Minacce iraniane: c'è chi si preoccupa solo di quelle al portafoglio come il quotidiano di Confindustria
Testata:Informazione Corretta Autore: la redazione Titolo: «Minacce iraniana: c'è chi si preoccupa solo di quelle agli affari»
IL SOLE 24 ORE di venerdì 4 novembre pubblica l'articolo di Roberto Bongiorni "E se ci tolgono il petrolio"? che riportiamo: Fine novembre 2005 , dopo estenuanti trattative l’agenzai internazioanle dell’energia atomica (Aiea) getta la spugna e trasferisce il dossier nucleare iraniano al consiglio di sicurezza dell’Onu. L’Iran, furioso, agita lo spettro delle ritorsioni in campo energetico. Stila una lista nera dei paesei nemici. Minaccia dolorose misure nei confronti delle major energetiche occidentali. Mancano ancora tre settimane, eppure sembra questo il probabile esito della prossima riunione dell’Aiea, a Vienna il 24 novembre. D’altronde la pervicacia degli ayatollah nel proseguire l’attività di conversione dell’uranio in gas e le minacce del presidente iraniano a Israele, hanno spinto anche i paesi più titubanti a cambiare atteggiamento. LìIran, già sotto sanzioni americane, affila le armi. Ma potrà veramente creare dei danni? E quali saranno i paesi che ne risentiranno di più? Quali le compagnie energetiche? In teoria la Repubblica Islamica ha i numeri per dare uno scossone alle economie energivore dei Paesi occidentali. Con 125 miliardi di barili vanta le seconde riserve mondiali di petrolio. E con 4 milioni di barili/giorno (mbg) è il secondo produttore dell’Opec. Nel gas, le sue riserve sono seconde solo a quelle russe. Un potenziale enorme. "Anche in caso di sanzioni2 spiega Manouchir Takin, nalista del Centre for global energy studies specializzato in Iran – è improbabile che l’Onu vieti di acquistare petrolio iraniano, come hanno fatto gli Usa. Le contromisure potrebbero essere un embargo sulla fornitura di armi, equipaggiamenti elettronici, tecnologia. Ritengo altresì improbabile che l’Iran revochi i contratti petroliferi con le major occidentali o azzeri le vendite ai clienti che hanno votato contro. Per Teheran il petrolio è tutto. L’80- 90% dell’export in valore. La contromossa potrebbe consistere nell’agevolare nelle prossime gare per i diritti di esplorazione e sfruttamento le compagnie dei paesi non ostili. Ma ciò sta già accadendo, specialmente con la Cina". La Cina. Il sodalizio energetico tra il colosso asiatico e gli ayatollah è già una realtà. Con circa 300 mila barili al giorno (BG), nel 2005 l’Iran è divenuto il terzo fornitore alla Cina, alle spalle di Arabia Saudita e Angola. La compagnia cinese sino pec ha firmato a fine 2004 un memorandum d’intendimenti per un contratto stellare sulle forniture di gas: 100 miliardi di dollari per importare in 25 anni 250 milioni di tonnellate di gas liquefatto naturale (Lng), la partecipazione allo sviluppo del giacimento di Yadaravan, e il diritto di acquistare metà della sua futura produzione (150mila bg). Vi sono altre ragioni di ordine politico ed economico, tra cui la vendita di armi, che spingono Pechino a opporsi al deferimento. Ma è indubitabile che il sodalizio energetico giochi un ruolo decisivo. Italia. In teoria l’Italia sarebbe uno dei pochi Paesi doppiamente esposti. In termini di importazioni l’Iran è il nostro quarto fornitore con una quota del 12% . Sul fronte delle compagnie, l’Eni è presente in Iran sin dagli anni 50. In quattro grandi giacimenti, ha investito 2, 46 miliardi di dollari. La sua produzione resta tuttavia modesta, solo 28mila bg di olio equivalente (petrolio e gas). Per di più sotto contratti buy-back. L’Iran, la cui costituzione vieta di vendere la proprietà dei giacimenti, ripaga in petrolio il costo delle prestazioni tecniche fornite nel settore petrolifero. Rispetto alla produzione Eni del 2005, 1,7mbg, l’apporto del greggio iraniano appare modesto. Ma è una quota destinata a salire, una volta che i giacimenti entreranno a pieno regime. Senza contare la grande scommessa sul gas, dove l’Eni ha buone chance. Quanto alle altre major energetiche, l’angloolandese Shell di petrolio iraniano ne acquista circa 200 mila barili/giorno. Più modesti i quantitativi della Total comunque coinvolta in interessanti progetti. India. La situazione dell’India , paese che ha votato contro l’Iran nell’ultima riunione Aiea, è delicata. Grazie a una posizione geografica favorevole, anche il subcontinente ha scommesso sul petrolio di Teheran. Ne importa almeno 50 mila barili giorno. Ma vorrebbe acquistarne molto di più. Ha in cantiere ambiziosi, quanto difficili, progetti: come il gasdotto della pace (7 miliardi di dollari) che dovrebbe portare gas da Teheran, via Pakistan. Anche l’India non ha perso tempo, firmando nel 2005 un memorandum d’intendimenti per un contratto da 25 mila miliardi sul gas Lng. Giappone. E’ il paese più esposto verso l’Iran. Importa oltre 220 mila bg, sta faticando per investire 2 miliardi di dollari in un controverso accordo per partecipare al giacimento di Azadegan. Tokyo non nasconde i suoi timori. Anche in Francia e Corea del sud importano notevoli quantità di greggio dall’Iran. Eppure, spiegano fonti anonime, questo braccio di ferro è arrivato nel momento sbagliato. Sicuramente nuoce ai paesi produttori. Con la capacità di riserva mondiale a livelli bassi – precisa Takin – in casi di deferimento e di minacce iraniane ci sarebbe un impatto, anche se di breve periodo, di qualche dollaro sul prezzo del barile". Ben latro scenario se concretizzasse le sue minacce. Ma chi ne pagherebbe le conseguenze sarebbe sopratttutto l’Iran. Teheran è consapevole che per centrare gli ambiziosi progetti sul petrolio –all’inizio degli anni 70 estraeva 6mbg – non può far ameno delle tecnologie occidentali. Le sue infrastrutture versano in gravi condizione devono rimpiazzare i giacimenti in via d’esaurimento. Per non parlare del gas. Un bussines enorme, ancora da sviluppare. Occorre accelerare i progetti. Costruire gasdotti. Realizzare i costosi impianti di liquefazione per trasportarlo via mare . Attività in cui primeggiano le compagnie energetiche e di servizio degli Stati uniti, le britanniche – anch’esse fuori dall’Iran - e poche altre, tra cui l’italiana Saipem. "con tali prezzi del petrolio – conclude Jamal Qureishi di Pfc Energy - alcuni produttori pensano, accusando poi gravi danni , di poter fare a meno delle major occidentali. Accusando poi gravi danni. Come il Venezuela. Il problema è che le due parti non si comprendono. E’ una guerra psicologica. In cui tutti hanno da perdere. IL FOGLIO di sabato 5 novembre così commenta, nell'editoriale "A come affari e come ayatollah" il modo in cui il quotidiano economico affronta il tema dei rapporti con il regime iraniano: Aderire alle manifestazioni non è obbligatorio e chi non lo fa non è un avversario. Ripetuta questa doverosa premessa, si può osservare con un po’ di sorpresa il modo con cui il quotidiano di Confindustria ha trattato la vicenda delle forsennate minacce del presidente iraniano a Israele e della risposta che hanno suscitato. Giovedì, il giorno delle due manifestazioni, quella di Teheran e quella di Roma, il Sole 24 Ore ha titolato "Rischio commesse per l’Italia", riferendo la minaccia proferita da una non meglio identificata fonte del ministero degli Esteri iraniano. Ieri lo scenario redatto da Roberto Bongiorni poneva l’angoscioso interrogativo: "E se gli ayatollah negassero il petrolio?". Gli affari sono affari, e sarebbe sciocco dimenticare che l’Italia è il primo partner commerciale dell’Iran. Il quotidiano di Confindustria, però, si è lanciato da mesi in una campagna sulla moralizzazione del capitalismo, sull’etica di impresa, e questo poteva far pensare che nella sua ampia visione critica rientrasse anche la minaccia di un genocidio, non solo le pretese finanziarie di qualche palazzinaro. D’altra parte, anche dal punto di vista economico, sembra un po’ paradossale che l’Iran, invece di preoccuparsi della concreta possibilità di subire sanzioni a causa della sua tentazione nucleare, pensi di poterle applicare agli altri. In ogni caso l’unico modo per evitare che ci siano ritorsioni nei confronti dell’Italia, rea di essere un paese in cui vige la libertà di espressione, è che la ripulsa per le minacce iraniane si estenda a tutti i paesi liberi del mondo. Anche la libertà ha una forza economica, se non si ha paura di usarla. Non si può minimizzare la minaccia di cancellare un popolo e uno Stato dalla carta geografica, espressa da un paese che si sta dotando di tecnologia nucleare in dispregio agli accordi internazionali, solo perché questo potrebbe mettere in forse qualche buon affare. Bisogna invece che il costo, anche economico, della crisi sia fatto pagare da tutta la comunità internazionale a chi ne ha la responsabilità. IL TEMPO di lunedì 7 novembre pubblica sullo stesso argomento l'articolo di Filippo Calleri "Confindustria al fianco degli ayatollah " che riportiamo: LUCA Cordero di Montezemolo si trasforma in un mullah iraniano? Smessi i panni del predicatore di etica e comportamenti morali in economia, specie nei fatti italiani, ha indossato quelli del religioso di Teheran? Per gli affari si farebbe anche questo. Meglio non schierarsi troppo apertamente, infatti, con chi, se da una parte minaccia di distruggere un intero Stato, quello israeliano, dall’altra conserva nel suo sottosuolo una quantità di petrolio pari almeno a quello del vicino saudita. E sui cui l’Eni, ad esempio, ha cominciato a rimettere le mani già dagli anni ’90. Non solo. Il capo di Confindustria rappresenta anche migliaia di imprese italiane che esportano regolarmente nel Paese degli ayhatollah. Un business che nel 2004 ha fruttato all’industria italiana oltre 2 miliardi di euro. E che continua a crescere con percentuali a due cifre. Troppo soldi in ballo, insomma, per rischiare ritorsioni con dichiarazioni troppo avventate contro le ultime mosse di politica estera di Teheran. Ecco spiegata la linea di basso profilo del Sole 24 Ore che alla minaccia nucleare ha dedicato solo due articoli. Entrambi hanno rammentato i rischi, per l’Italia e per la sua economia, di un improvviso irrigidimento delle relazioni commerciali con l’Iran. Meglio mettere da parte le polemiche per evitare di perdere ricchi contratti già siglati. Eppure di etica e di comportamento responsabile è stato lastricato finora il mandato di Montezemolo. Al comportamento responsabile degli imprenditori è stato dedicato il passaggio del suo intervento all’assemblea degli industriali di Brescia il 31 maggio scorso: «Impresa è prima di tutto responsabilità e poi è una proprietà - ha detto in quell’occasione -. Richiamare a un’etica della proprietà e della responsabilità è molto importante». Non è stato l’unico richiamo al senso della correttezza, il tema sta così a cuore a Montezemolo da fargli dedicare un passaggio del suo intervento all’assemblea di Confindustria. Era il 26 maggio, quando alla platea degli imprenditori italiani ha detto: «Io sogno un Paese con una forte etica del mercato e una altrettanto forte etica del profitto» sottolineando, poi, i due elementi indispensabili per far ripartire l’Italia: solidarietà ed etica. Meno di due mesi dopo, il 22 luglio, la richiesta di ispirarsi alla correttezza è stata indirizzata a tutti gli imprenditori, poco sensibili a onorare i conti con l’erario, ed entrati nel mirino dell’esecutivo con un piano antievasione. «L’obiettivo indicato dal Governo oltre al recupero di componenti preziose di entrata fiscale ha un valore in sé, di etica dell’impresa in un momento particolarmente difficile per il settore produttivo» ha affermato il numero uno di Viale dell’Astronomia. Che solo qualche giorno fa, il 27 ottobre, sul tema della scarsità di investimenti esteri nel Paese, danneggiati dagli scandali finanziari che ne hanno indebolito l’immagine all’estero, ha fatto un esplicito richiamo agli ingredienti per superare il delicato momento. «Rispetto delle regole, sicurezza, autorevolezza delle istituzioni, etica sono fondamentali in questo momento» ha affermato Montezemolo. Insomma sull’onestà dei comportamenti da parte di tutti gli attori dell’economia invocata dalla Confindustria non mancano le dichiarazioni e gli inviti. Correttezza e responsabilità un po’ affievolite nella vicenda delle minacce rivolte allo stato d’Israele dal presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad. Gli affari sono affari, però. E finché la situazione non si deteriora meglio gettare acqua sul fuoco per evitare ritorsioni. Il clima nella capitale persiana, infatti, si potrebbe surriscaldare non solo per i grandi gruppi italiani come Eni, Fiat, Ansaldo, Tecnimont già presenti ma anche per centinaia di piccole e medie imprese impegnate in tutti i settori economici. Il silenzio, in questo caso e per ora, è d’oro. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta a scrivere alla redazione del Sole 24 Ore, Il Foglio e Il Mattino per esprimere la propria opinione. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail pronta per essere compilata e spedita.