del raid con cui gli americani hanno scoperto un carcere governativo in cui i detenuti venivano sottoposti a pratiche disumane. Scoperta che si presta a molte considerazioni, a cominciare dalla constatazione che il dopo Abu Ghraib, tra processi e rimozioni di ufficiali e graduati, non sarebbe dunque stato rimosso, al punto che i cattivi maestri sono passati a rivestire i panni meticolosi di controllori degli abusi. L’altra considerazione è che non ci si è posti alcuna questione di opportunità politica, a meno di un mese dalle elezioni, nel sollevare uno scandalo che avvelena i rapporti tra sciiti – carcerieri – e sunniti, carcerati. O, forse, l’opportunità politica sta proprio nel giocare la carta rischiosa di coinvolgere i sunniti in un processo nel quale le denunce degli abusi poggiano sulle inchieste, e non sui proclami di al Zarkawi. O, forse, semplicemente gli americani hanno giocato in proprio, puntando a migliorare la propria immagine, o mandato un segnale agli sciiti. Ma, insomma, in Italia siamo tutti affannati attorno alla questione del fosforo, al punto che viene da dire che il paese in cui la libertà di stampa langue a mezza classifica è capace di scoop mondiali, e il paese in cui il regime controlla l’informazione produce inchieste – è vero, c’è chi chiede che vengano mandate in onda in prima serata e non di mattina presto – che è piuttosto il regime mondiale a relegare alla periferia dell’impero. E dunque restiamo al fosforo. Non ho alcuna competenza in materia, e non ho pregiudizi. Ho letto le cose che si sono presto trasformate in campagna (sit-in, conta del chi c’era e chi no, polemiche interne alla sinistra) e mi ha colpito solo l’alta velocità – in altri tempi si sarebbe chiamata teorema – con cui si è passati dall’inchiesta alle conclusioni, come se in fondo i fatti fossero irrilevanti, e contassero le parole d’ordine, e i pregiudizi, confermati. Ora, sui fatti, esiste, sotterranea, curiosamente sotterranea, un’altra versione, come se l’informazione ufficiale (telegiornali compresi, che hanno ripescato perfino le immagini del Vietnam) fosse quella che una volta era considerata controinformazione, e l’informazione vera, o fosse pure filo-occidentale, o proamericana, fosse ridotta a essere flebile controinformazione (i più interessati vadano a vedersi il blog www.tonibaruch.blogspot. com/ e da lì risalgano per li rami di Internet ai samidzat che smontano il reportage di Rainews 24). Ho visto da vicino gli errori tragici dell’armata americana, conosco la sproporzione tra proclami, intenti e condotta dei singoli e dei reparti, conservo tutti i miei dubbi sul fatto che la democrazia sia esportabile com’è stato in Iraq, e le perplessità sul fatto che la lotta al terrorismo possa essere indebolita anziché rinforzata da buchi neri come Abu Ghraib o Guantanamo. Ciò che non mi impedisce di constatare che in Iraq la democrazia ha fatto dei passi in avanti, e che il nocciolo della teoria secondo cui il terrorismo alla resa dei conti si può battere solo globalizzando diritti, partecipazione e democrazia è un nocciolo da non sputare, e comunque preferibile al compromesso, in nome della stabilità, con qualunque regime autoritario. E dunque credo sia importante entrare nel merito dei fatti, sviscerarli senza pregiudizi, nella convinzione che ogni ombra sul comportamento delle forze occidentali è un punto a favore del terrorismo, e ogni tentativo onesto di far chiarezza, un servizio reso alla lotta contro il terrorismo. Alla lotta cioè contro le organizzazione che appesero dei cadaveri carbonizzati sul ponte di Fallujah, e che governarono la città libera con la sharia, ospitando prigioni di sequestrati, studi televisivi improvvisati per le decapitazioni, cortei con venditori di alcol alla gogna. Ma inchieste, appunto, non propaganda veloce a essere spesa nella causa: tutti a casa, via dall’Iraq. Fissare la data del ritiro Negli Stati Uniti si fa strada una convinzione: fissare una data per il ritiro totale – fine 2007 – e un calendario di ridimensionamenti parziali. Servirebbe a fissare un’agenda libera dal ricatto terrorista, responsabilizzare gli iracheni, svuotare dal messaggio nazionalista la tattica di Zarkawi. L’opinione pubblica irachena ne sarebbe rassicurata. Non solo quei sunniti riottosi che hanno almeno il merito di un’ottima battuta, nelle parole di un reduce da Abu Ghraib – "gli americani hanno portato l’elettricità prima al mio culo che a casa mia" – ma anche tutti coloro, sciiti o curdi, che non nascondono la convinzione che la presenza americana finisca, in fondo, per alimentare gli attentati e il terrorismo, invece di spegnerli. E’ una prospettiva realistica e di buon senso, che pone un’altra domanda: gli italiani, che debbono fare? Andarsene via per primi, o con un’agenda dettata dalla politica e dai governi nostri, o iscriversi in questo graduale passaggio di consegne, in questa strategia d’uscita, che segnerebbe una discontinuità voluta e non traumatica, piuttosto di una rottura simbolica e pratica con quanto è stato fatto finora? L’informazione italiana, irrorata di fosforo come alla vigilia di un esame, legge la questione come il cavillo di un programma elettorale, un braccio di ferro interno all’Unione, alla vigilia dell’unico esame, appunto, che conti: il voto, il voto. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla direzione della Stampa . Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.