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L'Unità - La Stampa Rassegna Stampa
07.11.2005 La morte di Ahmed al Khatib è un tragico errore e una conseguenza del terrorismo
non il segno di una "degenerazione" dell'Esercito israeliano

Testata:L'Unità - La Stampa
Autore: Umberto De Giovannangeli - la redazione
Titolo: «Trentasei piccoli»
L'UNITA' di lunedì 7 novembre 2005 pubblica a pagina 7 un articolo di Umberto De Giovannangeli, "Storie di bimbi vittime degli errori israeliani".

Basato su un'inchiesta di Gideon Levy, giornalaista di Ha' aretz, l'articolo allinea le storie tragiche di alcuni bambini palestinesi uccisi durante il conflitto tra Israele e il terroeismo palestinese.
Non sempre viene chiarito il contesto nel quale gli episodi si sono prodotti, testimoni e fonti ospedaliere citate sono sempre palestinesi.
Non viene nemmeno chiarito il contesto nel quale le truppe israeliane operano nei territori: continue minacce terroristiche che possono essere portate anche dai bambini, istigati al terrorismo suicida dalla propaganda, scontri a fuoco con terroristi che si nascondono nella folla disarmata o armata di pietre ( anche queste ultime, giova ricordarlo, sono armi che possono diventare realmente pericolose).
L'affermazione di Levy: "In almeno alcuni di questi casi era chiaro ai soldati che si trattava di bambini, ma questo non li ha fermati" resta senza prove.
come senza prove resta la tesi di una "degenerazione nella lotta la terrorismo".
Senza dubbio eventuali abusi e crimini devono essere puniti, ma non vi è motivo di credere che il sistema giudiziario israeliano, che è indipendente e che già ha incriminato e punito soldati giudicati colpevoli (fatti di cui nell'articolo non si fa cenno), non lo farebbe ancora.
Oltre che un sistema giudiziario indipendente , Israele ha anche una stampa libera, che svolge una indispensabile funzione di controllo ed enuncia.
Ciò non significa che le affermazioni di Gideon Levy, un giornalista di sinistra specializzato nella denuncia dei "crimini dell'occupazione" debbano essere accettate come verità indiscusse.
A meno che non provi il contrario la "degenerazione" di cui scrive non ha avuto luogo.
Vi sono stati, invece, tragici errori nel corso di un conflitto nel quale Israele si è difesa da chi ha ucciso deliberatamente centinaia di bambini
( i cui nomi e le cui storie ed età si vorrebbero vedere un giorno riuniti ed elencati da L'UNITA')

Il titolo dell'articolo a pagina 7 "Storie di bimbi vittime degli errori israeliani" è corretto" , mentre non lo è il richiamo in prima pagina "Trentasei piccoli "tragici errori" " . Le virgolette suggeriscono che in realtà gli israeliani volessero uccidere bambini e che mentano definendoli "errori", l'aggettivo "piccoli" suggerisce l'idea che non li considerino affatto "tragici", ma che guardino con noncuranza e disprezzo alle vite dei bambini palestinesi.

Ecco il testo:

Ahmed era corso in strada a «giocare alla guerra», ma nella martoriata Cisgiordania, la guerra da tempo non è più un gioco, ma la costante della vita di due popoli. Ahmed si è trovato in mezzo agli scontri tra giovani manifestanti palestinesi e soldati israeliani a Jenin, roccaforte degli irriducibili dell'Intifada.
Sassi contro proiettili di gomma, molotov contro raffiche di mitra. Un «tragico errore», ripete un portavoce di Tzahal, è costato la vita al piccolo Ahmed: i soldati israeliani hanno scambiato quella pistola di plastica in un'arma vera. E hanno sparato, colpendo il bambino alla testa e allo stomaco. L'altro ieri, Ahmed ha cessato di vivere. I genitori non si accontentano delle scuse delle autorità militari israeliane. Quelle scuse non restituiranno la vita al loro piccolo. Ma soprattutto, Mahmud e Zahira el Khatib, chiedono giustizia. Perché tanti, troppi, sono i bambini palestinesi che hanno perso la vita per i «tragici errori» dei soldati di Israele.
Ricordare alcuni casi, è anche il modo per restituire un nome, un volto, una memoria ai bambini di Palestina. Perché non siano ridotti a macabra contabilità di una guerra infinita. Una sporca guerra, della quale i bambini israeliani vittime del terrorismo stragista e quelli palestinesi coinvolti nelle rappresaglie israeliane, sono le prime vittime innocenti. Una democrazia - rileva Gideon Levy, coraggioso giornalista di Haaretz a cui si deve la raccolta dei «tragici errori» - si riconosce anche nella sua capacità di ammettere che quando le uccisioni di bambini palestinesi si ripetono a centinaia, «occorre ammettere che ciò è il frutto di una degenerazione nella lotta al terrorismo, molto di più che un eccesso di legittima difesa».
Mohammed Aaraj stava mangiando un panino davanti a casa sua, l'ultima casa prima del cimitero nel campo profughi di Balata, a Nablus, quando un soldato gli ha sparato, uccidendolo, da una brevissima distanza. Aveva sei anni. Kristen Saada era sulla macchina dei suoi genitori, tornando a casa da una visita di famiglia, quando i soldati hanno crivellato l'automobile di pallottole. Aveva 12 anni. I fratelli Jamil e Ahmed Abu Aziz stavano andando in bicicletta in pieno giorno a comprare dolci, quando sono stati centrati da un colpo sparato da un carro armato. Jamil aveva 13 anni, Ahmed 6. Muatez Abudi e Subah Subah sono stati feriti mortalmente da un soldato che, raccontano testimoni oculari, si era posizionato nel centro della piazza del villaggio di Burkin e sparava in ogni direzione da cui provenivano le pietre. Muatez aveva 9 anni, Subah 11.
Raddir Mohammed del campo profughi di Khan Yunis (Striscia di Gaza) era nella sua classe quando i soldati le hanno sparato a morte. Aveva 12 anni. In quel momento non erano in corso combattimenti nella zona.
Aveva 10 anni. Noran Iyad Dib era una scolara palestinese e frequentava la scuola, gestita dall'Onu, del campo profughi di Rafah (sud della Striscia di Gaza). E' stata uccisa nel cortile della scuola: colpita al volto da un proiettile sparato da un soldato israeliano. Mohammed Zaanin aveva 12 anni. Mohammed muore colpito alla testa da un proiettile esploso da un blindato israeliano durante un'incursione nel villaggio di Beit Hanun , nella zona nord-est della Striscia. I medici dell'ospedale Al-Shifa di Gaza misero a referto che i soldati israeliani non avevano permesso alle ambulanze di raggiungere il bambino che è rimasto sanguinante sul terreno per tre ore prima di essere soccorso. Il piccolo Mohammed è spirato poco dopo il ricovero all'ospedale.
Non amava nient'altro che andarsene giù al mare e far volare l'aquilone che si era costruito in casa da solo, ma quella mattina di venerdì, 21 giugno 2002, Abd a-Samed Shamalekh, 10 anni, invece di andare al mare, è andato nel campo che coltiva la sua famiglia a raccogliere melanzane e cetrioli. Ad accompagnarlo è il fratello Mohammed, 12 anni. Il campo della famiglia Shamalekh non è distante dall'insediamento ebraico di Netzarim, teatro di numerosi scontri a fuoco tra i soldati israeliani che lo proteggono e i miliziani palestinesi che lo attaccano. Qualche minuto dopo le 9 di quel mattino, circa un'ora e mezza dopo che i bambini avevano lasciato la casa, qualcuno ha detto ai genitori che Mohammed era stato ferito. Poi gli fu detto che si trattava invece di Abd a-Samed, che era stato portato d'urgenza all'ospedale d'urgenza all'ospedale. All'ospedale i genitori lo hanno trovato morto, con una pallottola in testa, sparata da un soldato di guardia alla colonia di Netzarim. A distanza di anni, Faisal, il padre del bambino, non riesce a darsi pace: «Che cosa ha fatto per provocarli? - ripete tra le lacrime - Abd non aveva tirato neanche un sasso. I soldati avevano tutti i mezzi - telecamere, binocoli - dicono sempre di vedere tutto. Sapevano benissimo che il bambino non avrebbe potuto sparare. Potevano benissimo rendersi conto che erano bambini e non erano armati. È successo in pieno giorno, mica di notte…».
«In almeno alcuni di questi casi - sottolinea Levy - era chiaro ai soldati che si trattava di bambini, ma questo non li ha fermati. I bambini palestinesi non hanno rifugio: sono in pericolo di morte nelle loro case, nelle loro scuole e sulle loro strade. Nemmeno uno solo delle centinaia di bambini uccisi - conclude amaramente l'editorialista di Haaretz - si è meritato di morire, e la responsabilità della loro uccisione non può rimanere sconosciuta». Dall'inizio del 2005, denuncia un recente rapporto dell'Unicef, sono almeno 36 (176 nel 2004, 896 dall'inizio della seconda Intifada, settembre 2000) i bambini palestinesi uccisi nei Territori. Trentasei «tragici errori» che attendono giustizia.
LA STAMPA pubblica a pagina 11 un articolo, ripreso da ANSA, sulla morte del bambino palestinese Ahmed al Khatib, colpito per errore da soldati israeliani durante uno scontro a fuoco perché brandiva una riproduzione del fucile M 16 L'uso di armi giocattolo è molto diffuso nei villaggi palestinesi e, in un contesto di terrorismo, di scontri e di indottrinamento dell'infanzia da parte dei gruppi terroristici espone purtroppo a terribili rischi, in questo caso comunque, secondo quanto scritto dal giornale israeliano Jerusalem Post e diversamente da quanto risulta dal resoconto pubblicato da LA STAMPA, sembra che l'oggetto in questione non fosse un giocattolo facilmente individuabile come tale, ma appunto, una precisa riproduzione di un'arma da guerra .

I genitori di al Khattib hanno deciso di donare gli organi del figlio, che sono sati trapiantati a tre ragazze israeliane.
Un gesto che vuole essere un segno di pace e riconciliazione.

L'articolo ma dimentica, nella descrizione dei funerali del bambino, durante i quali sono sfilati i cartelli con l' immagine di Mohammed Al Dura, bambino palestinese ripreso mentre cercava di nascondersi dietro al padre durante una sparatoria all'inizio della seconda intifada, di ricordare che due inchieste, hanno stabilito incotrovertibilmente che gli israeliani non possono, dalle loro postazioni, aver colpito e ucciso Al Dura. Inoltre, secondo la testimonianza del reporter di France 2 autore del servizio sul filmato la sparatoria avrebbe avuto luogo 2 ore dopo l'ora del decesso di Al Dura indicata dalle autorità sanitarie palestinesi. Il reporter e il suo cameramen palestienese hanno ammesso di aver mentito sull'esistenza di 27 minuti di filmato non trasmessi in televisione. Inoltre : "nel 2001 Nahum Shahaf, che aveva dimostrato con metodi scientifici l' impossibilità che Mohammed al-Doura fosse stato ucciso da proiettili provenienti dalle postazioni israeliane, ha affermato in una intervista rilasciata al Wall Street Journal di aver visionato con estrema attenzione alla moviola quel filmato, e di aver verificato che i proiettili che avrebbero ucciso il bambino provenissero quasi certamente da dietro il cineoperatore, e che ad un certo punto il cineoperatore stesso facesse un segno "due" con le dita, come quando si chiede di ripetere una scena non riuscita" (Informazione Corretta del 2004-12-27, Federico Steinhaus, «Anche la verità spiana la via verso la pace: demolizione di una leggenda infamante» )

Tutto ciò è molto importante, perché il filmato è stato usato dalla propaganda palestinesi per incrementare la violenza e spingere i bambini a desiderare "il martirio".
Non propriamente per fini di pace, dunque.

Infine, occorre notare che in Israele la donazione di organi efettuata senza forme di discriminazione verso il "nemico" rappresenta la norma, e infatti nemmeno "fa notizia".


Ecco il testo dell'articolo:

Un messaggio di dolore, ma anche di speranza, di pace: i genitori di Ahmed al-Khatib, il ragazzo palestinese di 12 anni morto sabato in ospedale dopo essere stato colpito giovedì a Jenin dai soldati israeliani perché aveva in mano un'arma giocattolo, hanno annunciato di avere donato i suoi organi per salvare altri bambini, israeliani o palestinesi, di qualunque nazionalità e religione. «Se quegli organi serviranno ad avvicinare ebrei e arabi, se metteranno fine alla crudele occupazione militare, allora avremo realizzato la missione di questo bambino morto senza una ragione», ha detto il papà di Ahmed, Ismail al-Khatib. «Ho preso questa decisione perché ho un messaggio per il mondo: il popolo palestinese vuole la pace, la pace per tutti», ha spiegato.
«Andando all'ospedale - ha raccontato Ismail Khatib - abbiamo visto molti bambini che giocavano. Nostro figlio era ancora sospeso fra la vita e la morte». «Ho pensato allora - ha aggiunto - che se fosse accaduto il peggio, avremmo dato la vita a altri bambini affinché almeno loro possano continuare a giocare: siamo persone umane, non conosciamo la crudeltà, ma l'esercito israeliano uccide i nostri bambini».
Il gesto, ha detto ancora, vuole essere un messaggio di pace in risposta a un gesto di violenza. La stampa israeliana ha riferito che uno dei parenti di Khatib è un attivista del gruppo «Shvil ha-Zahav» che cerca di favorire la comprensione reciproca fra israeliani e palestinesi. Gli organi di Ahmed sono già stati trapiantati: polmoni, cuore e fegato del piccolo sono stati donati a tre ragazze israeliane, due ebree e una drusa.
Giovedì, poco dopo il ferimento di Ahmed alla testa e all'addome, l'esercito israeliano aveva ammesso l'errore e espresso «rammarico» per l'incidente. I soldati israeliani presenti sul posto hanno detto di essere stati tratti in inganno durante uno scontro a fuoco con miliziani armati dalla improvvisa apparizione a oltre 100 metri di distanza, di Ahmed, che impugnava un fucile di plastica.
Migliaia di persone hanno partecipato ieri pomeriggio a Jenin ai funerali del bambino. Durante i funerali sono sfilati molti altri bambini portando le foto di Mohammed al-Dura, un altro ragazzino palestinese ucciso all'inizio della seconda Intifada mentre cercava di nascondersi dietro al padre durante una sparatoria (le immagini della sua morte fecero il giro del mondo). Sui cartelli una scritta: «Smettete di uccidere i bambini palestinesi».
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