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Il Manifesto Rassegna Stampa
01.11.2005 Chi tace acconsente
il quotidiano comunista non va in piazza per Israele e fornisce consigli non richiesti a chi ci andrà

Testata: Il Manifesto
Data: 01 novembre 2005
Pagina: 4
Autore: Carla Casalini - Michele Giorgio
Titolo: «Destra e sinistra per il 3 novembre - 38 anni di violazioni, da Dimona al Muro»
IL MANIFESTO di martedì 1 novembre 2005 pubblica a pagina 4 un articolo di Carla Casalini "Destra e sinistra per il 3 novembre", di cui riportiamo il passaggio politicamente più importante:
Eppure qui in Italia, la proposta di manifestazione per il 3 novembre lanciata dal Foglio - che sta raccogliendo adesioni da destra a sinistra - salta con nonchalance al di là della miccia: sì al sacrosanto diritto degli israeliani di vivere materialmente e politicamente in quella terra, ma non una parola sugli altri, i palestinesi, che in quella medesima terra aspirano a un diritto uguale. Anzi, sul Foglio Giuliano Ferrara con non insolita virulenza, invocando Bush, e Oriana Fallaci, chiarisce che è ora di prendere atto della «realtà» dello scontro di civiltà tra occidente e islam in cui «l'attuale guerra in Palestina rappresenta la linea del fronte contro il mondo dell'arroganza». Un assunto ideologico, questo di Ferrara, ma dal fiato corto, perché quel che appare, delle «due civiltà» che lo ossessionano, è semmai la crisi di entrambe. Ma quel suo cappello calcato sulla manifestazione, stringe in una condizione ingrata i leader dell'opposizione che ieri hanno comunicato la loro adesione alla fiaccolata romana del 3 novembre dovendo aggiungere il «pezzo mancante» sul dialogo e la pace da perseguire per «israeliani e palestinesi».
Osserviamo anzitutto che Giuliano Ferrara, sul FOGLIO dello stesso giorno, chiarisce, rispondendo ad Arturo Parisi,che il suo editoriale di lunedì 31 ottobre esprimeva un'opinione personale e non la piattaforma politica della manifestazione romana.
Occorre poi ribadire che, se uno Stato palestinese ancora non esiste lo si deve al terrorismo e al rifiuto dell'esistenza di Israele.
Nel corso degli anni non sono certo mancate le manifestazioni a favore dei "diritti nazionali" palestinesi.
Nessuno invece, nell'aerea politica di cui il quotidiano comunista è parte, ha mai manifestato contro il militarismo di regimi tirannici che giustificano se stessi e la propria sopravvivenza al potere promuovendo l'odio per Israele, contro i loro finanziamenti alle strargi del terrorismo suicida, contro la propaganda antisemita che diffondono nel mondo.
Ahmadinejad ha espresso nella maniera più chiara, in modo da rendere impossibile ignorarla, la politica costantemente perseguita da uno dei peggiori e più pericolosi di questi regimi, quello degli ayatollah.
Alcuni, probabilmente, sono stati come risvegliati da un lungo sonno. Hanno preso improvvisamente coscienza di ciò che avevano per lungo tempo ignorato, sviati anche, crediamo, da un'informazione che su certi fatti aveva accuratamente posto la sordina.
Altri, al contrario, appaiono preoccupati soprattutto di poter continuare a ripetere gli slogan di sempre.
Non stupisce più di tanto che IL MANIFESTO si colochi in questo secondo gruppo.

Di tale scelta è un'applicazione perfetta l'articolo di Michele Giorgio "38 anni di violazioni, da Dimona al Muro", che riportiamo:

L'auspicio di Mahmud Ahmadinejad che Israele venga cancellato dalle cartine geografiche del mondo, sebbene rientri nell'abituale propaganda del regime iraniano, ha generato forte sdegno e proteste quasi ovunque nel mondo.
Il discorso di Ahmadinejad non è solo un "auspicio" e non è semplice "propaganda" dato che contiene un apello a un "ondata" di terrore contro Israele e viene dal capo di stato di un paese che vuole munirsi di armi nucleari.
Reazioni ampiamente giustificate di fronte alla gravità delle affermazioni del presidente iraniano, che dal punto di vista diplomatico ha segnato un autogol pesantissimo. Una riflessione tuttavia è doverosa alla luce della fase politica internazionale che viviamo da qualche anno. La violenza verbale iraniana non deve farci perdere di vista ciò che abbiamo sul terreno. Israele è un paese legittimo, riconosciuto da gran parte del mondo, che gode di ampi sostegni internazionali e, pur tenendo presente i «desideri» espressi da Ahmadinejad, nulla lascia ragionevolmente prevedere che la sua esistenza sia davvero in pericolo. Non va neanche dimenticata la sua eccezionale potenza militare che lo rende in grado di colpire in modo devastante i suoi potenziali nemici tanto guasconi a parole ma di fatto impotenti dal punto di vista bellico.
Ma capaci di finanziare il terrorismo e intenzionati a munirsi di armi di sterminio di massa.
Israele esiste e nessuno deve mettere in dubbio e minacciare la sua esistenza. Allo stesso tempo Tel Aviv deve riconoscere una volta e per tutte il diritto dei palestinesi ad avere subito - non tra un centinaio di anni -
Israele pone come condizione per la nascita di uno Stato palestinese in un processo negoziale la reale lotta al terrorismo da parte delle autorità palestinesi. Che questo avvenga subito o "tra un centinaio d'anni" dipende dai palestinesi stessi.
un loro Stato sovrano e pienamente indipendente su una porzione (minima peraltro) della loro storica terra. Tanti, anche nella sinistra italiana, ora preferiscono nascondere la testa sotto la sabbia quando si parla dei palestinesi - descritti tutti come potenziali «terroristi», anche i bambini - eppure non si può negare un dato storico essenziale: Israele chiede legittimamente di essere riconosciuto dall'intero mondo arabo ma da 38 anni nega questo stesso diritto ad un altro popolo.
Lo Stato palestinese poteva nascere nel 1948, poteva nascere nel 2000, può nascere ora dopo il ritiro da Gaza. Sono stati sempre, e sono tuttora, il terrorismo, il rifiuto dell'esistenza di Israele e anche l'influenza nefasta di totalitarismi antisemiti esterni a costituire i principali ostacoli a questo esito. Ostacoli che già molte volte hanno portato a un fallimento.
Nel 2002, al vertice della Lega araba di Beirut, è stata approvata una risoluzione proposta dall'Arabia saudita che prevede il riconoscimento da parte del mondo arabo dello Stato ebraico in cambio del ritiro di Israele dai territori arabi che ha occupato nel 1967. Il premier Ariel Sharon ha detto no perché il suo paese non intende arretrare alle linee del 4 giugno del 1967 che pure sono ben più larghe rispetto ai confini stabiliti dal Piano di spartizione della Palestina del 1947, accettato dai fondatori dello Stato ebraico.
E' bene ricordare che l'Iran si oppose a quel piano, il suo "piano di pace" consistendo nel decretare la scomparsa di Israele attraverso un referendum (dal quale sarebebro esclusi gli ebrei arrivati in Israele dopo il 1948 e i loro discendenti) anziché, come esplicitamente propone ora Ahmadinejad, con un genocidio (il "piano di guerra").
Va poi osservato che nessun paese scambia territori con un riconoscimento della sua esistenza, ma semmai con garanzie concrete di sicurezza e che il piano di Abdallah venne presentato nel pieno di un'offensiva terroristica. Quali garanzie aveva Israele che tale offensiva sarebbe cessata se avesse accettato di cedere territori all'Anp? A quella stessa autorità palestinese capeggiata da Yasser Arafat, cioè, che quell'offensiva promuoveva?

Israele denuncia correttamente i piani bellici dei paesi ostili ma con l'occupazione dei territori palestinesi contribuisce in modo importante a tenere alta la tensione in Medio Oriente. Israele chiede ragionevolmente di essere «legalizzato» ma calpesta senza alcun problema, e talvolta anche un certo gusto, quella parte della legalità internazionale che non fa i suoi interessi. Ad esempio la decisione della Corte internazionale di giustizia dell'Aja contro il muro.

La barriera difensiva equiparata alla dichiarata volontà di cancellare un paese dalla carta geografica!
Ieri alla Knesset Sharon ha affermato con tono perentorio che Israele «continuerà con energia la costruzione della barriera (in Cisgiordania) senza limiti di bilancio o politici». Non solo, ha aggiunto che il suo paese proseguirà la politica di insediamenti ebraici in Cisgiordania e nelle alture del Golan (appartenenti alla Siria). Tutto ciò in violazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'Onu al quale invece il governo Sharon si appella quando si tratta di mettere sotto pressione la Siria o l'Iran. Il mondo e l'Agenzia per l'energia atomica fanno bene a tenere sotto pressione Teheran e ad accertarsi che non produca armi nucleari ma come si fa a convincere un arabo che deve credere nella giustizia internazionale quando nessuno apre bocca, incluso il premio Nobel Maohammed ElBaradei, sull'esistenza in Israele di un potente arsenale nucleare?
Israele ha subito guerre di aggressione fin dalla sua nascita, il suo arsenale nucleare ha uno scopo difensivo.
Come si fa a persuadere un arabo della giustezza della politica mediorientale degli Stati uniti quando George Bush ha scatenato una guerra sulle inesistenti armi di distruzione di massa dell'Iraq e non osa proporre una semplice ispezione alla centrale nucleare israeliana di Dimona? Diamo un suggerimento ai tanti che tra qualche ora in Italia scenderanno in strada per ribadire il diritto ad esistere di Israele e a protestare contro le assurde affermazioni di Ahmadinejad: sostenete anche i legittimi diritti dei palestinesi che il loro Stato continuano a sognarlo.
Da parte nostra diamo invece un suggerimento e quanti credono di "sostenere legittimi diritti dei palestinesi". Sostenete anche il diritto all'esistenza e alla sicurezza di Israele. Manifestate contro il terrore, contro l'antisemitismo propagandato dai regime mediorientali, contro la cultura dell'odio.
Non ci risulta che ciò si mai avvenuto durante le manifestazioni filopalestinesi e non ci capacitiamo di come, quando qualcuno scende in piazza contro chi si prepara a compiere un genocidio in Medio Oriente, possa essere accusato di parzialità e strabismo e debba sentrisi predicare l'equanimità da pulpiti così poco credibili come il MANIFESTO.

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