Il pericolo iraniano è reale intervista a Martin Indyk, ambasciatore americano in Israele durante la presidenza Clinton
Testata: Avvenire Data: 08 novembre 2005 Pagina: 14 Autore: Ivana Arnaldi Titolo: «Indyk: Israele non ignori la minaccia»
AVVENIRE di martedì 8 novembre 2005 pubblica a pagina 14 un'intervista di Ivana Arnaldi a Martin Indyk, ambasciatore degli Stati Uniti in Israele durante la presidenza Clinton e attualmente direttore del Saban Center sul Medio Oriente alla Brookings Institutions di Washington, sulla minaccia iraniana a Israele Ecco il testo:
Organi di stampa con buone fonti al Pentagono sono convinti che il regime iraniano non abbia gradito gli avvenimenti mediorientali degli ultimi 24 mesi: elezioni in Afghanistan, Iraq, Libano, Territori palestinesi e il ritiro unilaterale israeliano da Gaza insieme alle timide riforme di Marocco e Bahrein. Eventi che contrastano con le politiche iraniane di riarmo e sostegno al terrorismo. Negli ultimi giorni, poi, le dichiarazioni incendiarie del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad su Israele hanno suscitato l’indignazione dell’Occidente. «Le dichiarazioni del presidente Ahmadinejad riportano alla memoria le parole che pronunciò, circa quarant’anni fa, il presidente egiziano Gamal Abdel Nasser e cioè di gettare in mare Israele», dice Martin S. Indyk, ex ambasciatore di Bill Clinton in Israele e oggi direttore del Saban Center sul Medio Oriente alla Brookings Institutions di Washington. «C’è però una profonda differenza tra i due. L’Egitto era al confine di Israele e le parole di Nasser erano state proferite mentre l’esercito israeliano giungeva nella penisola del Sinai per la Guerra dei sei giorni. Oggi, la comunità internazionale protesta per la mancanza di civiltà iraniana, anche se non è convinta del tutto che Ahmadinejad faccia sul serio. Abbondanti elementi forniti dall’Aiea indicano invece come l’Iran sia orientato a produrre armi nucleari e l’obiettivo è sostenuto da tutte le fazioni politiche iraniane. Inoltre, non va dimenticato che Ahmadinejad ha minacciato quei governi arabi che riconoscessero Israele». Molti analisti pensano che Israele dovrebbe ritenere le minacce del presidente iraniano solo un attacco populistico ad uso interno. Potrebbe essere così? La risposta è no. Israele non può ignorare le insensate parole di Ahmadinejad. Già quattro anni fa, un altro capo iraniano ritenuto moderato, Hashemi Rafsanjani, sostenne che, in uno scambio nucleare, l’Iran sarebbe in grado di sostenere un secondo colpo mentre l’uso di una bomba nucleare contro Israele non ne lascerebbe traccia sulla terra. L’Iran, sino ad oggi, ha fatto uno sforzo enorme per sviluppare missili a lungo raggio che potessero colpire Israele. Oggi, però, possono essere caricati solo con armi chimiche e lanciarli contro il potente esercito israeliano significherebbe colpire prima la gente iraniana. Le forze armate iraniane dovrebbero spingersi almeno oltre mille chilometri oltre il Golfo Persico ed il deserto arabo, prima di mettere in pratica la minaccia. Si dice anche che ci vorranno almeno cinque anni prima che l’Iran possa dotarsi di armi nucleari. La comunità internazionale, però, si è già mobilitata... Questo è uno di quei rari momenti in cui la comunità internazionale non ha potuto ignorare la verbale aggressione iraniana contro Israele. La discussione sta trascurando però la guerra per procura intrapresa da più di un decennio dalle organizzazioni terroristiche dei Hezbollah nel Libano del Sud e della Jihad islamica palestinese contro civili israeliani. L’intelligence iraniana, infatti, fornisce armi e addestramento per entrambe le fazioni che, negli anni ’90, hanno contrastato gli sforzi di peacemaking di Clinton. Nel 2002, dopo l’intercettazione nel Golfo Persico della nave Karine A, carica di armi iraniane, la protezione dell’Iran è risultata palese . Potrebbe sussistere qualche dubbio che sia la mano iraniana a guidare l’attività terroristica in Medio Oriente? Va ricordato che nel settembre scorso, in occasione del Ramadan, come ringraziamento per il disimpegno israeliano da Gaza, Khamenei ha fatto un incontro pubblico con Abdullah Shallah, il capo della Jihad islamica. Khamenei e Shallah hanno detto che il jiahd è l’unico mezzo per distruggere il nemico sionista. Oggi, più dell’80 per cento dei palestinesi desidera vivere in pace; ma l’Iran, nel contesto della secolare lotta dell’islam contro gli infedeli, sta premendo sulla Jihad per provocare la violenza. Nei nove mesi in cui c’è stato l’informale accordo sull’avvio di negoziati sulla Road map, la Jihad islamica è risultata responsabile degli attacchi kamikaze, ivi compreso quello di Hadera. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione di Avvenire. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.