Da Teheran nessuna "lezione" per il ministro degli Esteri italiano di contro all'assurda tesi di Lucia Annunziata
Testata: La Stampa Data: 04 novembre 2005 Pagina: 1 Autore: Lucia Annunziata Titolo: «Una lezione per il ministro»
Il ministro degli Esteri italiano Gianfranco Fini, dopo aver inizialmente aderito, ha dovuto rinunciare a partecipare alla fiaccolata in difesa del diritto all'esistenza di Israele. Ciò, a quanto è dato capire, per timore di ritorsioni, anche violente, contro italiani. Israele è uno Stato membro a pieno titolo della comunità internazionale e dell'Onu, è ovvio che sono le dichiarazioni di Ahmadinejad, che ne chiedevano la cancellazione dalle carte geografiche, a costituire una gravissima violazione delle norme di civile convivenza tra i popoli e le nazioni. Mettere in atto il programma del presidente iraniano, inoltre, richiederebbe un genocidio, un gigantesco crimine contro l'umanità che il diritto internazionale proscrive e che il mondo, dopo la seconda guerra mondiale, si è impegnato a impedire. Partecipare alla fiaccolata romana sarebbe dunque stato per Gianfranco Fini un atto legittimo e opportuno, anche e soprattutto in qualità di ministro degli Esteri, oltre che un suo diritto come uomo e come cittadino. Si può comprendere che di fronte all'arroganza di un regime violento e criminale, il senso di responsabilità verso i suoi concittadini lo abbia spinto a rinunciare. Ma trarre da questo esito assai triste la conclusione che la sua adesione iniziale fosse inopportuna, irresponsabile e in contrasto con i suoi doveri di uomo di governo significherebbe confondere la responsabilità politica con l'ambiguità morale e legittimare minacce e ingerenze nella vita politica del nostro paese che dovrebbero invece essere respinte unanimente e con sdegno.
Purtroppo, è esattamente questo che fa, sulla prima pagina de LA STAMPA di venerdì 4 novembre 2005, Lucia annunziata nell'articolo "Una lezione per il ministro".
No, dal regime terrorista e tirannico di Teheran nessuna lezione ricevibile per chicchessia. Gli avvertimenti "mafiosi" non hanno nessun valore pedagogico.
Ecco il testo dell'articolo: Il ministro Gianfranco Fini è sempre stato molto generoso con Israele: di questo Paese ha fatto il centro di un cambiamento personale e politico, senza esitare a pagarne i prezzi dentro il suo partito. Comprensibilmente, con la stessa generosità ha reagito alle farneticazioni del governo di Teheran, che lo hanno colto proprio mentre era in visita in Israele. Divenendo così il simbolo degli uomini politici che hanno deciso di mobilitarsi per la manifestazione indetta da Giuliano Ferrara del Foglio, ieri sera. Solo che ieri sera il ministro Fini non c'era. E non per sua volontà, come ha detto, in una inquietante dichiarazione: «Per senso di responsabilità istituzionale e per non dare pretesto o alibi alcuno, per quanto immotivato, ai fautori della istigazione all'odio mi asterrò dal partecipare fisicamente e mi auguro che questa mia sofferta decisione renda ancor più chiara la vera natura del regime iraniano». Non si pecca di dietrologia, se si intravede in queste parole il riflesso di quello che deve essere successo nelle ultime ore fra Teheran e Roma: le proteste con ambasciatori, le spiegazioni, le minacce, le possibili guerre di sangue e quelle commerciali. In questa situazione ha fatto bene sicuramente il ministro a non andare. Ma la sua fredda e bellicosa autocritica contiene una lezione - per noi e per il ministro stesso: il caso illustra la differenza di fondo che c'è fra essere uomini di partito e rappresentanti di un governo. La libertà di parola e di opinione che è privilegio di chi fa politica senza incarichi istituzionali non è più permessa quando si rappresenta nella propria carica un intero Paese. Gianfranco Fini ha ieri scoperto di essere il ministro degli Esteri dell'Italia: che nella sua veste può esprimere solidarietà, e magari telefonare ad Annan; ma non può andare in piazza sotto l’Ambasciata di un altro Paese.
A meno di non precipitare, come ha fatto, nell'esatto contrario del suo ruolo, portandoci molto vicini a una crisi frontale con Teheran. Mentre per una volta Berlusconi e Prodi, l'uno sempre accusato di faciloneria nelle relazioni internazionali, e l'altro di indecisione, hanno invece tenuto il timone del loro ruolo. La retromarcia di Fini è dunque una lezione istituzionale sullo scavalcamento dei ruoli, ed è valsa un po' per tutti. Anche per coloro che hanno convocato la manifestazione - che è stata grande e sentita, ma che forse con troppo facilità ha scavalcato e inglobato la rappresentanza politica del Paese. Un altro caso di media che divorano la politica? Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla direzione della Stampa . Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.