Le reazioni israeliane alla fiaccolata di solidarietà la cronaca di Graziano Motta
Testata: Avvenire Data: 04 novembre 2005 Pagina: 5 Autore: Graziano Motta Titolo: «ISRAELE: «UNA FIACCOLATA CHE CI RALLEGRA»»
AVVENIRE di venerdì 4 novembre 2005 pubblica un articolo sulle reazioni israeliane alla fiaccolata di solidarietà contro le minacce del regime iraniano.
Ecco il testo: Le ripetute minacce iraniane all'esistenza dello Stato ebraico dominano l'interesse dei mass media israeliani. Quanto avviene a Teheran è attentamente segnalato mettendo in primo piano le tensioni non solo diplomatiche fra il regime degli ayatollah e l'Italia. Sottolineando la gravità del momento si colloca la dichiarazione del ministero degli Esteri sulla manifestazione di protesta a Roma dinanzi all'ambasciata dell'Iran. Naturalmente di compiacimento: una «fiaccolata che riscalda il cuore», perché vista come una prova della consapevolezza che il popolo italiano ha dei rischi insiti nella richiesta del presidente iraniano di cancellare Israele dalle carte geografiche. Soddisfazione contestuale alla mobilitazione di analisti politici e militari a cui non sta sfuggendo da un lato il valore della risoluzione dell'Assemblea generale dell'Onu sulla istituzione della giornata mondiale commemorativa della Shoah e dall'altro la visita del ministro della Difesa, Shaul Mofaz a Washington. Alle attestazioni ufficiali di gratitudine a nome dei sei milioni di ebrei morti nei campi di sterminio nazisti e dei sopravvissuti allo sterminio, sia dell'ambasciatore al Palazzo di vetro sia della direzione di Yad Vashem, si accompagnano non poche perplessità sul fatto che le delegazioni dei Paesi arabi e musulmani non si sono opposti alla risoluzione, pur esprimendo riserve e rammarico su un testo che non evoca altre tragedie umane della storia. Per questi Paesi, in particolare per quelli arabi, la Shoah resta un evento del tutto estraneo, che riguarda soltanto il mondo occidentale, e non può essere correlato alla esistenza dello Stato d'Israele da essi combattuta con tre guerre e ideologicamente sempre contestata. La visita del ministro Mofaz alla Casa Bianca e al Pentagono è in buona parte dedicata all'esame delle minacce militari dell'Iran non solo per Israele ma anche per l'Europa e tutto il mondo occidentale, a causa dello sviluppo incessante della tecnologia nucleare e di quella missilistica decisamente perseguito da quel regime. È proprio questa connessione tra le due minacce, a cui si aggiunge quella rappresentata dal sostegno a gruppi armati di movimenti fondamentalisti libanesi e palestinesi, che viene sottolineata dagli osservatori più attenti. E un'altra grande riflessione, di carattere interno, specificamente sulla democrazia politica nello Stato ebraico, è venuta ad aggiungersi a quelle sulle minacce esterne, proprio in occasione del decimo anniversario della morte di Yitzhak Rabin. Ieri, all'apertura delle cerimonie ufficiali, il presidente dello Stato, Moshe Katsav, ha voluto affermare con forza che non darà mai la grazia all'assassino (Yigal Amir) e che raccomanderà al suo successore di fare altrettanto, avvertendo in tal modo quegli estremisti che invece la invocano perché - ha tentato di spiegare il presidente della Knesset, Reuven Rivlin - si sentono estranei alla democrazia, lamentando che «le istituzioni non tengono conto dei loro valori», e sostengono che la democrazia è divenuta un «dominio riservato della sinistra». L'assassinio di Rabin, ha replicato il presidente dell'Alta Corte Aaron Barak, ha colpito lo stato di diritto e la democrazia a tutti i livelli, ma essa resta forte per il principio dell'uguaglianza di tutti dinanzi alla legge. Per la figlia di Rabin, Dalia, «le conseguenze dell'assassinio sono note da tempo, ma la lezione non è stata ancora tratta». Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione di Avvenire. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.