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Il Foglio Rassegna Stampa
26.10.2005 Nascita di una democrazia: l'Iraq ha una costituzione
un editoriale

Testata: Il Foglio
Data: 26 ottobre 2005
Pagina: 3
Autore: un giornalista
Titolo: «La sovranità dei veri resistenti»
IL FOGLIO di mercoledì 26 ottobre 2005 pubblica un editoriale che riportiamo:
Dal 9 aprile 2003 in Iraq c’è una guerriglia guerreggiata tra chi vuole tagliare le teste e chi invece vuole contarle. Tra chi sequestra le persone e chi le invita a votare. Tra chi spara agli operai in fila per un posto e chi intende trovare un posto agli operai in fila. Tra chi pretende una laica dittatura dell’Imamato o del Baath e chi spera di coltivare la fede islamica in uno Stato laico. Tra chi esige di nascondere le donne sotto veli di feroce ipocrisia misogina e chi vuole pari diritti per Marte e Venere. Tra chi ama la morte più della vita e chi difende la vita rischiando la morte. Le differenze sono tutte qui, le ragioni per scegliere da che parte stare pure.
Ma tanta Europa guarda ancora altrove, liquidando l’Iraq, cioè il principale fronte della guerra al terrorismo, il campo di battaglia dello scontro aperto dall’inciviltà, così: "Ah, sì, è quella cosa su cui non siamo stati d’accordo con gli anglo-americani; meglio, così ora se la sbrigano loro". Come se la madrilena Atocha, la metropolitana londinese, il regista Theo van Gogh, i bambini israeliani, le Torri di New York, gli alberghi di Sharm o di Bali, la scuola di Beslan fossero sempre tragedie dell’altro mondo. Per fortuna, gli iracheni, come prima di loro gli afghani e dopo di loro i palestinesi, iniziano a sbrigarsela davvero da soli, con l’aiuto di chi ha scelto da che parte stare e che cosa fare. Perché da quel 9 aprile 2003, liberazione di Baghdad, nell’antica Babilonia si gioca l’eterna partita tra la testardaggine della libertà e la cocciutaggine del fondamentalismo o del disinteresse fazioso e comodo di chi ama Harold Pinter, fresco Nobel, che vuole processare Bush o Blair, invece di Saddam. Da quel giorno l’Iraq tutto decide le sorti dell’Iraq tutto: ha eletto un’Assemblea costituente; ha dato fiducia a un governo e voce a un’opposizione; ha creato partiti, centinaia di giornali, un esercito non baathista (nel senso che non ci sono più palle di cemento usate come oggetti di tortura da calciare); ha scelto guide religiose, come l’ayatollah Sistani, che dicono: "Via i turbanti dal governo" e leader politici che rispondono: "Ben vengano, per il bene del paese, i consigli e le mediazioni dei turbanti"; ha iniziato a processare il proprio trentennale carceriere e sta rimettendo in sesto strade, ponti, scuole. Infine ha scritto una Costituzione democratica, federalista, laica, anche se rispettosa delle radici musulmane del proprio diritto, l’ha messa ai voti da Mosul a Bassora, da Ninive a Erbil, e l’ha approvata: il popolo iracheno l’ha approvata. In un voto vero, tanto più vero quanto rischioso, perché recarsi al seggio in città vuote di coprifuoco vuol dire recarsi al seggio due volte: una per votare per qualcuno o qualcosa, l’altra per rispedire al sanguinario mittente la minaccia del terrore. Tutto ciò, infatti, è accaduto sotto la costante nuvola delle bombe e dei suicidi assassini, il che non sminuisce, ma accresce l’importanza di un processo politico libero e in atto capace di essere la cura contro il virus del terrorismo jihadista.
I però stanno a zero
Se anche la notizia di ieri non fosse stata così buona – l’Iraq ha approvato al 78 per cento la nuova Costituzione, dunque la Carta vale eccome – la nuova Babilonia non sarebbe tornata indietro. Comunque si sarebbe votato il 15 dicembre per il Parlamento, che invece di avere, coma ha ora, la possibilità di emendare la legge fondamentale, ne avrebbe scritta un’altra per poi sottoporre anche quella al voto. Comunque i sunniti, come dimostrano pure i risultati di ieri, stanno rientrando nella logica democratica e parlamentare dell’Iraq libero. Comunque – è vero – Zarqawi (o chi per lui) avrebbe continuato e continuerà a uccidere. E’ concepibile mollare adesso? E’ questa la soluzione? Si può immaginare di dare le chiavi della nuova casa al nemico? Ma che logica è? Perché l’Onu a Baghdad ha lasciato soltanto il ricordo splendido ma drammatico di Sergio Vieira de Mello? Perché le diplomazie franco-tedesche e affini non cambiano passo: dall’accidia del "comunque avevamo ragione noi" alla collaborazione del "che si può fare per aiutare gli iracheni?"? Perché anche la sinistra e la stampa pseudoresistente italiane non iniziano a porsi questi interrogativi? Perché sono scarse le critiche ai paesi arabi che per paura che la voglia di voto vero si diffonda nella regione (come peraltro già sta accadendo in Egitto, Libano, Palestina) si dimenticano della fratellanza araba nei confronti della Mesopotamia liberata?
Ora diranno che però l’Iraq è il nuovo Vietnam, che però il rebus sunnita non è ancora del tutto risolto, che però il terrore continuerà a fare stragi, che però gli anglo-americani sono invasori (invasori che scortano ai seggi gli anziani che devono votare?), che però il processo a Saddam non è molto in stile anglo-sassone, che però insomma Baghdad non è Ginevra. I però stanno a zero. Il nuovo Iraq ha una nuova Costituzione e sarà d’esempio. Il terrorismo sta perdendo perché gli iracheni hanno dimostrato di amare la democrazia più di quanto temano la morte. Sono loro i veri resistenti, sovrani secondo diritto.
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