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Avvenire - Il Sole 24 Ore - Il Riformista - L'Unità -Il Manifesto Rassegna Stampa
15.11.2005 I nuovi luoghi comuni che permettono di continuare a ignorare la sicurezza di Israele
Gaza è rimasta una "prigione", le elezioni disarmeranno Hamas

Testata:Avvenire - Il Sole 24 Ore - Il Riformista - L'Unità -Il Manifesto
Autore: un giornalista - Roberto Bongiorni - Paola Caridi - Umberto De Giovannangeli - Michele Giorgio
Titolo: «La Rice "forza" l'accordo su Rafah - Rice: accordo in vista su Rafah - Condoleezza e Sharon divisi dal ruolo di Hamas e dalla Cisgiordania -Gaza è ancora una prigione a cielo aperto - Gaza Condi Rice fa aspettare l'Asia - Gerusalemme,missione difficile»
AVVENIRE di martedì 15 novembre 2005 pubblica a pagina 19 "La Rice "forza" l'accordo su Rafah".
Un articolo che non mette in luce come la mancata apertura del valico di Rafah sia dipesa fin qui dal rifiuto palestinese di accettare controlli israeliani volti a impedire il transito di armi e di terroristi.

Prima ha incontrato il premier israeliano Ariel Sharon, poi il presidente palestinese Abu Mazen. Quindi, il segretario di Stato americano Condoleezza Rice è ripartita per il suo tour diplomatico avendo in tasca un accordo quasi certo tra le due parti per la gestione del valico di Rafah (tra la Striscia e l'Egitto), la questione di maggior frizione dal ritiro da Gaza in agosto. «È molto importante per i cittadini palestinesi che ci sia libertà di movimento tra Gaza e la Cisgiordania», ha dichiarato la Rice, che si trovava in Israele per prendere parte alle cerimonie per il decimo anniversario dell'assassinio del premier Yitzhak Rabin. E per per assicurarsi che l'accordo giunga effettivamente a conclusione, il capo della diplomazia Usa ha anche rinviato la partenza per Seul. «L'accordo è quasi pronto», ha confermato il presidente Abu Mazen. «Abbiamo ancora qualche osservazione - ha aggiunto -. Ma posso dirvi che si tratta di un accordo globale e che sarà applicato prossimamente». I dettagli del compromesso sono stati anticipati da Radio Gerusalemme: Rice e l'Alto rappresentante Ue Javier Solana avrebbero proposto alle due parti di allestire una sala dove vengano rilanciate in diretta le immagini televisive del transito di persone e di merci a Rafah. In quella sala ci sarebbero rappresentanti di Israele e dell'Anp, sotto la supervisione dell'Ue.
Per ora, comunque, resta tutto in forse, visto che si sta aggravando la crisi politica in Israele innescata dall'elezione di Amir Peretz alla guida del partito laburista, da un anno al governo con i conservatori di Sharon. Peretz ha minacciato di fare cadere il governo già domani se Sharon non sarà disponibile a individuare un percorso concordato verso le elezioni anticipate (marzo o maggio invece di novembre 2006). Ieri sera gli otto ministri laburisti hanno firmato la rispettive lettere di dimissioni dal governo. Peretz ha preso in consegna le lettere e si è riservato di utilizzarle nei prossimi giorni. Tornando all'incontro Sharon-Rice, sono riemerse le profonde divergenze sulla partecipazione di Hamas alle politiche palestinesi del gennaio 2006. Un grave errore, secondo Sharon, ma il segretario di Stato ha replicato che proprio la partecipazione di Hamas al voto consentirà di esercitare sull'organizzazione intense pressioni internazionali affinché deponga le armi.
Intanto, però, le violenze continuano. Nel corso di un raid in una base di militanti a Nablus, le forze israeliane hanno ucciso Amjad Hanawi, 34 anni, un comandante locale di Hamas. Le Brigate Ezzedin al-Qassam, il braccio armato dell'organizzazione, hanno promesso vendetta: «La nostra reazione sarà rapida e dolorosa, Israele si pentirà di ogni goccia versata del suo sangue», hanno minacciato. (R.E.)
Un'analoga mancanza è riscontrabile nell'articolo di Roberto Bongiorni "Rice: accordo in vista su Rafah", pubblicato dal SOLE 24 ORE pagina 7.

IL RIFORMISTA pubblica a pagina 6 un articolo di Paola Caridi, "Condoleezza e Sharon divisi dal ruolo di Hamas e dalla Cisgiordania", che abbastanza palesemente sposa la tesi del segretario di Stato americano: che la partecipazione alle elezioni faciliti il disarmo di Hamas.
I casi citati come precedenti, Irlanda e Angola, presentano però significative differenze.
In Irlanda è stato il partito politico Sin Fein non l'Ira (ad esso legata) a partecipare alle elezioni.In Angola la partecipazione della guerriglia alle elezioni seguiva un accordo politico, piuttosto difficile da relizzare con Hamas, che non riconosce il diritto di Israele ad esistere.

Ecco il testo:


La lady di ferro della diplomazia americana
non ha smentito la sua fama.
Neanche a Gerusalemme.E neanche con
gli amici israeliani. Se n’è accorto anche il
premier Ariel Sharon, che ieri ha sperimentato
i toni chiari e netti di Condoleezza
Rice su due argomenti nodali della
questione israelo-palestinese: la presenza
di Hamas alle prossime elezioni legislative
palestinesi, e l’ingrandimento
delle colonie ebraiche in Cisgiordania.A
scaldare l’atmosfera, nell’incontro tra il
giovane segretario di stato e il vecchio generale,
sono state soprattutto le divergenze
su Hamas. Divergenze di cui la Rice e
Sharon hanno discusso poche ore dopo
l’assassinio di un comandante di Hamas a
Nablus da parte dell’esercito israeliano.
Sharon è fermo sulla sua posizione: la
presenza di Hamas alle consultazioni di
fine gennaio è considerato un grave errore,
e gli israeliani non forniranno ai palestinesi
nessuna collaborazione per lo
svolgimento delle elezioni. Di diverso avviso
la Rice, secondo la quale solo dopo
la partecipazione alle elezioni di Hamas
sarebbe più facile convincere l’organizzazione
islamista a disarmare. Perché, ha
detto il segretario di stato, «subirebbe a quel punto le pressioni di tutta la comunità
internazionale nel suo complesso».
Parole, queste, che non sono comunque
servite a mitigare il disappunto di Hamas
verso l’Anp, che domenica ha rinviato le
elezioni municipali a Hebron, una delle
roccheforti del movimento islamista, giustificandole
con le misure restrittive imposte
dagli israeliani che «sminuirebbero
la credibilità delle consultazioni», secondo
le parole del ministro Khaled
al Khawasme.
Mai la posizione americana
su Hamas e le elezioni legislative
palestinesi era stata
così chiara e così distante da
quella israeliana. In nome, a
quanto sembra, di un pragmatismo
tipico d’altro canto
delle amministrazioni americane
in altri contesti internazionali. È
stata la stessa Rice a ricordarlo, citando
esperienze simili in Irlanda del Nord e in
Angola. Paesi dove le guerriglie hanno
disarmato dopo le elezioni. E dove,come
nel caso dell’Ulster, si sono avuti negoziati
(in alcune fasi anche con mediazione
statunitense, peraltro) con organizzazioni
come lo Sinn Fein, braccio politico
dell’Ira, mentre l’esercito di resistenza irlandese
era ancora in armi.
Anche sulle colonie ebraiche in Cisgiordania,
Condoleezza ha reiterato la
posizione di Washington. Ricordando
che l’attività in corso da parte israeliana,
di ingrandimento degli insediamenti dove
a oggi vivono 250mila persone, è contro
gli obblighi sottoscritti dagli israeliani
con la road map. Perché, ha detto, «non ci
deve essere nessuna attività
che pregiudichi un accordo
sullo status finale» tra israeliani
e palestinesi. In questo suo
viaggio dentro la questione
israelo-palestinese, insomma,
la Rice ha voluto definire con
nettezza i contorni della posizione
americana. E, nel contempo,
tentare di portare a casa
un risultato evidente e concreto. Non
su Hamas, certo. Non sulle colonie. Ma almeno
su Rafah. L’accordo doveva essere
raggiunto già ieri in giornata. Così ci si attendeva
dopo le parole del presidente
dell’Anp Mahmoud Abbas, per il quale
l’intesa era questione di poco tempo. In
Medio Oriente, però, il tempo è un metro
di misura abbastanza elastico. E così la
Rice è stata costretta a rivedere i suoi
programmi, rinviare il trasferimento in
Corea del Sud, accorciare la sua visita ad
Amman per portare le condoglianze per
gli attentati kamikaze del 12 novembre, e
infine prevedere il rientro a Gerusalemme
in serata. Il tutto per dare tempo a
israeliani e palestinesi di raggiungere l’intesa
per la riapertura del confine tra Gaza
ed Egitto, con la supervisione di osservatori
europei. Accanto alla intensificazione
del passaggio delle merci al valico
di Karni, da e verso Israele e i suoi porti.
A premere in modo deciso e fermo
per l’accordo, minacciando altrimenti di
lasciare il posto, è stato soprattutto James
Wolfensohn, nel suo ruolo di inviato
del Quartetto. Lo aveva già fatto intendere
domenica, quando aveva avvertito
che senza l’intesa Gaza sarebbe diventata
una «gigantesca prigione». Per
l’ex direttore della Banca mondiale,
l’uomo che aveva mediato il passaggio
delle serre dai coloni della Striscia all’Anp
durante il disimpegno degli israeliani
da Gaza, la soluzione della questione
di Rafah e di Karni è fondamentale
per non lasciar marcire i prodotti delle
serre ai valichi di frontiera.
L'UNITA' pubblica a pagina 12 un'intervista di Umberto De Giovannangeli a Yasser Abed Rabbo, membro del Comitato esecutivo dell'Olp "Gaza è ancora una prigione a cielo aperto".
De Giovannangeli non pone mai al suo interlocutore una semplice domanda: perché i palestinesi non hanno acconsentito alle proposte israeliane per riaprire Rafah garantendo la sicurezza?
Se lo avesse fatto sarebbe risultato chiaro che la posizione dell'Anp non è affatto improntata alla difesa dei diritti di movimento dei palestinesi, ma, nel miglire dei casi, al puntiglioso rifiuto di ogni vestigia di sovranità israeliana (tali sarebbero considerati gli osservatori incaricati di fermare terroristi o armi).

Ecco il testo:

Una prigione a cielo aperto. Questo è ancora oggi Gaza. A denunciarlo non siamo solo noi palestinesi ma anche l'inviato del Quartetto (Usa, Ue, Onu, Russia, ndr.) Wolfensohn. Siamo al tradimento di una speranza o forse allo svelarsi di una illusione: quella di una "conversione" alla pace di Ariel Sharon». A parlare è Yasser Abed Rabbo, membro del Comitato esecutivo dell'Olp, artefice, assieme al leader di Yahad (la sinistra sionista israeliana) Yossi Beilin, dell'Iniziativa di Ginevra, il piano di pace messo a punto da politici, intellettuali, militari israeliani e palestinesi. «Israele - osserva Rabbo - cerca ora di concentrare l'attenzione della comunità internazionale sul pericolo iracheno per mascherare la sua politica di colonizzazione in Cisgiordania».
A distanza di tre mesi dal ritiro israeliano dalla Striscia di Gaza, cosa è rimasto di quei giorni di speranza?
«Poco, davvero molto poco. Perché Gaza continua a restare una prigione a cielo aperto, isolata dal mondo; perché in Cisgiordania e attorno a Gerusalemme est prosegue senza sosta la costruzione del Muro che distrugge le nostre terre, spezza i nostri villaggi, e determina di fatto e in modo unilaterale i nuovi confini di Israele. La costruzione del Muro è l'espressione più tangibile della politica dei fatti compiuti imposti con la forza da Israele».
Cosa c'è alla base di questo stallo del negoziato?
«Sharon ritiene che il ritiro da Gaza sia un credito permanente da esibire ogni qualvolta Israele compie una forzatura, un atto unilaterale, una ingiustizia, un crimine nei confronti del popolo palestinese. E tutto ciò è iniquo, intollerabile».
È possibile e in che modo rilanciare il dialogo?
«È possibile solo se c'è una forte pressione internazionale. È quanto abbiamo ribadito al segretario di Stato Usa: non bastano più gli appelli alle parti, non bastano più le sole dichiarazioni di principio sulla nascita di uno Stato palestinese se poi non si agisce con decisione e continuità per rendere possibile questa prospettiva».
Israele ribatte che il dialogo può riprendere a condizione che l'Anp agisca con decisione contro i gruppi armati dell'Intifada.
«La sicurezza di Israele è parte di un serio negoziato di pace, perché solo attraverso la politica è possibile fare il vuoto attorno ai gruppi radicali. Così come non esiste una scorciatoia terroristica per veder realizzato il nostro diritto ad uno Stato indipendente, è altrettanto vero che non esiste una scorciatoia militarista che permetta a Israele di risolvere la questione palestinese. La pace non può essere la registrazione dei rapporti di forza imposti sul campo. La pace non può fondarsi sulla legge della giungla».
Quale potrebbe essere un segnale concreto di questa pressione?
«La realizzazione di una Conferenza internazionale patrocinata dal Quartetto e aperta ai Paesi arabi impegnati nel processo di pace. Una Conferenza che permetta di aprire una discussione seria su tutti i contenziosi aperti. Questa Conferenza potrebbe davvero segnare un nuovo inizio nelle relazioni israelo-palestinesi. L'inizio di una svolta»
Che Gaza sia una "prigione" e che le esigenze di sicurezza israeliane siano a priori invalide e irrilevanti è ovviamente la convinzione che traspare dall'articolo di Michele Giorgio pubblicato dal MANIFESTO a pagina 9, "Per Gaza Condi Rice fa aspettare l'Asia".

Ecco il testo:

Era attesa nel corso della notte l'intesa tra israeliani e palestinesi sulla frontiera tra Gaza ed Egitto. Il Segretario di stato americano Condoleezza Rice - ieri ha incontrato Ariel Sharon e Abu Mazen - ha addirittura rinviato la partenza per l'Asia pur di tagliare per prima un traguardo diplomatico di cui gli Stati uniti hanno disperatamente bisogno per dimostrare che la loro «mediazione» in Medio Oriente funziona e comincia a dare risultati. Se questa intesa aprirà la prigione di Gaza ridando, dopo 38 anni, la libertà ai suoi abitanti - 1,4 milioni di persone - non era ancora ben chiaro ieri sera. Le indiscrezioni sui punti in discussione non erano sufficienti per avere un quadro preciso di ciò che avverrà a Rafah, il valico chiuso unilateralmente da Israele durante il ritiro di soldati e coloni da Gaza completato due mesi fa. Il negoziato in corso peraltro non ha cambiato l'atmosfera generale di tensione. Israele continua i suoi raid e gli «omicidi mirati» in Cisgiordania. Domenica notte a Nablus, una unità speciale israeliana ha ucciso Amjad Hinawi, un capo militare di Hamas. Il movimento islamico ha annunciato che «La reazione sarà rapida e dolorosa». Secondo il portavoce militare israeliano invece Hinawi è stato ucciso «perché ha aperto il fuoco e ha cercato di fuggire». Domenica militanti dell'Intifada avevano tentato di deporre un ordigno al valico di Sufa (Gaza) e ieri hanno cercato di sferrare un attacco al transito Karni (Gaza) ma due di loro sono stato uccisi.

Israele sostiene che l'apertura dei valichi da e per Gaza deve essere condizionata a strette misure di sicurezza. I palestinesi replicano che 1,3 milioni di persone sono da mesi stipate nella Striscia di Gaza, rimasta la stessa prigione che era prima del ritiro israeliano. Gaza però è sul punto di esplodere, ha avvertito anche il rappresentante del Quartetto, James Wolfenson, sottolineando che l'occupazione di Gaza non può dirsi finita finché Israele controlla i valichi, le acque internazionali antistanti la Striscia e lo spazio aereo.

Una delle idee discusse ieri da Condoleezza Rice (e dal «ministro degli esteri» europeo Javier Solana) con gli interlocutori israeliani e palestinesi, riguarda l'allestimento di una sala dove siano rilanciate in diretta immagini riprese nel valico di Rafah relative al transito di persone e di bagagli. La formula di compromesso prevede che in quella sala vi siano i rappresentanti dell'Anp, di Israele e dell'Ue e che le immagini siano analizzate assieme. Israele inoltre avrebbe dato il via libera alla costruzione di un porto commerciale a Gaza e alla organizzazione di convogli terrestri fra Gaza e la Cisgiordania (il cosiddetto «corridoio sicuro»): i passeggeri dovrebbero essere ispezionati prima della partenza, ed essere accompagnati a destinazione da forze di sicurezza israeliane lungo percorsi prestabiliti. Soluzione già sperimentata con esiti sconfortanti tra il `99 e il 2000, quando al potere in Israele c'era il laburista Barak.

Tra Usa e Israele le posizioni sono comuni ma ieri, secondo indiscrezioni, sarebbero emerse divergenze tra Sharon e Condoleeza Rice sulla partecipazione di Hamas alle legislative palestinesi del 25 gennaio 2006. Israele vuole l'esclusione degli islamisti che non hanno rinunciato alle armi e non riconoscono l'esistenza dello Stato ebraico. Rice avrebbe replicato che l'esperienza internazionale insegna che il disarmo dei gruppi armati è più facile una volta che siano entrati nel sistema politico del loro paese. Parole che non hanno convinto Sharon che ora minaccia di non facilitare il voto palestinese, ossia di non ritirare le truppe di occupazione dai centri abitati della Cisgiordania il giorno dell'apertura delle urne.

Ieri mentre si negoziava su Rafah, proprio nella città di frontiera palestinese, militanti dell'«Esercito islamico» (una sigla sconosciuta ) hanno dato l'assalto alla sede del locale Comitato elettorale centrale. Le elezioni politiche del 25 gennaio 2006, a loro parere, sono solo «un tentativo imposto dall'estero per innescare lotte intestine» fra i palestinesi. Nella vicina Khan Yunes attivisti delle Brigate dei Martiri di al-Aqsa, hanno occupato il municipio per ribadire la richiesta di essere arruolati nelle forze di sicurezza dell'Anp.
Terrorismo e contrabbando di armi attraverso Rafah sono egualmente assenti dall'articolo che Giorgio pubblica sul MATTINO a pagina 8 "Gerusalemme, missione difficile per la Rice"

Ecco il testo:

Gerusalemme. Il segretario di Stato americano Condoleezza Rice ieri ha rinviato la sua partenza dal Medio Oriente, nel tentativo di ottenere un accordo fra israeliani e palestinesi sul valico di Rafah, tra la Striscia di Gaza e l’Egitto, indispensabile per la ricostruzione dell'economia di Gaza dopo il ritiro israeliano. Dopo aver visto, separatamente, il primo ministro israeliano Ariel Sharon e il presidente palestinese Abu Mazen, Rice ieri ha assicurato che una soluzione sul passaggio di Rafah era «in vista» e in serata si sono diffuse voci sull’imminenza della firma dell’intesa attesa da oltre due mesi. Intanto oggi, e per tre giorni consecutivi, il valico (chiuso unilateralmente da Israele) dovrebbe riaprire per consentire a palestinesi ammalati e a decine di studenti e uomini d’affari di potersi al Cairo. A partire dal 25 novembre, ha riferito la stampa dei Territori, i dirigenti dell'Autorità Nazionale (Anp) di Abu Mazen, potranno recarsi in Egitto con le proprie automobili e, dal prossimo anno, tutti gli altri palestinesi. Ieri tutto è accaduto all’improvviso. Al termine del colloquio fra Rice e Abu Mazen alla Muqata di Ramallah, negoziatori israeliani e palestinesi si sono incontrati per una riunione inattesa volta a discutere della bozza di compromesso messa a punto dall'inviato del Quartetto, James Wolfensohn. Il Segretario di stato ha perciò deciso di rinviare la sua partenza dalla regione per andare in Asia e dopo la prevista tappa ad Amman per rendere omaggio alle vittime degli attentati, ha fatto ritorno a Tel Aviv. Secondo la proposta di accordo riferita dal media locali, Israele dovrebbe permettere il passaggio di 150 camion carichi di merci palestinesi attraverso il terminal di Karni, fra Gaza e Israele, che rappresenterebbe un passo avanti notevole rispetto alla media quotidiana di 35 camion degli ultimi sei mesi. Quanto al valico di Rafah, la questione più scottante, Wolfensohn ha proposto che immagini in diretta dei movimenti di persone e bagagli siano trasmesse a un ufficio di collegamento in cui siano presenti rappresentanti palestinesi, israeliani ed europei, sotto il coordinamento degli europei. In questo modo Israele conserverebbe un controllo parziale del valico, a garanzia della sua sicurezza. I civili palestinesi da parte loro avrebbero finalmente, dopo ben 38 anni di occupazione militare, piena libertà di movimento tra Gaza e l’Egitto (la loro unica finestra sul mondo), senza interferenze israeliane. Non è chiaro però che cosa accadrà se, tra le persone in transito, Israele segnalerà la presenza di un persone sospette. Gli osservatori dell’Unione europea in questo caso svolgeranno anche funzioni di polizia? Questo punto sarà chiaro solo al momento della firma dell’accordo. Intanto l’Ue si prepara ad inviare una missione temporanea a Rafah, guidata probabilmente da un ufficiale italiano. Un’altra intesa tra le parti prevede anche la ripresa di movimento per i palestinesi - in convogli di autobus scortati da truppe israeliane - fra la Cisgiordania e Gaza, a partire dal 15 dicembre. Il cosiddetto «safe-passage» (corridoio sicuro) era stato utilizzato (a singhiozzo) per circa un anno prima dell'inizio della seconda Intifada (settembre 2000). Il clima generale tuttavia rimane teso, nonostante l’annunciata svolta per Rafah e gli altri valichi di Gaza. Hamas ha annunciato che vendicherà l’uccisione di un suo comandante militare compiuta dall’esercito israeliano a Nablus mentre due militanti dell’Intifada sono stati uccisi a Karni mentre tentavano di lanciare un attacco contro una postazione militare israeliana. Altre difficoltà sono previste per il futuro del governo di Sharon: su richiesta pressante del nuovo leader del loro partito Amir Peretz, gli otto ministri laburisti hanno firmato ieri la rispettive lettere di dimissioni dal governo di Ariel Sharon. Peretz ha preso in consegna le lettere e si riserva di utilizzarle nei prossimi giorni, dopo aver avuto un incontro con Sharon allo scopo di concordare la data di elezioni anticipate.
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