Realistica l'ipotesi di un attacco terroristico con armi atomiche parla il fisico ed esperto d'armi Francesco Calogero
Testata: La Stampa Data: 19 ottobre 2005 Pagina: 1 Autore: Stefania Maurizi Titolo: «l'atomica casalinga? Una ipotesi realistica»
TUTTOSCIENZE, supplemento a LA STAMPA di mercoledì 19 ottobre 2005, pubblica in prima pagina un allarmante e documentato articolo di Stefania Maurizi. Ecco il testo Esercitazioni antiterrorismo "improvvise, continuative e riservate", ha annunciato il ministro Pisanu. E subito dopo gli attentati di Londra, Antonio Socci avvertiva: «A dire il vero quelle di Londra sono ancora "bombette". Purtroppo addavenì il barbone di Osama con nucleare sporco e armi batteriologiche ». Non c'è dubbio che l’idea di un attacco terroristico con armi chimiche, biologiche, radiologiche o, peggio, nucleari è terrorizzante. Ma l’informazione su questi temi è confusa e pressappochista, il che fa il gioco dei terroristi - perché amplifica la loro strategia del terrore - e della cattiva politica, che cavalca la tigre della paura. Il pressappochismo non è monopolio italiano. Nel maggio scorso un articolo del «New York Times» diceva che usando un manuale di sole 27 pagine disponibile online un terrorista potrebbe produrre abbastanza botulino da sterminare decine, se non centinaia di migliaia di persone. Eppure, come fa notare Steven Aftergood della Federazione degli Scienziati Americani, "nessuno scienziato che conosca bene queste cose sarebbe disposto a sottoscrivere uno scenario del genere". E' vero che le armi chimiche e biologiche sono relativamente facili da costruire - gli agenti per quelle biologiche possono essere prodotti nella maggior parte dei laboratori medici - ed è anche vero che, per esempio, diffondendo il vaiolo in un aeroporto, si potrebbe scatenare una pandemia, ma in generale trasformare quelle chimiche e biologiche in armi capaci di uccidere decine di migliaia di persone non è banale, perché tendono a "disperdersi" nell'ambiente, la loro letalità può essere fortemente ridotta da sistemi di diffusione dell'agente non ottimali o da condizioni climatiche avverse e, almeno in teoria, è possibile difendere la popolazione con maschere, tute, isolamento, vaccini e antidoti. Contro le armi nucleari, invece, non c'è rimedio. I media continuano a confondere le armi radiologiche, come la bomba sporca, con le armi nucleari vere e proprie, come l'atomica. La bomba sporca consiste essenzialmente di esplosivo convenzionale circondato da materiale radioattivo: nella deflagrazione il materiale radioattivo si disperde nell'ambiente e lo contamina. Quanto è distruttiva? Sui temi del terrorismo nucleare e radiologico, l'Italia può vantare un esperto di fama internazionale: Francesco Calogero, professore di fisica teorica a La Sapienza. «Le conseguenze sarebbero molto gravi dal punto di vista economico, per il panico e gli enormi costi di decontaminazione dell' area interessata - dice Calogero -ma nessuno o quasi nessuno ci rimetterebbe la pelle: la bomba sporca non è un mezzo per provocare morti di massa. E non è neppure facile da costruire perché un terrorista che punti a disperdere grandi quantità di materiale radioattivo deve necessariamente disporre di questo materiale, che è pericoloso anche per chi lo maneggia, in quanto fortemente radioattivo. Diverso è il discorso di una vera e propria arma nucleare, del tipo dell'atomica di Hiroshima». La devastazione provocata dall'uragano Katrina a New Orleans è stata paragonata con quella dell'atomica di Hiroshima ma il confronto non regge: ad oggi, Katrina ha ucciso mille persone, l'atomica 200 mila, distruggendo 70.000 edifici su 76 mila. L'opinione più diffusa - dice Calogero - è che costruire un ordigno del tipo di Hiroshima - magari più rudimentale, ma non meno distruttivo - sia una cosa molto difficile. Invece non è così. Se un gruppo terroristico decidesse di farlo, le informazioni scientifiche le troverebbe. L'ostacolo più grande sarebbe ottenere il materiale per costruirla: l'uranio altamente arricchito». Una difficoltà seria per i terroristi, ma che prima o poi potrebbe rivelarsi non insuperabile: nell’ex Unione Sovietica sono disponibili oltre 1.000 tonnellate di uranio altamente arricchito, conservato, in alcuni casi, in siti che preoccupano dal punto di vista della sicurezza. E’ materiale che, a differenza di quello necessario per la bomba sporca, non è altamente radioattivo, si può maneggiare senza grossi rischi; non ne servono quantità enormi - l'atomica di Hiroshima richiese 60 kg di uranio - ed è anche difficile da individuare se trasportato su un camion o su un container navale, proprio perché, non essendo molto radioattivo, può sfuggire ai controlli ordinari fatti alle frontiere. I terroristi potrebbero montare la bomba in un garage della città scelta come obiettivo e farla esplodere con un comando a distanza, senza neppure bisogno di kamikaze. Esistono accordi tra Stati Uniti e Russia per la messa in sicurezza di questo materiale ma le operazioni procedono a rilento per difficoltà organizzative, ragioni economiche e diffidenze reciproche. Qual è il rischio che una città americana o europea sia colpita? «Io temo che questo rischio sia molto reale - dice Calogero -. E' chiaro che il problema dell'uranio arricchito non può essere risolto dall'Italia, ma sarebbe cruciale fare pressione sugli Stati Uniti o anche sull'Europa, perché a questo problema venga data la massima priorità». Lei che è uno dei più grandi esperti di terrorismo nucleare, è stato contattato da un politico italiano di un qualsiasi schieramento per un parere su questi temi? «Mai. Solo da Carlo Jean, della società Sogin per lo smaltimento delle scorie nucleari. In Italia nessuno si interessa di queste cose». Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla direzione della Stampa e Tuttoscienze. Cliccando sui link sottostanti si apriranno due e-mail già pronte per essere compilate e spedite