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Il Foglio Rassegna Stampa
29.10.2005 Dire "no" al progetto genocida di Ahmadinejad
analisi, commenti, appelli e l'iniziativa di una fiaccolata giovedì 3 novembre a Roma, davanti all'ambasciata iraniana

Testata: Il Foglio
Data: 29 ottobre 2005
Pagina: 1
Autore: un giornalista
Titolo: «Israele è una roccia - La stella che brucia - La minaccia militare - La nuova Monaco - Reazioni e silenzi - Già 125 fiaccole - Il discorso dell'odio - Scene d adiritti umani negati, un viaggio per le vie di Teheran»
IL FOGLIO di venerdì 29 ottobre 2005 pubblica a pagina 3 l'editoriale "Israele è una roccia", che riportiamo:
Noi amiamo l’Iran, la sua cultura, la sua storia, la sua religione, la sua sofferenza, la sua nascosta allegria e gran voglia di vivere, la febbre democratica dei suoi giovani e della maggioranza assoluta di quel popolo. Non amiamo il regime teocratico che lo governa dal 1979. Non amiamo la sua complicità con il terrorismo internazionale, la sua violenza antioccidentale e antiamericana, e il suo tentativo di procurarsi l’arma nucleare ci spaventa, ci angoscia. Sappiamo che la spinta del fanatismo profetico rende tutto possibile. E abbiamo sentito dalla viva voce di Mahmoud Ahmadinejad, il capo di una classe dirigente plebiscitaria che vorremmo veder sostituita da una democrazia costituzionale, che il suo governo dei mullah e degli ayatollah non vuole rovesciare la politica di Ariel Sharon, non vuole negoziare, vuole semplicemente "eliminare Israele dalla carta geografica", cioè dalla faccia della terra. La nostra risposta è altrettanto semplicemente NO.
In una grande capitale europea come Roma, in un paese che promulgò le leggi razziali contro gli ebrei, in una città in cui si è scherzato con il fuoco dell’antisemitismo, ma si è anche intrecciato un grande dialogo interreligioso e laico con le ragioni di Israele, popolo e focolare nazionale dei dispersi e dei salvati, si deve sentire questo NO. E lo si sentirà alto, rocccioso come roccioso è Israele, giovedì prossimo 3 novembre, davanti all’ambasciata della Repubblica islamica d’Iran. Con gli iraniani, contro la violenza del regime, a difesa come sempre del diritto di Israele ad esistere in sicurezza e in pace accanto agli altri popoli e stati della regione mediorientale.
In prima pagina troviamo l'articolo "La stella che brucia" che spiega come Ahmadinejad, nonostante l'indignazione del mondo, abbia rilanciato il suo messaggio d'odio.

Ecco il testo:

Beirut. "Morte a Israele, morte all’America". A Teheran migliaia di persone – secondo alcune fonti un milione – hanno marciato lanciando alto il loro canto di odio. Mahmoud Ahmadinejad è sceso in piazza con loro, in questo ultimo venerdì di ramadan, dal 1979 – anno della rivoluzione islamica e dell’avvento al potere dell’ayatollah Ruollah Khomeini – dedicato alla protesta anti israeliana, nel giorno di al Quds, Gerusalemme. Il presidente iraniano ha rivendicato le sue dichiarazioni di fuoco contro Israele: "Sono vere e giuste – ha detto – sono le parole della nazione iraniana" e "l’occidente è libero di commentarle, tanto le sue reazioni non sono valide". Martedì, il leader iraniano Ahmadinejad aveva parlato di fronte a un pubblico di quattromila studenti, in occasione di una conferenza intitolata "Il mondo senza sionismo", affermando: "Israele deve essere cancellato dalla mappa".
Alcuni responsabili governativi iraniani – tra cui l’ex presidente Rafsanjani, che ha detto: "Non abbiamo problemi con gli ebrei e abbiamo un grande rispetto del giudaismo come religione" – hanno cercato di smussare le parole del leader per evitare una crisi diplomatica già in corso. Mentre migliaia di persone scendevano in strada, in seguito alle critiche, forse inattese, dell’alleato russo, l’ambasciata iraniana a Mosca ha fatto sapere che il presidente non avrebbe voluto essere così duro. Ahmadinejad imperterrito non si è risparmiato una passeggiata in mezzo alla folla della manifestazione, tra bandiere con la stella di Davide in fiamme, cartelli con scritto: "Palestina, Palestina ti sosteniamo" e giovani travestiti da attentatori suicidi.
L’atteggiamento del "sindaco di Teheran" suona come l’ennesima sfida contro l’Europa e le altre nazioni occidentali, con cui il paese dovrebbe essere in pieno sforzo diplomatico in vista della riunione dell’Aiea, l’Agenzia atomica internazionale, il 24 novembre. La comunità internazionale chiede all’Iran di rinunciare al suo programma nucleare, prima di iniziare le trattative. Teheran accetta il negoziato, ma non vuole sentir parlare di condizioni preliminari. I manifestanti hanno scandito slogan anti israeliani e anti americani, hanno portato bandiere palestinesi, indossato kefieh con i bordi rossi, neri e bianchi, i colori della bandiera palestinese. Un iraniano ha mostrato un cartello con la scritta: "L’ultimo Khomeini ha detto che Israele dev’essere cancellato dalla mappa". Un altro ripeteva a tutti quelli che incontrava di essere pronto a morire per la Palestina. Molte donne coperte dal lungo chador nero, mostravano cartelli con la stella di Davide in fiamme. Lo stesso è accaduto in altre città iraniane, come Mashad, nella parte orientale del paese. Il ministro degli Esteri, Manouchehr Mottaki, ha dichiarato, sul canale della tv pubblica, che le proteste dimostrano "la rabbia del mondo islamico contro l’esistenza dello Stato ebraico" e che "il commento del presidente della Repubblica islamica è la dichiarata e specifica posizione del paese. Non riconosciamo il regime sionista e non lo consideriamo legittimo". Tutte le emittenti statali hanno mandato in onda programmi di condanna d’Israele, esaltando la "resistenza palestinese".

Nei sobborghi "gemelli" di Hezbollah
Allo stesso tempo, nei sobborghi sciiti a sud di Beirut, migliaia di persone hanno partecipato a un’altra manifestazione, organizzata da Hezbollah, gruppo sciita sostenuto dall’Iran. Uomini, donne e bambini sventolavano bandiere del Libano, quelle gialle e verdi del Partito di Dio e quelle palestinesi. Il servizio di sicurezza del gruppo regolava il traffico di auto e pedoni. A un agente è stato chiesto il luogo esatto della "manifestazione" e lui, sorridendo, ha chiesto: "La celebrazione?". L’evento è gemello di quello di Teheran: diverse divisioni delle milizie del gruppo hanno marciato davanti alla folla, in parata, scandendo inni marziali. Le donne e i bambini erano tutti da una parte, gli uomini dall’altra. Alcuni palazzi erano impacchettati con enormi stendardi del Partito di Dio, con la bandiera palestinese e con la sagoma disegnata della Palestina. Su un arco vicino al palco in cui sedevano i vertici del gruppo, svettava l’immagine della spianata delle moschee di Gerusalemme e la scritta, in arabo: "Stiamo arrivando".
Sempre in prima pagina un articolo indaga l'entità del "La minaccia militare" iraniana":
Roma. Inserito da George W. Bush nell’"Asse del male" – che indica i paesi colpevoli di produrre armi di distruzione di massa e di sostenere il terrorismo – l’Iran ha in questi anni potenziato le capacità militari soprattutto nei settori non convenzionali, dove ha maggiori possibilità di contrastare la superiorità anglo-americana: le armi di distruzione di massa e le formazioni di guerriglieri e terroristi. La strategia iraniana si basa sulla considerazione che, in caso di scontro con gli Stati Uniti, le forze convenzionali non avrebbero possibilità di vittoria. Per questa ragione sia sul piano offensivo sia difensivo Teheran ha puntato sullo sviluppo dei missili Shahab, derivati dai Nodong nordcoreani, ma migliorati con tecnologia russa e cinese, e sulla riorganizzazione delle forze paramilitari del Corpo dei Guardiani della Rivoluzione (i pasdaran) e del Corpo di resistenza dei Basij, emarginando le forze militari regolari, peraltro considerate non troppo affidabili dal regime.
La vittoria di Mahmoud Ahmadinejad ha rafforzato questa tendenza, concentrando gran parte dei cinque miliardi di dollari ufficialmente stanziati per la difesa sull’arsenale strategico e sulle milizie, che possono contare su un ricco bilancio parallelo alimentato dagli incassi determinati dal boom del prezzo del greggio. L’apparato produttivo della difesa iraniana rappresenta il 15 per cento dell’intera industria nazionale ed è in grado di produrre armi chimiche e biologiche, carri armati, artiglierie, elicotteri, munizioni, missili antiaerei, razzi pesanti, ma anche missili e velivoli spia senza pilota (un esemplare sarebbe stato abbattuto dagli inglesi mentre sorvolava il sud-est dell’Iraq).
Il 27 ottobre è stato lanciato dal poligono siberiano di Plesetsk il primo satellite da osservazione e comunicazioni iraniano, battezzato "Sina-1" e in grado di monitorare l’intero medio oriente, garantendo maggiore precisione ai missili Shahab. L’intelligence americana ha fornito all’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) informazioni sulla nuova testata missilistica messa a punto in Iran e idonea all’imbarco di una singola arma nucleare ormai operativa sui missili Shahab-3. Per proteggere i suoi siti strategici, l’Iran sta schierando moderne batterie missilistiche antiaeree e – secondo l’opposizione in esilio – sta costruendo dozzine di tunnel e installazioni sotterranee in cui avrebbe stoccato i propri arsenali chimici e biologici e le rampe di lancio per i Shahab. L’Iran cerca da tempo di acquisire da Mosca sistemi missilistici S-300/S-400 efficaci anche contro i missili da crociera, armi che verrebbero usate in caso di raid contro le installazioni nucleari iraniane.

La scuola per kamikaze
Secondo l’International institute for strategic studies (Iss) di Londra, la proliferazione iraniana potrebbe indurre Egitto, Turchia e Arabia Saudita a varare programmi di riarmo nucleare con scopi di deterrenza, se le Nazioni Unite e l’Unione europea non si dovessero dimostrare in grado di fermare con la diplomazia i programmi bellicosi di Teheran. Se le armi di distruzione di massa rappresentano al tempo stesso una minaccia offensiva e un deterrente contro attacchi al regime, anche le milizie paramilitari costituiscono per Teheran un’arma a doppio uso. Le operazioni all’estero sono affidate ai pasdaran, centinaia dei quali s’addestrano e combattono al fianco degli Hezbollah libanesi, dei guerriglieri di Moqtada al Sadr in Iraq e anche di Hamas e Jihad islamico palestinese, che a Gaza hanno ricevuto ingenti quantitativi di armi iraniane.
Da oltre un anno è attiva nel sud del paese una "scuola per kamikaze", gestita da pasdaran, nella quale si sarebbero addestrati molti dei terroristi fattisi esplodere in Iraq e in Israele. Mentre le guardie della rivoluzione esportano il jihad, il Corpo dei Basij, nato come milizia popolare per resistere all’invasione irachena, è stato riorganizzato su indicazioni dell’ayatollah Ali Khamenei come forza per la repressione interna. Composto – secondo la propaganda di regime – da 20 milioni di membri, il Corpo dei Basij dovrebbe contare, stando all’Iss di Londra, su 90 mila combattenti in servizio attivo e 300 mila miliziani richiamabili in breve tempo: in caso di mobilitazione, l’intera forza paramilitare potrebbe raggiungere il milione di effettivi. Il corpo è stato strutturato in duemila battaglioni schierati in tutte le città e nelle aree di confine. Si tratta di unità addestrate alla guerriglia, poco mobili, ma con il compito di difendere casa per casa i centri urbani in caso d’invasione esterna e di soffocare nel sangue ribellioni interne.
L'articolo "La nuova Monaco" presenta le "cronache di decenni d'indifferenza di (quasi) tutto il mondo alle reiterate minacce contro Israele".

ecco il testo.

Roma. Da ventisei anni, centinaia di migliaia di iraniani scendono in piazza l’ultimo venerdì del ramadan e urlano a squarciagola: "Marg bar Israel!", "morte a Israele!". Da ventisei anni le stesse urla risuonano nelle piazze di Beirut, Tiro e Sidone, in Libano, in cui domina Hezbollah. Sul palco, a Teheran, impettiti applaudono tutti gli ayatollah, quelli estremisti alla Khamenei, quelli realpolitiker alla Rafsanjani, quelli "riformisti", alla Khatami, l’intero Partito di Dio. Stranamente soltanto ieri, l’Europa si è accorta che questo è grave. Gli Stati Uniti se ne sono accorti subito, ma soltanto ieri il "Vecchio Continente" ha compreso che un potente Stato musulmano
vuole cancellare Israele dalla faccia della terra, esattamente come voleva fare
Gamal Abdel Nasser nel giugno 1967. Soltanto ieri l’Europa ha dato segno di
capire che quel "morte agli ebrei" vuol proprio dire che li si vuole uccidere.
Eppure quando Mahmoud Ahmadinejad ha detto che vuole eliminare Israele non ha fatto che ripetere lo slogan coniato nel lontano 1979 da Khomeini per questa "giornata di Gerusalemme". Pure, da anni, tutti i leader israeliani di destra, di centro e di sinistra si sgolano ad avvertire un’Europa distratta che Teheran vuole la bomba atomica, appunto, per distruggere Israele. Niente da fare. La "vecchi Europa" consegna il Nobel per la pace proprio a quel temporeggiatore dirigente dell’Onu, El Baradei, che dà tempo agli iraniani per costruire la bomba atomica. Quando Ariel Sharon, dopo l’11 settembre 2001, evocò la paura di una "nuova Monaco" che permettesse al nazismo islamico di trionfare, sapeva bene che essa non era nel futuro, ma che era iniziata da decenni. Questa "nuova Monaco" iniziata nel 1947-48, quando l’Inghilterra si
fece complice della decisione della Lega araba di distruggere un Israele non ancora nato. E’ proseguita poi per 43 anni, mentre la decisione di tutti gli Stati arabi di non riconoscere l’esistenza di Israele è stata legittimata dal
padronato di quella stessa Urss il cui voto, peraltro, era stato determinante il 29 novembre 1947 perché l’Assemblea dell’Onu decidesse la fondazione di uno Stato di Israele e di uno Stato di Palestina. Ventitré Stati non lo riconoscono
Sino al 1991, dunque, la volontà araba e iraniana di non riconoscere – spesso di distruggere – Israele ha fatto parte di un gioco complesso tra superpotenze. L’Urss la eccitava, la tollerava, la legittimava, ma poi la bloccava. La possibilità di cancellare lo Stato degli ebrei era calata nella follia di un
equilibrio internazionale che si basava sulla capacità di Urss e Stati Uniti di distruggersi a vicenda ancora per altre migliaia di volte, dopo la prima. Ma dal 1991 in poi quel gioco perverso è finito, tanto che quattro Stati arabi, e la stessa Olp, riconoscono infine Israele. Ma questo significa che, da 14 anni, gli altri 18 Stati arabi e i cinque Stati musulmani che ancora rifiutano il diritto di Israele a esistere sono qualcosa di più che i complici di chi lo vuole distruggere, come l’Iran (e Hamas, che lo proclama a chiare lettere).
Pure, dal 1991 in poi, anche se non c’è più l’Urss di mezzo, la "vecchia Europa" fa finta di non sapere che il permanere del "rifiuto arabo e islamico di Israele" è una nuova Monaco. Nessuno Stato europeo, l’Ue per prima, impone ad alcuno di questi paesi la condizione di riconoscere Israele per mantenere normali relazioni diplomatiche. Per questo Ahmadinejad dileggia chi lo critica. Sa che l’Europa non fa sul serio, che fa questioni di lana caprina e si indigna se la minaccia viene da lui, ma tace se le stesse parole le pronuncia l’ayatollah Khamenei. Israele, per iniziativa di Shimon Peres, chiede ora al Consiglio di sicurezza di espellere l’Iran dall’Onu. Non ci riuscirà. Ma l’Europa, l’Italia hanno oggi una buona occasione per avanzare una proposta forte in sede Ue, perché venga poi presentata all’Onu: che tutti gli Stati riconoscano Israele, compresa quell’Algeria che oggi è nel Consiglio di sicurezza e che nega il diritto di esistere dello Stato ebraico.
L'articolo "Reazioni e silenzi" fa il punto sulle reazioni delle diplomazie internazionali, aincominciare da quella israeliana.

Ecco il testo:

Roma. Nel fragore delle reazioni stupite e nel silenzio di chi è e rimane indifferente, si è alzata la voce di Israele, che ha formalizzato la sua indignazione contro il "sindaco di Teheran", Mahmoud Ahmadinejad, in una lettera alle Nazioni Unite: "Nessuno Stato membro che inviti alla violenza e alla distruzione di un popolo come ha fatto il presidente iraniano merita un posto nelle Nazioni Unite. La malvagia dichiarazione di Ahmadinejad richiede una
forte e risoluta risposta dalla comunità internazionale", ha scritto l’ambasciatore di Israele all’Onu, Dan Gillerman, in una missiva consegnata al segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, "costernato" da Teheran. Il premier israeliano, Ariel Sharon, che ha già chiesto l’espulsione dell’Iran
dalle Nazioni Unite, ha fatto domanda ieri per la convocazione di una sessione
d’emergenza del Consiglio di sicurezza. La comunità internazionale ha raccolto l’appello, e si moltiplicano le reazioni di condanna alle frasi di Ahmadinejad – "Israele deve essere cancellato dalla mappa del mondo" – che ieri ha ribadito imperterrito il concetto. Fatta eccezione per il mondo arabo che, tranne per alcune isolate voci – della Turchia e dell’Anp – non ha avuto "nulla da dire", come hanno dichiarato i ministeri degli Esteri del Cairo e della Giordania e come dimostra la stragrande maggioranza dei mass media mediorientali, che hanno riportato le frasi di Ahmadinejad senza alcun commento. In Europa invece la preoccupazione è tanta. Il premier inglese, Tony Blair, ha confermato di aver cambiato linea nei confronti del regime dei mullah. In un durissimo discorso
ai margini del summit europeo di Hampton Court, Blair ha detto di trovare "rivoltanti" le parole di Ahmadinejad, ha aggiunto che "è inaccettabile l’atteggiamento verso Israele, verso il terrorismo, verso le armi nucleari" e, tra le righe, non ha escluso un intervento militare: "Se Teheran continua così, la domanda che presto mi porranno sarà: ‘Quando ti deciderai a fare qualcosa verso l’Iran?’". La musica è cambiata: Londra dice a Teheran basta. Basta con le prese in giro alla troika europea, basta con i giochetti, basta con quell’arroganza di chi è convinto che nessuna minaccia sarà poi realizzata. Il Vaticano ha condannato con fermezza "le frasi che negano il diritto di esistere
di Israele"; Jacques Chirac, presidente francese, ha detto di essere "scioccato"
dalle "dichiarazioni irresponsabili" di Teheran e il Quai d’Orsay ha organizzato
una "consultazione" con Inghilterra e Germania per decidere una nuova politica sui negoziati del nucleare. Persino la Russia alleata dell’Iran, con cui condivide strategi e investimenti, rigida nel contrastare una tornata di sanzioni da parte del Consiglio di sicurezza, ha condannato, per bocca del ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, in visita a Gerusalemme, le "parole inaccettabili", proprio mentre l’ambasciata iraniana a Mosca cercava goffamente di ridimensionare la portata delle dichiarazioni, dicendo che Ahmadinejad non intendeva "parlare in modo così tagliente". Peccato che poi il presidente le abbia ribadite. Altre cancellerie hanno reagito con durezza. La Casa Bianca, l’unica a potersi permettere di dire che tali parole non stupiscono, ma anzi "sottolineano le preoccupazioni" degli Stati Uniti, ieri è stata ancor più chiara. Il presidente George W. Bush ha detto, in un discorso sulla lotta al terrorismo: "Siamo determinati a negare ai movimenti radicali il sostegno offerto loro dai regimi fuorilegge", citando subito dopo Iran e Siria. Ci sono poi le voci del mondo arabo, poche a dir la verità. La Turchia ha detto di "non poter in alcun modo accettare dichiarazioni di questo tipo", ha chiesto di usare
"metodi pacifici" per risolvere le controversie: in passato il premier turco, Tayyip Erdogan, ha suggerito al leader iraniano di usare moderazione nei onfronti della comunità internazionale. E’ rimasto evidentemente inascoltato. Mohammed Wahby, diplomatico egiziano e membro della Commissione per gli Affari esteri del governo del Cairo, ha definito "un errore" il silenzio del mondo arabo, soprattutto perché lo stesso Ahmadinejad ha detto di voler colpire non soltanto Israele, ma anche gli Stati che lo riconoscono. Ma il capo dei negoziatori dell’Anp, Saeb Erekat, non ci sta: "Abbiamo riconosciuto Israele e stiamo cercando di portare avanti un processo di pace. Non accettiamo le dichiarazioni del presidente iraniano".
"Già 125 fiaccole" riporta le prime firme raccolte in difesa del diritto all'esiestenza di Israele.

Ecco il testo.

Il presidente della Repubblica islamica dell’Iran Mahmoud Ahmadinejad, ha dichiarato che Israele "deve essere cancellato dalla carta geografica". Protestiamo con fermezza in difesa del diritto di Israele ad esistere, e rimuoviamo una fiaccolata davanti all’ambasciata iranian di Roma, giovedì 3 novembre, alle ore 21. Anti Defamation League Italia, Giano Accame (giornalista), Elena Aga-Rossi (storica), Magdi Allam (giornalista), Enrico Alleva (biologo), Luigi Amicone (direttore Tempi), Achille Ardigò (sociologo), Federigo Argentieri (storico), Mario Baccini (ministro Funzione Pubblica), Emma Bonino (europarlamentare), Gianni Baget Bozzo (politologo), Michele Battini (storico), Pierluigi Battista (giornalista), Piero Benedetti (biologo), Rita Bernardini (tesoriera Radicali), Paola Binetti (presidente Scienza e Vita), Massimo Boffa (giornalista), Riccardo Bonacina (giornalista), Max Boot (Council on Foreign Relations), Enrico Boselli (presidente Sdi), Renato Brunetta (europarlamentare FI), Massimo Cacciari (filosofo), Pietro Calabrese (direttore Panorama), Giuseppe Caldarola (deputato Ds), Luciano Canfora (storico), Daniele Capezzone (segr. Radicali), Marco Cappato, (segr. Assoc. Luca Coscioni), Lorenzo
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Zincone (giornalista), Nicola Zingaretti (capogruppo Ds Parlamento europeo)
IL FOGLIO riporta anche, riprendendolo dal sito Memri sempre in prima pagina sotto il titolo "Il discorso dell'odio", il discorso di Ahmadinejad.

Un testo impressionante che è bene conoscere:


Se qualcuno è oppresso da una potenza egemonica (l’occidente, ndr) e capisce
che qualcosa non va, o è un ingenuo oppure è un egoista e il suo edonismo lo conduce a riconoscere il regime sionista, ma dovrebbe sapere che brucerà nel fuoco della nazione islamica (…). Dobbiamo comprendere qual è la vera storia della Palestina. L’establishment del regime che occupa Gerusalemme (Israele, ndr) è il frutto di una gravissima decisione di un sistema egemonico e arrogante verso il mondo islamico; e questa guerra dura da centinaia di anni. La situazione al fronte è cambiata molte volte. In certi periodi, i musulmani hanno marciato vittoriosi, guardando al futuro, e il mondo dell’arroganza (l’occidente, ndr) ha battuto la ritirata. Sfortunatamente, negli ultimi trecento anni, il mondo islamico ha dovuto ritirarsi di fronte all’avanzata del mondo dell’arroganza. Nel corso degli ultimi cent’anni, poi, le mura del mondo islamico sono state abbattute e il mondo dell’arroganza ha costruito un bastione per mezzo del quale espandere il proprio dominio in tutto il mondo dell’islam. Ciò significa che l’attuale guerra in Palestina rappresenta la linea del fronte contro il mondo dell’arroganza. Quando il grande imam Khomeini disse che bisognava abbattere il regime dello scià, e che noi dovevamo esigere un mondo senza governi schiavi, molti dicevano: ‘Si riuscirà mai a rovesciare davvero il regime dello scià?’. La nostra nazione non si è lasciata intimorire, e ora, da ormai ventisette anni, viviamo senza un governo sottoposto all’America. L’imam Khomeini disse: ‘Il dominio dell’est e dell’ovest deve cessare’. Nessuno credeva che un giorno avremmo assistito al crollo dell’imperialismo dell’Unione sovietica. E invece l’abbiamo vist crollare, senza quasi lasciare traccia di sé. L’imam Khomeini disse che Saddam Hussein
doveva essere spodestato, e che avrebbe subito un’umiliazione senza precedenti.
Che cosa è accaduto? Un uomo che dieci anni fa parlava come se fosse destinato a vivere in eterno oggi si trova in catene e sta per essere processato dal suo stesso paese. L’imam Khomeini disse: ‘Il regime che sta occupando Gerusalemme deve essere cancellato dalle pagine della storia’ (questa frase è stata tradotta in inglese sulla stampa mondiale con ‘cancellato dalla carta geografica’, ndr). Sono parole sagge. Sulla questione della Palestina non ci possono essere compromessi.
"La forza di colpire come una grande ondata"
E’ possibile che un paese islamico permetta a un paese non islamico di crescere
nel suo seno? Questo significa sconfitta, e chi accetta l’esistenza di questo regime (Israele, ndr) firma la sconfitta del mondo islamico. Non ho il minimo dubbio sul fatto che la nuova ondata che si è formata in Palestina e che oggi vediamo formarsi anche in altri paesi islamici, sia un’ondata di moralità destinata a diffondersi in tutto il mondo islamico. Molto presto, questa disgraziata macchia (Israele, ndr) sparirà dal centro del mondo islamico. Ma dobbiamo stare attenti alla ‘fitna’ (la guerra interna ai fedeli del Corano, ndr). Per oltre cinquant’anni, il mondo dell’arroganza ha cercato di riconoscere
l’esistenza di questo falso regime (Israele, ndr). Ha fatto di tutto per renderlo solido. Purtroppo, 27 o 28 anni fa, uno dei paesi che si trovava sulla prima linea del fronte (l’Egitto, ndr) ha compiuto un terribile errore (il riconoscimento di Israele, ndr), e noi speriamo che vorrà porvi rimedio. Malgrado la forzata evacuazione di Gaza imposta dal popolo palestinese, essi hanno evacuato soltanto un piccolo angolo di terra. Oggi (Israele, ndr) cerca, in modo diabolico e truffaldino, di ottenere il controllo del fronte di guerra. Sta cercando di indurre i gruppi palestinesi a occuparsi delle loro questioni politiche e dei posti di lavoro per far sì che abbandonino la causa palestinese
e per creare conflitti interni. Io spero che il popolo palestinese non si lasci trascinare in una ‘fitna’. I profughi devono tornare nelle proprie case, e ci deve essere un governo deciso dalla volontà del popolo palestinese. E, naturalmente, coloro che sono entrati in questa terra per depredarla (gli ebrei, ndr) non hanno il minimo diritto di decidere nulla in nome del popolo palestinese. Coloro che siedono in stanze chiuse non hanno il diritto di prendere decisioni. Il popolo islamico non può permettere a questo suo nemico storico di vivere nel cuore stesso del mondo islamico. Oh, amato popolo, osserva questa arena globale. Chi dobbiamo affrontare? Dobbiamo comprendere la profondità della disgrazia che ci è stata imposta dal nemico, fino a quando il nostro odio sacro avrà la forza di colpire come una grande ondata".
A pagina 3 IL FOGLIO pubblica l'articolo "Scene d adiritti umani negati, un viaggio per le vie di Teheran"
Roma. Il rapporto sulla soppressione dei diritti umani in Iran è appena arrivato su tavolo delle Nazioni Unite. Lo ha scritto un’organizzazione non governativa e indipendente, la Fidh – Fédération Internationale des ligues des droits de l’homme – che sta chiedendo d’urgenza una risoluzione contro il regime dei mullah di Teheran. Dal precedente rapporto – compilato soltanto otto mesi fa, in marzo – la situazione, già gravemente compromessa, è degenerata.
In mezzo, e non è un caso, c’è stato l’arrivo al potere del presidente fondamentalista Mahmoud Ahmadinejad, e del suo governo di ex rivoluzionari islamici di pessima fama e di zeloti risoluti all’applicazione più brutale della legge coranica. Il rapporto sull’Iran si concentra su tre aree: il diritto negato a esprimere il proprio pensiero, l’applicazione arbitraria
della pena di morte e la condizione in cui gettano le minoranze del paese.
In Iran la libertà d’opinione è stat strozzata. Tre giornalisti, Akbar Ganji, Hossein Ghazian e Massoud Bastan, che hanno scritto articoli sgraditi al potere, sono per questo in carcere da anni. Nell’inverno del 2004, temendo che una nuova ondata di dissidenti potesse formarsi sfruttando le libertà concesse da Internet, le autorità hanno arrestato anche venti blogger, proprietari di siti riformisti non in linea con il governo. Le manifestazioni di protesta sono
regolarmente soffocate con la violenza dalla polizia e i partecipanti puniti con le consuete pene corporali, come le frustate somministrate in pubblico. Alcuni dissidenti, con il pretesto che "hanno creato disordine", o che magari "sono stati trovati in possesso di alcool", sono messi alla gogna. Non è raro vedere un giovane legato e bendato, seduto all’indietro in groppa a un asino, portato a spasso ed esibito per le vie cittadine con cartelli appesi al collo che spiegano i suoi crimini, oppure caricato su una macchina e legato con le braccia a una trave di legno, come se fosse in croce. In questi casi, di solito, il giovane è drogato con un iniezione di morfina, in modo che ciondoli, silenzioso e inerme come un manichino, per tutta la durata del tragitto punitivo. Tra i numerosi arresti compiuti per reprimere la libertà d’espressione ci sono quelli di avvocati, di improvvisati attivisti dei diritti civili e di studenti. Alcuni devono scontare una condanna a quindici
anni. Nel luglio del 2003 una fotografa con doppia nazionalità canadese e iraniana, Zahra Kazemi, è morta in carcere per le torture e i maltrattamenti subiti. Il suo avvocato, che aveva a lungo sostenuto la scorrettezza del processo e della detenzione, è anche lui finito dentro. Il carcere non è la sorte peggiore che possa capitare in Iran. Secondo la legge penale islamica, articolo 83 paragrafo secondo, le donne sposate che siano sorprese a commettere adulterio con un altro uomo devono essere uccise mediante lapidazione. Allo stesso modo, la pena di morte attende anche chi commetta atti omosessuali, omosessuali, solitamente fatti incriminati come "violenza sessuale", i rapporti tra un non musulmano e una donna musulmana, l’eresia (ovvero l’abbandono della fede islamica) e l’omicidio di un musulmano. Alla sentenza è dato di solito grande risalto. Da qualche anno, le esecuzioni, in un’applicazione raggelante della formula "medioevo più motore a scoppio", sono eseguite con una gru. In una piazza gremita di gente, il condannato è appeso al cavo di una normale gru edile, e il boia a comando solleva il braccio meccanizzato Tra le minoranze etniche e religiose vessate dal regime, gli ebrei sono costretti a subire le sofferenze maggiori. Il 13 aprile 2005, il deputato ebreo iraniano Maurice
Motamed ha denunciato – nel disinteresse della stampa mondiale – le profonde
radici antisemite che motivano la volontà dell’Iran degli ayatollah di distruggere Israele: "La comunità ebraica in Iran subisce ogni giorno ostilità, insulti ai suoi valori religiosi e manovre antisemite, compresa la pubblicazione di libri e articol non documentati che negano l’Olocausto e
la programmazione di serial televisivi antiebraici, come quello – dallo scontato titolo "Il Complotto" – in cui si vede la scena di un bambino ebreo che celebra il "sacrificio del sangue", la peggiore accusa antisemita, bevendo compiaciuto il sangue di un bambino musulmano sgozzato. Le nostre proteste non hanno dato finora alcun frutto". In teoria la Costituzione iraniana garantisce
diritti uguali a musulmani, cristiani, ebrei e zoroastriani (le altre fedi sono rigidamente proibite) ma nei fatti li discrimina. Essi non possono votare per i deputati del Parlamento, ma soltanto per loro deputati "a latere": uno per gli zoroastriani, gli ebrei, gli assiri e i cristiani caldei e due per i cristiani armeni. E’una norma che impedisce loro di incidere sulla formazione delle leggi e dei governi e crea un Parlamento-ghetto, accanto al Parlamento della pòlis musulmana. Ma la vera dhimma, la subordinazione coranica dei non musulmani, è imposta per via legislativa. Oltre alla censura cui sono sottoposti i libri di religione, che devono avere il "nulla osta" del ministero della Cultura, sono sbarrate ai non musulmani tutte le professioni che riguardano, anche in senso lato, l’assetto politico della pòlis musulmana (insegnante universitario, magistrato, dirigente dell’amministrazione pubblica, ufficiale di carriera). I nuovi dhimmi che aspirano a quei ruoli, infatti, sono tenuti a sostenere un esame di teologia islamica talmente rigoroso che nessuno lo supera. Poi, discriminazioni amministrative nell’assegnazione delle case popolari, per gli avanzamenti di carriera e altro, con l’aggiunta di discriminazioni nel diritto penale e civile. La testimonianza in tribunale di un non musulmano vale la metà di quella di un fedele islamico. Oppure, se un ebreo si converte all’islam, egli incamera l’intera eredità paterna, mentre i fratelli rimasti ebrei non hanno più nulla.
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