Con degli amici così chi ha più bisogno dei nemici ? Le (s)ragioni del no di Mario Pirani
Testata: La Repubblica Data: 07 novembre 2005 Pagina: 18 Autore: Mario Pirani Titolo: «Perchè non ho aderito alla fiaccolata per Israele»
Dissentire da una iniziativa è un diritto. Dissentire e non parteciparvi pure. Essere però d'accordo con la motivazione per la quale l'iniziativa è stata organizzata, ma dissentire in base ad argomentazioni che nulla hanno a che vedere con l'iniziativa in questione, e quindi non esserci, soltanto a Mario Pirani poteva venire in mente e motivarlo come ha scritto su REPUBBLICA. Con amici così, chi ha più bisogno di nemici ?
Ecco l'articolo: Non sono andato alla fiaccolata dell´altra sera davanti all´ambasciata dell´Iran né ho firmato l´appello del Foglio. Mi sento in dovere verso i pochi o molti lettori di questa rubrica, di esporre le ragioni di una simile scelta. Ho atteso a farlo che il successo, anche da me auspicato, coronasse un evento nel corso del quale tutte le forze politiche del Paese, tranne qualche frangia marginale, hanno espresso una posizione univoca sulla sopravvivenza dello Stato ebraico. Per contro avevo dato la mia adesione e partecipato, assieme a una marea di cittadini di ogni tendenza, alla marcia dal Campidoglio alla Sinagoga che il 15 aprile del 2002, un anno prima della guerra dell´Iraq, il Foglio promosse con lo slogan «Israele deve vivere». Si era in piena intifada, si moltiplicavano gli attentati, non mancavano, soprattutto in Francia ma anche in Italia, rigurgiti antisemiti. Ritenni ampiamente giustificata una iniziativa che puntasse, senza mezzi termini ed equilibrismi, ad affermare il diritto all´esistenza di Israele. Che essa fosse stata assunta da Giuliano Ferrara, schierato su posizioni nettamente alternative alle mie per quanto riguardava il giudizio su Berlusconi, non mi appariva (come non mi appare oggi) motivo discriminante. E allora dove risiede il motivo del rifiuto? Risiede nel fatto che reputo fonte di una confusione politica non accettabile il richiamarsi alla pericolosità attuale dell´Iran senza neppure adombrare che tale peggioramento è l´esito perverso del tragico errore commesso da Bush scatenando la guerra dell´Iraq. Chi, come il Foglio, non solo ha dato dal suo inizio ad oggi pieno sostegno a questa impresa, ma è stato il più convinto e autorevole diffusore delle teorie che l´hanno accompagnata, non dovrebbe, a mio avviso, gettare il giustificatissimo allarme sulla deriva iraniana, tacendo completamente sulla premessa irachena. Non per motivi etici ma per l´evidenza dei dati di fatto. Li puntualizzo schematicamente. In primo luogo gli Usa hanno giustificato la loro offensiva contro Saddam (che poteva esser ridotto allo stremo dall´intensificarsi delle ispezioni, dall´estendersi delle no fly zone, dalle pressioni economiche e politiche, dalla crescente indipendenza delle regioni curde del Nord) in base all´imperativo impellente di smantellare il suo arsenale di armi di distruzione di massa. Queste erano inesistenti ma, nello stesso tempo, alla luce del sole, l´Iran aveva già avviato il suo programma nucleare e gli analisti ne avevano già previsto gli sbocchi verso i quali si sta avviando. Questo errore politico, strategico e ideologico ha portato Bush a fare la guerra sbagliata, compromettendo la possibilità di minacciarne credibilmente una giusta. In secondo luogo la teoria della guerra preventiva è stata accompagnata da quella sulla esportazione della democrazia. Molti hanno plaudito senza riflettere al fatto che elezioni, influenzate in modo determinante dal clero sciita, garantito da una maggioranza popolare ad esso ciecamente fedele, sarebbero nel migliore dei casi sfociate in un rafforzamento dell´area geopolitica sciita, egemonizzata dalla teocrazia iraniana (il cui potere spietato e assoluto convive benissimo, come prova il successo di Ahmadinejad, con elezioni pluripartitiche a scrutinio segreto). Inoltre avrebbero incentivato una guerra civile, alimentata dalla frustrazione sunnita e dall´estendersi dell´influenza terroristica, kamikaze e no. Questi errori hanno spaccato l´Alleanza atlantica e l´Unione europea, rafforzato il fondamentalismo islamico. La potenza militare Usa ne è uscita indebolita. Allo stato delle cose un esercito formato da soli volontari non appare in grado di impegnarsi su un altro scacchiere e neppure di adombrarlo, se non a parole. Ha reso così estremamente poco plausibile, allo stato dei fatti, la minaccia - in questo caso giustificatissima - di una seria dissuasione militare nel caso l´Iran conducesse a termine il suo riarmo nucleare. Queste cose Ahmadinejad le sa benissimo per cui è prevedibile che egli conti di poter attuare impunemente il suo progetto. Già si sente dire in Europa che essendo Israele, il Pakistan e l´India dotate dell´arma atomica, sarebbe in fondo lecito il desiderio di Teheran. Bisogna affermare, invece, alto e forte, che la bomba israeliana è solo un´estrema ratio difensiva che non verrebbe mai usata come arma aggressiva, e quelle indo-pachistane sono in funzione di una reciproca e bilanciata dissuasione. Quella, per contro, degli ayatollah sarebbe una bomba «religiosa» da brandire contro gli infedeli, in primo luogo gli ebrei. Come Teheran ha già proclamato. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione de La Repubblica. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.