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La Stampa Rassegna Stampa
22.10.2005 Resa dei conti in arrivo per Assad di Siria
l'analisi di Fiamma Nirenstein

Testata: La Stampa
Data: 22 ottobre 2005
Pagina: 11
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Il giovane raiss ostaggio della vecchia guardia»
Sulla STAMPA di oggi 22 ottobre 2005, l'analisi di Fiamma Nirenstein con un ritratto di Assad di Siria.
IL padre non gli avrebbe mai perdonato di lasciare che la nomenclatura siriana, compresa la famiglia, diventasse la maggiore indiziata di un orribile delitto. Di più: sotto di lui non sarebbe mai successo che la Siria risultasse uno Stato le cui gerarchie sono adesso accusate di assassinio addirittura dall’Onu. Hafez al Assad era troppo scaltro. Non che il dittatore della Siria scomparso nel 2000 fosse un personaggio stimato: le sue stragi, come quella del 1982 a Hama in cui sterminò 30mila oppositori, o i suoi assassini mirati all’estero erano famigerati e proverbiali; ma la sua capacità, fin dal 1963 quando la famiglia era diventata preminente nella presa del potere da parte baathista, era sempre stata proprio quella di far scivolare il regime repressivo e guerrafondaio nelle more della confusione mediorientale, senza risultarne protagonista. Raiss spietato, manteneva tuttavia quell’aria da colletto bianco che gli guadagnava un accesso cerimoniale nel consesso internazionale, anche se tutti sapevano chi era.
Invece il figlio Bashar, l’ex laureato in oftalmologia salito ai fasti del potere assoluto della dinastia Alawita-Baathista di Hafez, si trova adesso sotto un impietoso riflettore che mette in questione un regime che risulta oggi il più problematico del mondo arabo. Aggressivo e fragile nello stesso tempo, proprio come Bashar. Con il documento dell’Onu, è un po’ come se un ragazzo timido e problematico seduto in fondo alla classe improvvisamente venisse scoperto con una bomba a mano: anche se tutti sapevano che da lui ci si poteva aspettare di tutto, pure d’un tratto il ragazzo non è più disfunzionale, è pericoloso.
Anche se nega la colpa, Assad ha due possibilità: o mente, o si è fatto incastrare malamente. Bashar Assad probabilmente non voleva e non si aspettava di diventare il raiss, come è accaduto nel giugno del 2000. Ma dopo la morte del fratello Basil nel 1994 fu chiamato a guidare la Siria: Bashar entrò nell’accademia militare di Homs e fu fatto colonnello nel 1999, mentre il padre, malatissimo, gli ripuliva il regime dagli infedeli. Alla sua morte, Bashar allora 35enne, suscitò molte speranze: la sua educazione britannica e quell’aria da ragazzo,colui che aveva introdotto Internet in Siria, avrebbe certo modernizzato il Paese e gli avrebbe dato un po’ di benessere e di libertà.
Si sperò anche che Bashar riprendesse il processo di pace con Israele interrottosi nel marzo del 2000. Il suo discorso di investitura fu una ventata di speranza. Ma un anno dopo, Bashar aveva già assunto un tono infarcito di anacronistiche espressioni nazionaliste, aveva messo da parte le petizioni che per due volte con estremo coraggio in un paese senza libertà di opinione centinaia di intellettuali avevano firmato; i suoi prigionieri «di coscienza», come Ibrahim Haji Kassem, Rawand Ibrahim Shweish, Anas Fawzi Abadi e tanti altri venivano imprigionati e torturati. La vecchia guardia gli si stringeva sempre intorno. Un rapporto dell’UNDP, United Nations Development Programs, ci dice che il 30 per cento dei 18 milioni e 300mila siriani sono poveri, e più di 2milioni non hanno di che mangiare.
La rimozione di Saddam Hussein lo ha privato dell’unico alleato baathista e anche di una significativa parte degli introiti basati sull’accordo «oil for food». Adesso il giovane Assad è impegnato su due fronti. All’interno, è in questione la sua debolezza, che sembrerebbe aver coalizzato suo fratello Maher con lo zio Rifaat (da tempo all’estero)che non ha mai abbandonato la speranza di diventare Presidente. All’esterno, con quest’ultimo episodio Bashar rischia il ruolo defintivo di paria delle nazioni e le sanzioni del consiglio di sicurezza: gli Usa le vogliono da tempo. Ha seguitato a consentire il passaggio dei terroristi verso l’Iraq, arma gli hezbollah, ospita Hamas e la jihad Islamica, arma i palestinesi nei suoi campi profughi, persino Abu Mazen lo denuncia.
Il confine aperto e le armi contro Israele sarebbero per Bashar un modo di far sfogare una pentola a pressione in cui ribolle l’estremismo islamico. L’ipotesi che il rapporto di Detlev Mehlis si dimostri sbagliato o mal documentato, come dice il governo siriano, sembra del tutto irrealistico: gli interrogatori degli imputati, la raccolta delle prove sul campo da parte dell’investigatore tedesco dell’Onu cotituiscono un lavoro ciclopico e minuzioso, tanto che Bashar Assad stesso durante l’intervista alla CNN della settimana scorsa, dichiarò che in caso qualcuno dei suoi fosse risultato colpevole, esso sarebbe stato processato in patria come traditore.
Adesso, anche se alcuni nomi sono spariti dal documento all’ultimo minuto, tutti sanno che torneranno in ballo di fronte alla Commissione di Sicurezza e che si tratta di personaggi della famiglia e della nomenklatura di Assad: fra questi Maher Assad il fratello minore di Bashar, sostenitore della linea dura e Assef Shawqat cognato di Assad e capo dell’intelligence militare. Gli altri tre, dice chi ha letto il rapporto per intero, sono l’altro uomo della linea dura, il generale Rustum Ghazali, che più volte aveva criticato invece la linea più affabile di Ghazi Canaan, "suicidato" la settimana scorse, un fedelissimo di Bashar; il generale Hassan Halil l’uomo che connetteva i servizi segreti siriani e Moshein Hamud, un uomo di intelligence che si è occupato del Libano a lungo. Se è vero quello che si dice, sarebbe lui l’uomo che guidò l’autobomba Mitsubishi che uccise Hariri dalla Siria al Libano.
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