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Famiglia Cristiana Rassegna Stampa
13.11.2005 Le utopie buoniste del settimanale cattolico
quindi pericolose, perchè non tengono conto della realtà

Testata: Famiglia Cristiana
Data: 13 novembre 2005
Pagina: 15
Autore: Guglielmo Sasinini
Titolo: «Se Rabin fosse qui»
A pagina 15 di Famiglia Cristiana del 13 novembre è pubblicato, nella rubrica La Bussola, un articolo di Guglielmo Sasinini intitolato "Se Rabin fosse qui".

Partendo dalle affermazioni deliranti del presidente dell’Iran il giornalista ricorda la figura di Yitzhak Rabin del quale il 4 novembre ricorreva l’anniversario della morte.

Con un ritratto eccessivamente "buonista", il giornalista celebra Rabin come "uomo di pace" , colui che ha stretto la mano ad Arafat, il premio Nobel che ha saputo intraprendere la strada "degli accordi di Oslo".

Tutto vero, certo.
Ma Rabin è stato anche il grande stratega che ha condotto il suo paese alla vittoria nel 1967:

con una guerra preventiva, la Guerra dei Sei Giorni, ha annientato gli eserciti di cinque paesi arabi determinati a distruggere Israele.

Rabin non ha tentennato dinanzi alla necessità di reprimere con fermezza l’intifada del 1987.

Ed è sempre Rabin che vedendo Arafat isolato dagli stessi paesi arabi, per essersi schierato dalla parte di Saddam Hussein durante la guerra del Golfo, ritiene sia giunto il momento di avviare con lui un percorso di pace.

Il terrorista ebreo che ha ucciso Rabin non ha però stroncato la determinazione del popolo israeliano a lottare per la pace e, soprattutto, non è stata "la mano assassina di Igal Hamir", come afferma il giornalista, a "ricacciare indietro di molti anni l’intero processo di pace".

A questo ha provveduto con "lodevole impegno" un personaggio che in realtà non ha mai voluto la pace, che ha sempre scelto la strada della violenza e del terrorismo, che ha inneggiato ai martiri che si facevano esplodere per le strade di Gerusalemme facendo strage di civili, che parlando al mondo occidentale "credulone" diceva di volere uno Stato palestinese poi con i contributi della Comunità europea finanziava i terroristi; e, mentre il suo conto in banca lievitava, il suo popolo moriva di fame.

Questo "eroe" ascoltato e ammirato da gran parte della sinistra europea era Arafat.

Il giornalista infine scrive: "Se Rabin non fosse stato ucciso avremmo visto nascere un nuovo Medio Oriente, nel quale personaggi come Ahmadinejad non si sarebbero nemmeno affacciati"

L’odio verso gli ebrei e la volontà di distruggere Israele permeano, ad ogni livello, la società araba e sono diventati parte integrante della loro cultura; pensare che "se Rabin fosse qui"
non ci sarebbero stati il terrorismo, le stragi, l’antisemitismo imperante in Iran, in Siria, in Arabia Saudita, in Marocco ecc. è pura utopia.

E’ molto più realistico ritenere che un nuovo "Medio Oriente" e con esso uno Stato Palestinese avrebbero potuto esistere - da molti anni - se quel capo terrorista che era Arafat non avesse voltato le spalle alle generose proposte del primo ministro Barak nel luglio del 2000 e a tutti i tentativi intrapresi dai governi israeliani di cercare una strada per la pace.

Rabin non era un pacifista, era un generale che si era trovato a combattere duramente per la sopravvivenza del suo paese; nessuno più di lui conosceva il valore della pace, ma era anche consapevole dell’importanza per ogni cittadino israeliano di vivere in un paese sicuro e libero dal terrorismo.

Esattamente come Ariel Sharon.

I fatti raccontano la storia, i sogni o le utopie creano illusioni dannose e inutili.

Riportiamo integralmente l’articolo.

" La reazione innescata dai deliri del presidente iraniano Ahmadinejad ha fatto passare sotto silenzio l’anniversario dell’omicidio di Yitzhak Rabin, il premier israeliano ucciso da un fanatico ebreo il 4 novembre del 1995.

Rabin era un generale anomalo per gli standard israeliani, era un uomo timido, un politico che aveva fama di "falco" ma era sempre rispettoso delle ragioni degli altri. Il suo carattere era un misto di determinazione e di realismo. Negli anni cambiò più volte idea sulla questione palestinese, fino alla svolta che annullò la ventennale posizione di Israele di non trattare con l’Olp. Da quel momento fu breve la strada verso gli accordi di Oslo, che si concretizzarono nella stretta di mano con il leader palestinese Arafat.

Prese così avvio la nuova linea politica di Rabin, che centralizzava ogni discorso sulla necessità di maggiori concessioni ai palestinesi, in modo da riattivare il processo di pace per sottrarlo alla deriva integralista. Rabin sapeva bene a quali pericoli si esponeva all’interno di Israele, così come era consapevole che solo una pace autentica tra palestinesi e israeliani avrebbe disinnescato i focolai dell’odio. La mano assassina del fanatico Igal Hamir non solo ha stroncato la vita di un grande uomo politico, ha anche ricacciato indietro di molti anni l’intero processo di pace.

Se Rabin non fosse stato ucciso avremmo visto nascere un nuovo Medio Oriente, nel quale personaggi come Ahmadinejad non si sarebbero nemmeno affacciati".
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