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Libero Rassegna Stampa
21.10.2005 Intervista a Jonathan Bassi, che ha guidato l'evacuazione di Gaza
il momento più difficile, dichiara, è stato il trasferimento del cimitero di Gush Katif

Testata: Libero
Data: 21 ottobre 2005
Pagina: 15
Autore: Guido Vitale
Titolo: «"Per la pace di Israele ho sgomberato i morti"»
Riportiamo da LIBERO di venerdì 21 ottobre 2005 un'intervista di Guido Vitale a Jonathan Bassi.

Ecco il testo:

MILANO In fondo alla valle del Giordano, l'unico angolo del pianeta dove il deserto cede il passo al verde, un ebreo veneziano e un ebreo triestino si tengono il muso. Assieme hanno combattuto le guerre per difendere Israele, assieme hanno dato un contributo determinante alla costruzione del kibbutz Sde Eliahu dove abitano, assieme si sono appassionati di politica e di economia. Uno a capo del ministero dell'Agricoltura a Gerusalemme e di alcuni fra i gioielli industriali delle biotecnologie israeliane, l'altro alla testa del movimento dei coltivatori che praticano le metodologie biologiche. Le cose hanno cominciato a guastarsi da quando Jonathan Bassi ha accettato l'incarico del primo ministro Ariel Sharon di coordinare l'evacuazione dei coloni dalla striscia di Gaza. Nel nome della ragion di Stato il suo ufficio ha organizzato la rimozione di 8000 persone, la distruzione di migliaia di strutture e abitazioni, persino il trasloco di un cimitero. La prima fase dell'operazione è stata portata a termine in maniera brillante. Mario Levi, solidale con i coloni, non glielo ha perdonato. E sui prati brillanti dove stanno le villette delle due famiglie è sceso il gelo. Alcuni, signor Bassi, le rivolgono nel suo Paese un'accusa imbarazzante. Aver organizzato la deportazione di 1.700 famiglie di ebrei. E si dice che, dopo le minacce degli estremisti, per muovere la scorta che la accompagna bastino a malapena due vetture. Come si sente? « Queste ultime settimane - risponde, di passaggio a Milano dove ha tenuto un intervento al teatro Dal Verme - sono state molto faticose. Il disimpegno è stato un momento drammatico, ma tutto è andato bene » . Il suo incarico si è ora concluso? « No. I coloni che hanno dovuto abbandonare Gaza dovranno essere indennizzati e ricollocati all'interno dei confini nazionali » . Quale è stato il momento più drammatico? « Ho segnato il destino di 8mila persone, ho pianificato la distruzione di strutture agricole che io stesso avevo contribuito a costruire. Il disimpegno è stato un grande trauma nazionale, ma anche la dimostrazione che Israele ha la forza di prendere decisioni coraggiose, di applicarle in modo equilibrato, di non farsi intimidire da nemici ed estremisti. Sembrerà strano, ma forse il passaggio più difficile è stato il trasferimento del cimitero ebraico di Gush Katif » . Anche i morti opponevano resistenza? « Ho dovuto trattare con 48 famiglie che avevano seppellito lì i loro figli. Convincerli ad accettare una sistemazione alternativa. La legge ebraica impone il rispetto assoluto dei cadaveri e ogni cautela per evitare il rischio di eventuali profanazioni che certo non sarebbero mancate dopo il nostro ritiro. L'esercito ha mobilitato centinaia di esperti solo per compiere quest'opera pietosa » . Lei ha portato in salvo 8.000 coloni abituati a non farsi sopraffare da un milione e mezzo di arabi ostili. Quanti uomini hanno utilizzato le forze armate? « Circa 30 mila. Tutti hanno dimostrato una straordinaria solidità psicologica » . A Gerusalemme si dice che un premier molto impegnato come Sharon dedichi circa 100 ore l'anno ad ascoltare i suoi consigli. Cosa avete da dirvi? « Sharon l'ho conosciuto da giovane. Dopo tanti anni si è impadronito della maggiore qualità: la pazienza. Ascoltare con calma il parere degli esperti, ponderare ogni decisione. E una volta assunta una determinazione portarla a termine, senza guardare in faccia a nessuno. Gaza era solo il primo passo, il grande laboratorio della trasformazione che attende il M. O. Quando all'orizzonte spunterà un interlocutore palestinese credibile sarà il momento di restituire almeno parte della Cisgiordania e di creare uno Stato palestinese » . Sarà lei a occuparsene? « C'è tempo, ci vorranno anni. E alla pace serviranno partner che per il momento non esistono » . Ma presto o tardi il disimpegno arriverà anche lì? « Non ne sarei tanto convinto » . Perché? « Gaza è stata abbandonata perché non rientrava negli interessi strategici israeliani. Per la Cisgiordania il discorso è molto diverso. Se la pace verrà e sarà una pace seria si farà valere piuttosto un principio diverso. In Israele vive in pace e prosperità una consistente minoranza di arabi. Se una minoranza di ebrei vorrà vivere in tutta sicurezza all'interno dello Stato che i palestinesi dicono di voler fondare questo dovrà essere possibile » . Il successo in un'operazione tanto difficile e delicata come il disimpegno ha costituito per lei la maggiore soddisfazione? « Vengo da una famiglia veneziana. Mia moglie da una famiglia ferrarese. I nostri genitori sono sfuggiti per caso alla distruzione della guerra. La maggior parte dei loro congiunti no. Mi piace lavorare. Ma la mia soddisfazione e la nostra risposta al destino sono i sei figli che abbiamo avuto, i nipoti e i pronipoti » . E quante persone vi tocca mettere a tavolaquando arrivano i nipotini? « Almeno una sessantina » .
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