martedi` 26 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Il Foglio Rassegna Stampa
21.10.2005 Quanta ipocrisia sul processo a Saddam Hussein
una riflessione di Toni Capuozzo

Testata: Il Foglio
Data: 21 ottobre 2005
Pagina: 2
Autore: Toni Capuozzo
Titolo: «De gustibus»
Mentre è notizia del giorno che l'avvocato di uno dei coimputati di Saddam Hussein, rapito dai terroristi, è sttao assassinato, IL FOGLIO di venerdì 21 ottobre 2005 pubblica una riflessione diToni Capuozzo sul processo all'ex raìs e sul garantismo "preferenziale" che ha suscitato in Italia

Ecco il testo:

Diciamoci la verità: Saddam è
piuttosto bello, adesso. Con
quel gessato di taglio decente
che sostituisce i
giubbotti delle sue improbabili
divise, i panciotti
da cacciatore, gli abiti
bianchi da riccone caucasico finito
nel calderone della Mesopotamia. Con la
camicia bianca aperta sul collo, informale e
meno distante delle modeste cravatte del
suo personale guardaroba, come se ci avesse
guadagnato, nel divieto di lacci e cinture.
La barba curata non ha l’aspetto ispido del
catturato, ma piuttosto l’ascesi del prigioniero,
e cancella, ammorbidisce, la solitudine
dei baffi, che erano il distintivo degli scagnozzi
del Baath. Si avverte qualcosa di speciale,
in questo suo abbigliamento, circondato
dal manipolo indistinto dei vecchi complici,
tutti in abiti tradizionali. Ha la ieraticità,
Saddam, di tutti i processati e i condannati
che incarnano la rivincita, da Maroncelli
a Sacco e Vanzetti. Forse per questo
piace, perché incarna la strategia del processo
politico, dove non contano le accuse,
ma la voglia di condannare, e dove non conta
la difesa in punta di fatto, ma il rifiuto di
sottoporsi al giudizio. Piace, Saddam, per
un’inversione degli umori, perfino ai giustizialisti
d’occidente, a quelli che smaniano
per i processi, agli amanti dei verbali e delle
intercettazioni, a coloro che affidano ai
tribunali il compito di migliorare il mondo,
cominciando con lo sconfiggere i propri avversari.
Piace – e spiacciono i suoi giudici –
a coloro che vedono le vite degli uomini, e i
misteri delle loro esistenze passare come
cammelli nella cruna della giustizia, come
un verdetto totale e definitivo, ultimo come
un’ordalia, e non come modesto tentativo di
appurare infrazioni e crimini, di rabberciare
appena un po’ le ingiustizie e i contenziosi.
Non casualmente le stesse pagine di quotidiano
riferivano asciutte di un altro procedimento,
e della richiesta di estradizione di
tre militari americani, che portano una
qualche responsabilità nell’uccisione, a un
balcone dell’hotel Palestine, del povero cameraman
spagnolo Couso, presumibilmente,
secondo l’accusa, colpito perché svolgeva
un lavoro irritante per gli americani che entravano
a Baghdad, o solo perché non era
embedded e dunque sospetto, e non invece
ucciso dalla stupidità, dall’ingoranza, dalla
paura e dalla fretta che spiegano sempre le
vittime da fuoco amico. Piace, il Saddam
captivus, a chi ama le frasi fatte, quali la
"giustizia dei vincitori", come se esistesse da
qualche parte una giustizia dei vinti che non
sia la memoria, nel migliore dei casi, la vendetta
nel peggiore. Piace a chi trova che la
riduzione a pochi capi d’imputazione, necessaria
a rendere il processo praticabile,
non sia il tentativo di artigliare prove e circostanze
di fatto, ma la volontà di evitare i
grandi temi della complicità occidentale,
nell’ascesa del Saddam che doveva piegare
gli ayatollah iraniani, e della disinvoltura
con cui lo si armò, o si consentì che si armasse.
Piace a chi crede che in fondo, se la
guerra a Saddam era fondata su giustificazioni
false, è misero il tentativo di sostituire
le armi di distruzioni di massa con il record
criminale del dittatore, che distruggeva in
massa i suoi stessi concittadini. Piace a coloro
che amerebbero, invece, vedere alla sbarra
il vero colpevole, George W. Bush, perché
è lui la rovina del mondo, il nome vituperato,
lo slogan da manifestazione, il male incarnato,
e avvolto nella bandiera a stelle e
strisce: avete mai visto un cartello pacifista o
no global contro Saddam? Piace, il despota a
tutti quelli che, coerentemente, se lo son fatti
piacere quando era al potere. Fosse solo in
nome dell’antiamericanismo, o degli affari, o
dell’embargo da sfidare, o di qualunque altra
cosa abbia potuto unire Haider e Battiato,
Un ponte per… e il leghismo, Rifondazione
e Formigoni, Milosevic e i fraticelli di Assisi:
diciamo tenere una porta aperta alla
speranza, non interrompere il filo che legava
al mondo il popolo iracheno? Diciamo così,
ma diciamo anche che per fare questo si
sono chiusi gli occhi su molte cose, non ultime
quelle che dodici capi d’imputazione
riassumono malamente, e ce le ricordano. E
diciamo anche che in quella porta aperta
passavamo anche noi giornalisti, così severi
e a schiena diritta oggi nel giudicare l’Iraq,
almeno quanto fummo duttili, e relativisti
quando Saddam era al potere (e se facessimo
un Blob con i servizi della televisione italiana,
e anche quelli dei giornali, in occasione
delle due ultime scadenze elettorali, e accanto
i servizi sull’ultimo referendum di Saddam,
vinto con il 99 per cento dei voti?). Assomiglia,
adesso Saddam, a un burbero non
cattivo con alcune fissazioni, e l’aria svagata
di chi vive in un mondo suo. Un mondo, quello
di Saddam, che non farà mai davvero i
conti con le accuse, non verrà mai a patti con
il nemico, e troverebbe offensivo veder definito
banale il male che ha sparso. Per questo
bisognerebbe condannarlo alla pena di vivere,
alla pena di ricordare, e di vantarsi, se
non di chiedere perdono, di scrivere libri, e
aiutare gli altri a capire che non tutto il male
del mondo è figlio del burattinaio Bush, e
non tutti i processi degni di questo nome sono
quelli delle piazze e delle bandiere bruciate.
Lunga vita a Saddam Hussein.
Toni Capuozzo
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.

lettere@ilfoglio.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT