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Il Foglio Rassegna Stampa
10.11.2005 La lezione universitaria di un avvocato difensore del regime iraniano
presentato come un "moderato"

Testata: Il Foglio
Data: 10 novembre 2005
Pagina: 1
Autore: Amy K. Rosenthal
Titolo: «L'avvocato del diavolo»
A pagina 1 dell'inserto IL FOGLIO di giovedì 10 novembre 2005 pubblica il seguente articolo:
Al direttore – Mahmoud Sariolghalam, docente dell’Università di Teheran, è stato invitato a parlare della situazione geopolitica dell’Iran alla John Cabot University di Roma. L’iniziativa era stata organizzata qualche settimana prima della manifestazione promossa dal Foglio davanti all’ambasciata dell’Iran. Considerata la tensione che si è manifestata in questi ultimi giorni tra Italia e Iran, a detta della Università, il professore non ha potuto rilasciare interviste alla stampa. Mi viene in mente quello che i miei conoscenti iraniani mi hanno spesso ricordato: sii sempre molto scettica nei confronti degli iraniani che parlano all’estero del loro paese per poi ritornarvi. Fuori dalla conferenza i dubbi si sono moltiplicati e i timori trasformati in terrore. Se questo professore è un esponente dell’Iran moderato, non siamo messi bene. Quando Sariolghalam dice che "il governo attuale è costituito da persone appartenenti alla prima generazione (60 anni e più, ndr)" e che "il cambiamento invece avverrà soltanto quando gli appartenenti all’ultima generazione (circa 40-50 anni, ndr) arriveranno al potere", dimentica, forse volutamente, un dettaglio: l’attuale presidente Mahmoud Ahmadinejad ha 49 anni. Il problema non è affatto generazionale. I talebani in Afghanistan non si erano forse proposti come "studenti"? Il nostro è riuscito anche a dire che "la società civile in qualche modo mette in discussione il regime e che gli studenti universitari discutono spesso in dibattiti aperte di problemi mondiali". Affermazione curiosa, non risultano "aperti dibattiti" che attraversano il mondo accademico iraniano. Tanto più che quando parlo al telefono con l’Iran, non posso liberamente discutere temi come "Israele" e loro non sono affatto liberi di citare la parola "regime". Interrogato sull’infelice affermazione del presidente iraniano sulla cancellazione di Israele dalla mappa mondiale, Sariolghalam ha risposto: "Il presidente parlava semplicemente a un gruppo di studenti durante una conferenza sul sionismo". E quindi? Be’, fa spallucce Sariolghalam, quelle dichiarazioni "non avrebbero dovuto uscire da quel contesto". Come dire: il problema non è tanto ciò che Ahmadinejad ha affermato. E’ che lo hanno ascoltato, registrato, riportato. Ecco, questo non era nei patti, sembra dire. Per non menzionare che, dopo le parole del presidente iraniano, la tv di regime non ha fatto altro che, in maniera propagandistica, far vedere immagini di bambini palestinesi affamati e dichiarare che il premier Ariel Sharon è il più grande nemico dell’umanità. Sempre secondo l’oratore, "il pensiero della rivoluzione di 26 anni fa ancora domina la politica attuale". Davvero? A dispetto di quella che è stata la rottura tra gli Stati Uniti e Iran dopo quegli anni – tanto grande che ancora oggi non esiste rappresentanza americana in Iran – l’invitato ha affermato che i due Stati avrebbero in comune molti valori, mentre il problema fondamentale e più grave (il 90 per cento) sarebbe invece lo Stato d’Israele nei suoi rapporti con i palestinesi. Giustificando l’atteggiamento dell’Iran nei confronti d’Israele, il professore ha dato questa illuminante lettura: "Per molte complesse ragioni, coloro che hanno combattuto contro lo scià negli anni Sessanta e Settanta hanno sviluppato un sentimento anti israeliano perché a quell’epoca Israele aiutava il regime dello scià. Allora, considerato che gli americani favorivano le posizioni degli israeliani, gli Stati Uniti hanno suscitato le ire dell’Iran". Non c’è che dire: quale insegnamento di storia contemporanea non farebbe male. Sulle aspirazioni di arricchimento nucleari, Sariolghalam ha detto: "La natura del programma nucleare dell’Iran è alla base della discussione politica con gli Stati Uniti". E l’Europa? Dal suo punto di vista la domanda "riflette una mancanza di fiducia da parte degli Stati Uniti verso l’Iran e verso la struttura di sicurezza dell’Iran, che gli Stati Uniti non capiscono e di cui non hanno informazioni". Mi viene in mente una frase di Stalin: "La fiducia è buona, ma la sicurezza è meglio". Forse l’America fa bene ad avere un atteggiamento diffidente nei confronti dell’Iran? Una nazione non viene definito parte di un "asse del male" dal governo americano senza motivi. La lezione si chiude con una chicca: "Gli Stati Uniti e l’Iran non possono riavvicinarsi senza un comune accordo sulle posizioni da assumere
verso Israele".
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