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Il Foglio Rassegna Stampa
02.11.2005 Il regime iraniano è uno solo, la vera divisione è tra gli ayatollah e il popolo
i fatti, i documenti e la logica smentiscono le tesi di chi minimizza o nega il pericolo

Testata: Il Foglio
Data: 02 novembre 2005
Pagina: 3
Autore: un giornalista - Anna Barducci Mahjar - Felix Stanevskiy - Ababs Milani - Carlo Panella
Titolo: «Siete tutti sionisti - Piani di distruzione - Piani di salvataggio - solo un patto con gli iraniani può far vincere il regime change - Verso il Giudizio universale»
IL FOGLIO di mercoledì 2 novembre 2005 pubblica a pagina 3 l'editoriale "Siete tutti sionisti", sulle minacce dell'Iran all'Italia per le manifestazioni in difesa del diritto all'esistenza di Israele.
Ambienti estremisti, ma accreditati perché vicini al presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, hanno diffuso a Teheran attraverso un’agenzia di stampa, la Fars, una nota in cui, oltre ad espressioni di antisemitismo delirante riguardanti la famiglia Agnelli-Elkann, si qualificano i partecipanti alla fiaccolata di Roma come "tutti sionisti" nel tono ovviamente dell’insulto e del disprezzo politico e ideologico. Si annuncia anche una contromanifestazione nella capitale iraniana, davanti all’ambasciata italiana, da tenersi contemporaneamente a quella romana di domani sera. Ieri è occorso anche un mezzo incidente diplomatico, o forse un incidente tutto intero, in seguito a un incontro del nostro ambasciatore in Libano con il ministro hezbollah dell’energia, che una nota del governo israeliano ha criticato duramente, per probabili ragioni di opportunità. La situazione è dunque molto calda e tesa, e non poteva essere altrimenti. Occorre probabilmente ribadire alcuni concetti politici e culturali importanti, perché quel che cerchiamo, quel che testimonieranno con i loro discorsi alla fiaccolata il rabbino capo della Comunità ebraica romana Riccardo Di Segni, il giornalista Magdi Allam e la presidente del Meeting per l’amicizia tra i popoli Emilia Guarnieri, non è la ricerca di una lite ma l’espressione pacata e ferma di una protesta, quella contenuta nell’appello dei 125 firmatari a cui è seguita una generosa risposta di quasi tutte le parti culturali e politiche della scena pubblica italiana.
Non siamo tutti sionisti, sebbene il sionismo sia una benedizione per un popolo perseguitato e sterminato nel corso dei millenni. Nemmeno tutti gli ebrei sono sionisti, e di sionismi ce ne sono di varie specie. Siamo però tutti difensori del diritto di Israele ad esistere, difensori incrollabili del diritto alla vita di quella democrazia, della sua sicurezza e della sua pace. Con lo stesso animo riconosciamo il diritto palestinese a un focolare nazionale in quella terra, diritto che nessuno nega nella comunità internazionale e che deve diventare realtà eliminando dal campo il peccato originale del terrorismo e della violenza barbarica contro i civili ebrei, oltre che la teorizzazione del loro annientamento da parte di capi di Stato vogliosi di esportare una rivoluzione fondamentalista basata sull’intolleranza e l’odio. Amiamo il popolo iraniano, la sua cultura e la sua religione, che sono patrimonio dell’umanità, e con la nostra manifestazione vogliamo dare voce anche a un altro Iran, quello degli studenti, delle donne e di tutti coloro che si battono per le libertà civili e una vita degna di essere vissuta.
a pagina 3 dell'inserto, nell'articolo "Piani di distruzione" Anna Barducci Mahjar spiega perché non esiste vera differenza tra l'"estremista" Ahmadinejad, il "riformista" Khatami e il "pragmatico" Rafsanjani.

Ecco il testo:

Roma. "Un mondo senza sionismo" è il titolo
della conferenza promossa la settimana
scorsa dal presidente iraniano, Mahmoud
Ahmadinejad: da quel pulpito, con
addosso la sua giacchetta dimessa, ha detto
che la macchia della vergogna (cioè Israele)
deve sparire – utilizzando un termine spregiativo
in farsi – dal centro del mondo islamico.
Dietro di lui c’era il poster del summit:
un globo terrestre da cui scivolavano
via due sfere, una con la bandiera americana
e l’altra con quella dello Stato ebraico.
Tra gli invitati c’erano i rappresentanti dei
gruppi armati Hamas – con la partecipazione
speciale di un portavoce di Khaled Mashaal,
leader del movimento terroristico a
Damasco – del Jihad islamico e degli Hezbollah.
In sala quattromila studenti hanno
ascoltato il leit motiv contro l’"entità sionista"
– iniziato dall’ayatollah Khomeini che
voleva cancellare Israele dalle pagine della
storia – propagandando l’idea di uno Stato
palestinese per due popoli a maggioranza
musulmana, in cui anche gli arabi cristiani
sono cittadini di seconda classe. La
stampa conservatrice, come il quotidiano
Kayhan, ha lodato Ahmadinejad, dicendo
che le sue parole confermano la vera linea
politica del paese. Altri media iraniani, invece,
hanno cercato di smorzare i toni, affermando
che Teheran non ha mai voluto
distruggere lo Stato ebraico, ma semplicemente
cambiare l’atteggiamento dei "sionisti"
nei confronti dei palestinesi.
La posizione ufficiale del governo rimane
quella secondo cui non esiste nessuna
discriminazione nei confronti degli ebrei,
riconosciuta come minoranza religiosa. Nei
discorsi del regime, però, l’antisemitismo
affiora e la parola "israeliano" è spesso sostituita
con "giudeo": nelle ultime manifestazioni
contro gli Stati Uniti e Israele erano
incluse nel pacchetto di propaganda accuse
contro l’ebraismo e nei film iraniani
sullo Stato ebraico o nei programmi tv si
raffigura l’"ebreo" con lo stereotipo
dell’"affarista senza scrupoli". In Iran la
pratica religiosa e lo studio della Torah è
tollerato, ma se il regime crede che ci siano
membri della comunità coinvolti in attività
"a favore di Israele", questi possono essere
condannati per spionaggio, incarcerati
e giustiziati. Quando Khomeini – che instaurò
nel 1979 il giorno di al Quds, manifestazione
contro Israele, fissandola l’ultimo
venerdì di ramadan – salì al potere, il
rabbino di Teheran e gruppi di ebrei furono
uccisi, accusati di appoggiare il "piano
sionista". Sull’emittente iraniana, Sahar tv,
in questi giorni va in onda la serie intitolata
"Olocausto", in cui si nega l’esistenza
della Shoah, definita come un mito e una
leggenda (si può vederla su memritv.org).
D’Alema è proprio sicuro che…?
L’ex presidente iraniano, Mohammed
Khatami ha formalmente condannato le affermazioni
del suo successore, dicendo però
soltanto che fanno male agli "interessi" del
paese. Ieri su Repubblica Massimo D’Alema
diceva di sentirsi confortato da queste critiche:
"Vuol dire che in Iran non ci sono soltanto
fondamentalisti e che avremmo fatto
meglio a cercare il dialogo con l’islam moderato,
invece che cavalcare la follia dello
scontro di civiltà". E’ vero, in Iran non ci sono
soltanto fondamentalisti, ma Khatami
non è certo un "riformista" e le correzioni
delle parole di Ahmadinejad erano soltanto
di forma e non di sostanza. E’ stato infatti
proprio Khatami a lanciare l’anno scorso la
conferenza su "Un mondo senza America",
ispirando il summit di quest’anno. Il video
sull’incontro dell’anno passato, mandato in
onda sulla tv nazionale, raffigurava il crollo
delle Torri gemelle, in segno d’appoggio all’atto
terroristico, e la parola "America" che
cadeva bruciando. Alla fine, c’era un discorso
di Khomeini contro gli Stati Uniti, definiti
come una bestia "arrogante" che vuole
"corrompere". Sono immagini della tradizione
e della mitologia zoroastra – che
convive radicata in Iran assieme allo sciismo
– utilizzate anche dagli ayatollah nei discorsi
contro l’America (il grande Satana) e
Israele nei sermoni del venerdì. Sono "il bene
e il male", "le forze oscure e quelle della
luce" che si ritrovano nell’epopea persiana
di "Il re dei re" in cui si combattono le
forze "arroganti", che "seducono" e "corrompono".
E’ la stessa retorica utilizzata da
Khatami, in abiti più eleganti di Ahmadinejad
e con il gusto per la filosofia, ma con
la sostanza dei conservatori. D’Alema e chi
crede alle "smentite" di Khatami dovrebbero
cercare i riformisti tra gli studenti universitari
di Teheran che, i primi di dicembre
dell’anno scorso, a scapito della loro sicurezza,
hanno fischiato Khatami, scandendo:
"Niente più bugie".
Larticolo "Piani di salvataggio" Felix Stanevskiy analizza la crisi che le dichiarazioni di Ahmadinejad hanno provocato tra Iran e Russia, fino ad oggi il principale alleato diplomatico del regime di Teheran
Mosca. "Fino a pochi giorni fa la Russia
ha difeso l’Iran come ha potuto. Ma che
senso ha continuare a farlo?". La domanda
posta dall’autorevole quotidiano russo Izvestia
evidenzia l’imbarazzo del Cremlino
e dei russi di fronte alle recenti dichiarazioni
del presidente della Repubblica islamica,
Mahmoud Ahmadinejad. La reazione
di Mosca è stata immediata e di condanna,
e si temono fratture diplomatiche. Secondo
fonti inglesi, infatti, gli ambasciatori iraniani
a Londra, Parigi, Berlino, all’Onu sono
stati rimossi negli ultimi due giorni, secondo
le fonti del governo iraniano "perché
avevano concluso il loro mandato". Durante
la campagna elettorale Ahmadinejad
aveva criticato i diplomatici in Europa
coinvolti nelle negoziazioni.
La Russia vanta rapporti storici e consolidati
con l’Iran. Il giorno prima dello "scandalo",
Vladimir Putin ha telefonato all’ex
sindaco di Teheran per discutere insieme la
possibilità di risolvere la questione nucleare
dell’Iran "nel campo legale dell’Aiea, attraverso
metodi politici". Prima ancora, a
Mosca è arrivato il ministro degli Esteri iraniano,
Manouchehr Mottaki: si è parlato di
una visita ufficiale del presidente russo in
Iran. Il premier Michail Fradkov ha ricevuto
a Mosca il vicepresidente dell’Iran Parviz
Davudi, e anche l’incontro personale tra i
presidenti dei due paesi è avvenuto a metà
settembre a New York. Putin parlava allora
dei rapporti stretti tra i due paesi e si congratulava
con Ahmadinejad per la sua "notevole
esperienza nella collaborazione con
la controparte russa". Oggi più che irritato
il Cremlino è stizzito. La Russia ritiene
"inaccettabili" gli appelli alla cancellazione
di Israele, come hanno detto sia il ministro
degli Esteri, Serghey Lavrov, sia quello
della Difesa, Serghey Ivanov. E’ eloquente
l’accento posto da Lavrov: Ahmadinejad
"ha dato nuovi argomenti a chi insisteva sulla
necessità di trasmettere il dossier iraniano
al Consiglio di sicurezza". Si può capire
l’imbarazzo del ministro russo. Trovandosi
a Tel Aviv, aveva sentito le preoccupazioni
del governo d’Israele sulla militarizzazione
di Teheran: Lavrov aveva cercato di calmare
i leader israeliani, dicendo che non c’era
alcuna fretta per il passaggio all’Onu della
questione. Il Cremlino infatti teme le ripercussioni
delle eventuali sanzioni che il Consiglio
di sicurezza potrebbe imporre all’Iran.
Il contratto russo-iraniano per la costruzione
della centrale nucleare a Buscher
porta 800 milioni di dollari. Il commercio
tra i due paesi va a gonfie vele con l’incremento
nel 2004 del 43 per cento. Privarsi di
2-3 miliardi di dollari all’anno? Come scrive
Izvestia, per la Russia si è creata "una situazione
estremamente spiacevole".
Le (poche) simpatie degli elettori russi
La domanda che più circola in questi
giorni a Mosca è: non è che abbiamo preso
un abbaglio sull’uso "pacifico" dell’energia
nucleare da parte degli ayatollah? E’ possibile
che, lanciandosi in attacchi veementi
contro gli Stati Uniti e Israele, i leader iraniani
non abbiano già ora pronta qualche
carta militare? Tra gli esperti si percepisce
una certa preoccupazione per le notizie diffuse
dai mass media occidentali sulla vendita
all’Iran delle tecnologie missilistiche
russe, nonché sui tentativi dell’Iran di costruire
missili capaci di colpire capitali occidentali
a distanza di 3,5 mila chilometri.
Molti pensano che si tratti di esagerazioni.
"E’ impossibile che Putin si lasci compromettere
aiutando l’Iran a costruire i missili",
sostiene Grigory Mirsky del Centro per
le relazioni internazionali. "Non ho dubbi –
dice Konstantin Kosaciov, presidente del
Comitato internazionale della Duma – che
la Russia non possa collaborare in questo
senso con Iran e Corea del nord". Gli esperti
russi ricordano sempre che un missile iraniano
capace di raggiungere l’Europa potrebbe
un giorno colpire anche Mosca.
C’è stata anche la reazione impacciata di
molti antisemiti russi. L’ambasciata d’Iran a
Mosca ha tentato questa carta: "Ambienti
sionisti – ha annunciato l’ambasciata – hanno
creato una nuova crisi nell’opinione pubblica".
Ma molti hanno tentennato quando i
palestinesi hanno ritenuto inaccettabili le
parole di Ahmadinejad. Imbarazzata anche
la reazione di comunisti e di nazionalisti,
noti per il loro antiamericanismo. La Pravda
titola: "Una tempesta in un bicchier d’acqua",
ma la prima frase dell’articolo contraddice
il titolo: "Il presidente iraniano ha
fatto una dichiarazione scandalosa". L’elettorato
russo non ama il presidente dell’Iran:
appare in balia della retorica islamista. La
Russia soffre troppo a causa dell’estremismo
islamico all’interno del paese per appoggiarlo
su scala internazionale.
Abbas Milani,direttore Studi iraniani di Stanford spiega in un articolo ripreso dal Wall Street Journal e da Milano Finanza "Perché solo un patto con gli iraniani può far vincere il "regime change" ".

Ecco il testo:

La cricca clericale che governa l’Iran sta
spingendo la sua popolazione schiavizzata
sull’orlo del baratro. Le parole del presidente
Ahmadinejad – ha detto che Israele
deve "essere cancellato" – hanno profondamente
aggravato l’isolamento del paese. La
più rosea speranza del regime è che la Cina,
mossa dalla sua insaziabile sete di energia,
decida di esercitare il proprio diritto di veto
per impedire l’eventuale applicazione di
sanzioni da parte dell’Onu. Ci sono ancora
alcuni sostenitori del regime iraniano secondo
cui un grande patto con i mullah (cioè
la garanzia della sicurezza americana in
cambio della promessa iraniana di rinunciare
al programma di sviluppo nucleare)
sia l’unica alternativa a disposizione degli
Stati Uniti. Per altri, l’unica possibilità di
annullare le ambizioni nucleari dei mullah
è rappresentata da un attacco chirurgico
contro gli impianti nucleari iraniani. Ma
un’operazione di questo genere ucciderebbe
centinaia di innocenti e potrebbe essere
sottoposto ad azioni legali; per di più, non
fornirebbe la certezza di distruggere completamente
gli impianti iraniani, che sono
protetti da grandi fortificazioni. Infine, un
attacco consoliderebbe il potere degli elementi
più intransigenti del regime.
La sola risposta per il problema di un
Iran nucleare è la democrazia. L’Amministrazione
di Ahmadinejad è già ben nota per
la sua mediocrità e per la sua subordinazione
alla volontà dei militari e dei servizi segreti.
L’elezione del nuovo presidente ha
provocato gravi spaccature nei ranghi del clero dominante. Oltre quattro mesi dopo le
elezioni, le varie fazioni di potere non sono
ancora riuscite a mettersi d’accordo su quattro
importanti ministeri: petrolio, istruzione,
welfare e collaborazione.
Malgrado entrate petrolifere da record,
l’economia è in difficoltà. Milioni di persone
vivono in condizioni di povertà, e molti altri
sono disoccupati cronici. Le populiste, ma
insensate, dichiarazioni di Ahmadinejad
hanno fatto precipitare l’economia. Lo Stato
possiede già l’80 per cento dell’economia e
il presidente ha promesso di voler aumentare
ulteriormente la quota. Gli investimenti
del settore privato sono cessati. Le banche
sono in crisi perché il presidente ha dichiarato
che il sistema bancario dovrebbe essere
un monopolio governativo. I goffi tentativi
del governo di armeggiare con i tassi d’interesse
– gira voce che li abbia completamente
aboliti (l’islam proibisce l’usura) –
non ha fatto altro che aggravare la crisi. I direttori
di banca hanno emanato una moratoria
sui prestiti. Il valore delle azioni è sceso
non appena si è diffusa la notizia che il
presidente considera il mercato azionario
una cosa "non islamica". Si calcola che la
borsa di Teheran abbia perso circa il 30 per
cento del suo valore complessivo.
Sul piano internazionale, il regime si è
spesso vantato di aver saputo mettere l’Unione
europea contro gli Stati Uniti e la Russia
contro l’occidente. Anche Cina e India –
che hanno stipulato accordi per l’acquisto di
petrolio iraniano per un valore di 150 miliardi
di dollari – hanno stretti rapporti con
Teheran. Ma l’Ue sembra non più disposta a
lasciarsi usare come un pretesto contro gli
Stati Uniti, e l’India sta dando prova di non
voler mettere in pericolo la sua amicizia con
Washington per la questione iraniana.
Gli elementi dell’accordo
L’accusa di avere fornito bombe ai terroristi
sunniti iracheni ha fatto entrare in collisione
l’Iran con il governo inglese, finora
conciliante. Molti membri del regime ritengono
ormai che l’Iran sia isolato e vulnerabile.
Per placare questo timore, il governo
ha annunciato che tutti i rami del governo
saranno gestiti da un "Consiglio d’opportunità"
e non dagli incompetenti del nuovo gabinetto.
Questo ha provocato notevoli scontri
tra le varie fazioni di potere (…). Tutti i
critici ribadiscono il loro fermo sostegno al
diritto di avere un pacifico programma nucleare,
ma mettono in discussione le decisioni
politiche. Altri, come gli esponenti dell’Organizzazione
rivoluzionaria islamica (fedele
sostenitrice del regime) e alcuni membri
del Parlamento, criticano la scelta di
perseguire un programma di sviluppo nucleare
anche a costo di diventare una nazione
pariah. Il fatto stesso che si siano sentite
queste voci, malgrado un atmosfera di terrore
(dove mettere in dubbio la politica nucleare
è considerato un atto di tradimento),
indica che l’opposizione, dietro le quinte,
potrebbe essere ben più forte di quanto si
creda. L’occidente, in particolare gli Stati
Uniti, ha inavvertitamente aiutato i mullah
non coinvolgendo il popolo iraniano sui veri
problemi della questione nucleare: la fattibilità
economica di un programma di sviluppo
nucleare, il valore strategico e il costo
di una bomba atomica per l’Iran, nonché
un’informazione corretta sull’importanza
della sicurezza nucleare. Ma gli ultimi sviluppi
della situazione in Iran hanno creato
nuove opportunità per gli Stati Uniti di intervenire
in questo dibattito.
E’ giunto il momento di un nuovo grande
patto con il popolo iraniano. Anziché fare intimidazioni
e dimostrazioni di forza, gli Stati
Uniti dovrebbero incoraggiare il dibattito
all’interno dell’Iran. Devono dare al popolo
iraniano la garanzia del rispetto del loro diritto
a sviluppare un programma nucleare
pacifico, e di essere convinti del fatto che il
problema non sta nel popolo ma in coloro
che si sono arrogati con la forza il diritto di
parlare a suo nome. Ogni elemento di questo
nuovo patto (fine dell’embargo e sostituzione
con sanzioni "intelligenti", fine del blocco
sulle parti di ricambio degli aerei, offerta
di sistemi per la rivelazione sismica, relazioni
dirette con il regime) deve essere visto
come parte integrante di una più ampia strategia
con lo scopo di aiutare gli iraniani a
realizzare il suo sogno di democrazia. Altrimenti
sarà considerato soltanto come un affare
con il regime. E questo annienterebbe
la buona volontà del popolo iraniano.
Nell'articolo "Verso il Giudizio universale"infine, Carlo Panella spiega cheil "potere reale", in Iran, è quello degli ayatollah e come le parole di Ahmadinejad non siano che la ripetizione di quelle della "guida suprema" Khamenei
Il carattere assolutamente teocratico della
Costituzione iraniana è imperniato
sul secondo principio secondo il quale la
sede della Sovranità è posta esclusivamente
in Dio e non nel popolo. L’esercizio
di tale potere, di tale sovranità divina, si
realizza poi attraverso la "competenza costante"
dei "dottori del dogma" ("giureconsulti"),
secondo il principio della velayat
e faquih. Il combinato disposto di
questi elementi determina l’eliminazione
di ogni potere decisionale del popolo e
quindi dei suoi rappresentanti eletti. A
Parlamento e governo è delegata unicamente
la gestione corrente di un potere decisionale
che ha sede nel Giureconsulto
(l’ayatollah Khomeini, oggi l’ayatollah Khamenei).
Questo carattere solo "gestionale"
delle istituzioni statuali è codificato nel
quinto e nel sesto principio, che ribadiscono
che la sovranità è esclusivo appannaggio
di Dio, che in sua vece è gestita dall’imamato
(Giureconsulto) e viene amministrata,
soltanto amministrata, da organi politici
(un esecutivo di tipo presidenziale),
privi di ogni potere reale di decisione perché
non sono né sovrani né espressione di
una sovranità delegata. L’ulteriore definizione
di questo passaggio è fondamentale:
"Gli affari del paese devono essere diretti
appoggiandosi sull’opinione pubblica attraverso
elezioni". Solo "appoggiandosi",
nulla più. La sede della direzione politica
è altrove, è nei "dottori del dogma", i "giureconsulti",
organizzati in Consigli (nominati
dal "Giureconsulto" e degli altri ayatollah,
da cui il popolo è escluso). I deputati
eletti "dall’opinione pubblica" hanno
solo il ruolo di supporto dell’effettiva fonte
della sovranità. La carenza di potere
reale delle istituzioni rappresentative è ribadita
nel quarto principio che riserva ai "dottori del dogma" l’esclusivo potere di
determinare se "leggi e regolamenti" siano
o no basati sui precetti islamici. Gli
stessi "dottori del dogma", tramite il "Consiglio
dei Guardiani", hanno il potere di
eliminare dalle elezioni i candidati che
non garantiscono l’applicazione dei principi
islamici. Cosa che regolarmente avviene
in centinaia di casi. Questo schema
vale anche per la politica estera. Il terzo
principio impone infatti al governo l’obbligo
di "elaborare la politica estera, sulla
base dei valori islamici". Ma solo i "dottori
del dogma" hanno il potere di determinare
quali siano questi "valori islamici".
Questo spiega la posizione di Ahmadinejad
su Israele: Khomeini, imam e "dottore
del dogma", ha stabilito l’obbligo islamico
e quindi costituzionale di "cancellare
Israele dalla faccia della terra", ed egli
non fa altro che confermarlo (anche Khatami
lo confermava, ma senza dirlo apertamente).
La Costituzione khomeinista definisce
una struttura statale piramidale e
teocratica, finalizzata alla scadenza del
Giudizio universale, in cui il potere, che
promana solo dall’alto, da Allah, si irradia
verso il basso. E’ una Repubblica le cui
istituzioni sono impostate secondo gli schemi
della Città del Sole di Tommaso Campanella
(il potere è nelle mani dei filosofisacerdoti),
in cui le strutture statuali hanno
funzioni di supporto. La rigidità della
direzione "rivoluzionaria" monocratica e
teocratica della leadership religiosa islamica
è temperata da uno strumento istituzionale,
che ha soltanto il compito – come
si è visto con Khatami – di sterilizzare le
tensioni e le conflittualità di una moderna
società composita – la base della piramide
– totalmente priva di potere.
Carlo Panella
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