un articolo equilibrato tranne il solito,abituale rimprovero agli Stati Uniti
Testata: Il Messaggero Data: 15 ottobre 2005 Pagina: 1 Autore: Marco Guidi Titolo: «Referendum, il destino dell’Iraq nelle urne»
L’editoriale di Marco Guidi contiene una riflessione equilibrata sulle implicazioni del voto referendario, soffermandosi in particolare sui rischi di un suo eventuale fallimento. L’unico appunto va fatto sulla parte finale dell’articolo, in cui il giornalista sostiene che gli USA non avrebbero fatto abbastanza per la ricostruzione del paese. Certo, si può sempre fare di più, e il "caso iracheno" non fa certo eccezione, ma è anche opportuno vedere le cose in prospettiva. La situazione socio-economica dell’Iraq è enormemente migliorata dai tempi di Saddam (Vedi ad esempio l’articolo di David Frum, apparso sul Foglio del 6-7-05, recensito da Informazione Corretta con il titolo "Verità trascurate sull’Iraq).C'è poco da fare, non c'è luogo e tempo nel quale gli Stati Uniti possano essere condivisi nelle loro politica. Se occupano fanno male, se liberano la cosa è ininfluente, se ricostruiscono non lo fanno abbastanza. Quando mai l'Europa guarirà dal virus antiamericano ?
Ecco il testo dell’articolo: OGGI è una giornata fondamentale per l’Iraq. Oggi infatti si vota per accettare o meno la costituzione. Se per caso l’elettorato decidesse che questa è da respingere (ed è facile farlo, basta che dicano no i due terzi dei votanti in tre province) tutto quanto è stato fatto dopo le elezioni del 30 giugno scorso sarebbe stato inutile. Si dovrebbe tornare alle urne, eleggere un nuovo parlamento, elaborare una nuova costituzione e poi tornare a votarla. Il nodo del sì e del no, come noto, riguarda soltanto i sunniti. I quali, abituati a dominare il Paese fin dall’epoca dell’Impero ottomano, si trovano oggi non solo in minoranza, ma anche in forte difficoltà. In minoranza perché superati nel numero dagli sciiti, oltretutto alleati con i curdi del Nord per governare l’Iraq. In difficoltà perché le risorse petrolifere si trovano nel Nord curdo e nel Sud sciita e le terre sunnite rischiano, almeno questo temono e proclamano i leader sunniti, di diventare i paria del Paese. In più i sunniti hanno pagato duramente l’errore di astenersi in massa dalle scorse elezioni, risultando di fatto esclusi non solo dal Parlamento ma anche dai giochi che contano. In un Paese dove le tribù, i clan, i partiti (nell’ordine) contano moltissimo, essere fuori dalla stanza dei bottoni, e per di più per propria scelta suicida, ha contribuito a elevare il tasso di ansia sunnita. La costituzione è stata in parte modificata al volo per cercare di tranquillizzare i sunniti, ma se l’operazione sia riuscita lo vedremo solo ad urne scrutinate, fino a quel momento resta la possibilità che essa venga respinta. Anche perché nelle quattro province a maggioranza sunnita anche la scelta del Partito islamico iracheno (sunnita) di appoggiare il voto per la legge fondamentale ha generato abbandoni in massa e attentati alle sue sedi, segnale che molti sunniti si considerano ancora all'opposizione. Un’opposizione che, se portasse al no, costituirebbe una sconfitta non solo per l’attuale governo, ma anche per Bush e per le stesse Nazioni Unite. Un no contribuirebbe ulteriormente non solo alla radicalizzazione della lotta ma anche aumenterebbe la tentazione di sciiti e curdi di sganciarsi dall’attuale Iraq, creando un Paese ancora più federale, dove in sostanza il Sud e il Nord potessero andare per la loro strada. Strada che ovviamente non può piacere ai sunniti ma nemmeno agli americani e all’Occidente. Il Sud sciita rischierebbe di essere sempre più legato al vicino Iran e il Nord curdo desterebbe preoccupazioni (e qualcosa di più) non solo alla Turchia, ma anche alla Siria e allo stesso Iran. Quindi c’è da sperare che gli ultimi sondaggi che danno una forte maggioranza ai sì siano veri e non un’espressione di ottimismo. In caso contrario assisteremo, oltre agli altri problemi elencati sopra, anche a una ulteriore saldatura tra la guerriglia sunnita (baathista e religiosa) e il terrorismo degli Al Zarqawi e compagni. Certo, bisogna dirlo, né l’America né l’attuale governo hanno fatto moltissimo per favorire il sì: le condizioni di vita in Iraq sono pessime. Oltre alla mancanza di sicurezza, provocata dai circa 55 attentati al giorno, continua a mancare l’energia elettrica, manca spesso anche l’acqua, le scuole e gli ospedali funzionano male, quando ci sono e, paradossalmente per un Paese che è il secondo produttore di petrolio al mondo, manca anche la benzina. Il che, a oltre due anni dalla sconfitta di Saddam, è francamente disastroso. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione de IL MESSAGGERO. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.