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La Stampa Rassegna Stampa
13.10.2005 Un esempio di ambigiutà morale
la strana tesi per la quale negli anni 70 il terrorismo palestinese era davvero "resistenza", ma dopo l'11 settembre è "difficile" chiamarlo così

Testata: La Stampa
Data: 13 ottobre 2005
Pagina: 7
Autore: Claudio Gallo
Titolo: «L'ultima trincea del Baath»
LA STAMPA di giovedì 13 ottobre 2005 pubblica a pagina 7 un articolo di Claudio Gallo sulla morte del ministro dell'Interno siriano Ghazi Kaanan, sospettato di essere tra i responsabili dell'uccisione di Rafik Hariri a Beirut.

Trattando del sostegno del regime di Damasco al terrorismo palestinese e iracheno, Gallo assume una posizione deliberatamente ambigua. Il linguaggio è rivelatore e quando leggiamo "Damasco infatti sostiene un certo numero di movimenti palestinesi anti-israeliani" o "l’aiuto alla resistenza irachena è un capitolo recente, apertosi quando l’imputazione principale era già cristallizzata" siamo abbastanza sicuri di trovarci di fronte a uno degli innumerevoli negazionisti del terrorismo che affollano i quotidiani. Poi Gallo riferisce la posizione siriana sul terrorismo palestinese: «la Siria considera questi gruppi come una legittima resistenza nazionale contro l’occupazione israeliana» e formula il suo commento: "un’argomentazione che suonava meglio negli Anni Settanta: dopo l’11 settembre una «legittima resistenza» non può più usare qualunque mezzo, specialmente se gli manca l’appoggio di una superpotenza" e capiamo che a scrivere è piuttosto un campione di ambiguità, un nemico della "chiarezza morale".
Galli non approva e non contesta la tesi secondo la quale le stragi di Hamas e dell'Fplp sarebbero "resistenza", si limita a rilevare che era più facile sostenerla negli anni 70. Aggiunge poi, furbescamente, che oggi è tanto più difficile sostenere quella tesi senza il sostegno di una superpotenza. Come dire: sono i rapporti di forza, non i principi morali a stabilire chi è terrorista e chi no. All'ambiguità Gallo aggiunge così l'ostentazione di un cinismo di bassa levatura, che non serve a comprendere realisticamente la realtà politica, ma solo a strizzare l'occhio al vittimismo dei "poveri palestinesi" e dei loro sostenitori, che ha ovviamente bisogno di dimenticare le stragi e le crudeltà inflitte agli israeliani dal terrore.

Ecco il testo dell'articolo:

Nel mondo in bianco e nero di Bush, dopo la propiziata conversione dell’Iraq alla democrazia, la Siria insegue l’Iran per il titolo di «villain», arranca dietro la Corea del Nord. «Terrorismo» è l’accusa rivolta al regime di Bashar el Assad. Damasco infatti sostiene un certo numero di movimenti palestinesi anti-israeliani e appoggia apertamente gli Hezbollah libanesi (l’aiuto alla resistenza irachena è un capitolo recente, apertosi quando l’imputazione principale era già cristallizzata). Come ha spiegato Murhaf Jouejati, della George Washington University, nel 2003 alla «Commissione sugli attacchi terroristici contro gli Usa», «la Siria considera questi gruppi come una legittima resistenza nazionale contro l’occupazione israeliana». Un’argomentazione che suonava meglio negli Anni Settanta: dopo l’11 settembre una «legittima resistenza» non può più usare qualunque mezzo, specialmente se gli manca l’appoggio di una superpotenza.
Tra Israele e l’Iraq, la Siria radicale, anche ora che ha tolto le grinfie dal Libano, è una specie di provocazione geografica al Dipartimento di Stato. Le ultime offensive dell’UsArmy contro la resistenza irachena sono infatti tutte a ridosso del confine siriano, anche se pare che la Rice si sia opposta a un attacco oltre frontiera. D’altra parte il rapporto stilato dall’ex ispettore Onu Charles Duelfer per conto della Cia nel 2005, scagionava la Siria dall’accusa di aver ospitato armi di distruzione di massa del regime di Saddam.
Nessun legame è stato trovato tra la Siria e Bin Laden: lo stesso dipartimento di Stato ha riconosciuto che Damasco ha collaborato «in maniera significativa contro Al Qaeda, i taleban e altre organizzazioni terroristiche». Il socialismo autoritario del partito Baath non ha mai amato gli integralisti: la ribellione dei fratelli musulmani ad Hama nell’82 fu repressa nel sangue dal padre dell’attuale presidente (gli Assad sono alawiti, una setta di origine sciita) con un bilancio, pare, di 10 mila morti. Questa tradizione di laicità fa della Siria un paese abbastanza tollerante in materia religiosa, specialmente con i cristiani, sempre più osteggiati nelle terre che videro la prima diffusione del Vangelo.
Nella prospettiva del Grande Medio Oriente Democratico ispirato da Bush, Damasco è una nota stonata a differenza dell’Egitto di Mubarak che sta imparando a usare la parole d’ordine della democrazia senza adottarne la sostanza. I tentativi di Assad per liberalizzare il regime e avviare riforme economiche (la disoccupazione sfiora il 20 per cento) non sono riusciti a battere la retorica del nazionalismo pan-arabo, la mistica interessata del partito unico e soprattutto la corruzione. Isolata, assediata, senza le caratteristiche cruciali per diventare davvero un altro Iraq, la Siria rischia di implodere oppure di avviarsi verso un lungo periodo di stallo.
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